Quando il primo quotidiano italiano affida alla sua firma economica di punta un articolo nel quale si dice – pur sfoderando le consuete e consumate doti da trapezista – che in cassa non c’è più un euro, forse c’è un problema. Edizione on-line de Il Corriere della Sera, tarda serata di giovedì. Con una nonchalance che toglie il fiato, via Solferino decide di svelare il segreto di Pulcinella: l’intero provvedimento di tassazione degli extra-profitti bancari ruota attorno all’articolo 7, quello relativo alla destinazione del gettito. Ecco cosa scrive: In sostanza, oltre ai previsti sussidi per chi fa fatica con il mutuo, l’imposta sulle banche dovrebbe finanziare la colonna portante della politica economica del governo. Insomma, taglio delle aliquote, ampliamento della flat tax e cuneo fiscale. E il più autorevole ed establishment dei quotidiani italiani decide di valutare così la mossa: … un po’ come cercare di pagare le prime rate del mutuo, in mancanza di meglio, vendendo i mobili di casa. Una delicatezza che fa scuola. Ma tranquilli. Questo non appare nemmeno il problema principale: Più urgente è chiedersi cosa ci dice questo episodio della finanza pubblica oggi in Italia… Ciò suggerisce che il governo è in cerca di soldi. Molti soldi. Soldi che servono urgentemente per far tornare i conti della manovra di bilancio d’autunno. Ed è comprensibile. La Ragioneria informa che nei primi sei mesi dell’anno il fabbisogno dello Stato è salito a 95 miliardi di euro, ben 52 miliardi in più rispetto a un anno fa.
Signori, tutto questo non lo ha scritto un notorio catastrofista come il sottoscritto. Lo ha scritto sul Corriere della Sera un giornalista come Federico Fubini, certamente non un eversore della tastiera. E l’articolo prosegue nell’analisi, tra un colpo al cerchio e uno alla botte, ammettendo che sarebbe quantomeno ingeneroso gettare la croce unicamente addosso al Governo attuale. Ma anche sottolineando la sua mancanza di visione nel gestire questi tempi complicati. Di fatto, eccedendo e non poco in ottimismo. E propaganda.
Houston, abbiamo un problema. Grande come una casa. E questa volta lo dice chiaro e tondo chi storicamente prima di farsi nemico un Governo, ci pensa due volte. Anche tre. Ovviamente, l’articolo in questione non è mai andato in apertura di homepage. E già stamattina, lo si trova nascosto fra i temi di “Politica economica”. Come una breve qualsiasi. I prospetti informativi sulle emissioni di Btp indicizzati spacciati per giornalismo godettero di un trattamento ben migliore. A quanto pare, però, non è bastato tentare il signor Rossi con rendimenti che – al netto dell’elefante Bce in stanza – tanto irrinunciabili non erano. Il Governo ha colpito le stesse banche che hanno operato da piazzista di quella carta. E cosa ben peggiore, la voce del padrone lo ha dovuto ammettere. Seppur senza strepiti. E al netto di 35 miliardi di fondi Pnrr in arrivo entro fine anno e 11 per la ricostruzione post-alluvione mai sbloccati. Allacciamo le cinture? Perché signori, quando la grande stampa è obbligata a dire a verità, pur ben nascosta, vuole dire di sabbia nella clessidra ne è rimasta poca. E se permettete, vi dirò di più.
Nel mio mondo ideale, quello che per una volta Il Corriere della Sera ha incarnato scrivendo le cose come stanno, ieri i mezzi d’informazione si sarebbero dovuti preoccupare unicamente del vertice Ecowas svoltosi giovedì ad Abuja. E concluso con una formula che gioca a dadi con guerra umanitaria la partita di ossimoro del secolo: la riunione si è conclusa auspicando un intervento armato il prima possibile. E il mio auspicio non va ricondotto a una sorta di snobismo. Anzi, l’esatto contrario: pragmatismo. Quasi provinciale e bottegaio nel suo risvolto utilitaristico. Le parole contano. E pesano. Ma le immagini valgono molto di più.
Una fotografia parla in tutte le lingue senza bisogno di conoscerne o utilizzarne alcuna. Meno poeticamente, questo principio vale anche per le mappe, i rendering e le cartine. Questa mostra il tragitto della Trans-Saharian Gas Pipeline (TSGP), un progetto da 13 miliardi di dollari che dovrebbe garantire 30 miliardi di metri cubi di gas naturale all’Europa.
Parte da Warri in Nigeria e arriva all’hub algerino di Hassan R’Mel. Passando obbligatoriamente dal Niger. A meno di non voler ridisegnarlo con una deviazione dal Ciad. Ma in quel caso occorrerebbe transitare dalla Libia per arrivare in Algeria. O forse un bel viaggio tra Benin, Burkina Faso e e Mali. Ovvero, di fatto Francia. Il progetto è relativamente fresco di approvazione, poiché il memorandum di intenti fra i tre Paesi è stato firmato nel luglio del 2022. Attualmente, è fermo. Anzi, era già pesantemente rallentato prima del golpe.
Ora, mettiamo in prospettiva quanto potrebbe delinearsi come scenario per l’Europa. Niente più Russia via Ucraina, niente più Nord Stream 2 e ora anche a rischio la pipeline strategica che avrebbe totalmente sostituito Mosca. Almeno formalmente. Perché la utility algerina che sovrintende a quell’hub fondamentale è di fatto una controllata di Gazprom. Quindi, persino se il TSGP dovesse venire completato in tempi utili, l’Italia dovrebbe sempre fare i conti con un fornitore che è legato a doppio filo con il Cremlino. Oggi il rischio raddoppia. E forse si capisce perché gli Usa abbiano inviato la sottosegretaria di Stato in Niger a parlare con i golpisti: chi vende il proprio Lng a caro prezzo, forse, ha tutto da guadagnare da un ritardo nella nascita di quella pipeline verso il mercato europeo. Mentre la Russia (e la silente Cina, onnipresente e onnipotente in Africa) vuole garantirsi fuori dai confini interni un nuovo ruolo egemone sul mercato che garantisce la sopravvivenza alle sue casse statali.
Proxy. Interessi a dir poco miliardari. E geopolitici enormi. Colossali. Per questo mi piacerebbe che domani la stampa ne parlasse. Diffusamente. E non con il solito approccio aprioristico da Guelfi e Ghibellini che vede tutto quanto in odore di Russia come il male assoluto. Se la Francia sapeva e ha lasciato fare i golpisti e la Russia li ha sostenuti, gli Usa quale ruolo hanno avuto? E quale avranno? Una sola cosa appare certa. Ovvero, il ruolo dell’Italia: nullo. Peccato che in discussione ci siano equilibri che rappresentano un crocevia esiziale per il nostro approvvigionamento energetico futuro. Ma anche a breve termine, stante la posizione algerina sulla questione Niger. Chiaramente influenzata da quell’acronimo, TSGP. O forse puntiamo a fare pace con Gazprom?
Sarà un autunno interessante. Molto.
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