Quanto è grave la situazione? Dopo essere crollata del 40% e sospesa per eccesso di ribasso in attesa di comunicazioni, nell’arco di pochi minuti mercoledì NYCB ha vissuto un rimbalzo del 30%: 1 miliardo di dollari a sostegno del capitale in arrivo da parte di alcuni fondi, fra cui Citadel. A fine giornata, il titolo era però tornato alla valutazione di partenza. Netting quasi totale.



In compenso, l’andamento delle opzioni mostrato dal grafico è chiaro: il mercato non pare affatto tranquillizzato. We need a bigger boat. E in effetti, quel rimbalzo del gatto morto si basava su elementi di criticità rimasti intatti. Anzi, paradossalmente peggiorati dall’annuncio. Fra l’altro, reso noto a Borsa aperta e con il titolo sospeso per eccesso di ribasso e in regime di pending news. E dopo l’indiscrezione su trattative in corso comunicata – sempre a Wall Street aperta – dal Wall Street Journal. Insomma, il Festival della turbativa. Mentre la Sec dormiva.



Primo, implicitamente la Fdic rende noto di non aver possibilità di salvare NYCB alle condizioni attuali. Secondo, nessuna grande banca vuole nemmeno sfiorare la cryptonite di NYCB, stante i nomi presenti nel consorzio informale. E la sola Jefferies a orchestrare l’operazione. Terzo, il prezzo del salvataggio non solo appariva decisamente a sconto (meno di 2 dollari per azione), ma non contemplava un’opzione all equity, bensì un mix di equity e convertibili. Insomma, diluizione da svendita e tempi decisamente poco consoni. Quarto, la transazione vedeva come deadline l’11 marzo. Ovvero, altri due giorni di contrattazioni. E, soprattutto, in contemporanea con la scadenza formale del Btfp. Puzza di vulture. Ma se questo non vi pare ancora sufficiente per capire quale sia la reale situazione sotto il pelo dell’acqua di mercato, date un’occhiata a questa immagine.



Nel silenzio generale, il 5 marzo la Isda (International Swaps and Derivatives Association) prendeva carta e penna e scriveva a Fed, Fdic e Occ – le cosiddette Agencies – chiedendo l’esclusione permanente delle detenzioni di debito pubblico Usa dalla Slr delle banche, stante la pendente riforma che da quattro anni vede le medesime Agencies accettare calci al barattolo rispetto all’entrata in vigore. Di cosa si tratta? Supplementary Leverage Ratio, normativa che prevede appunto la necessità di includere i Treasuries a bilancio nel calcolo del cosiddetto surcharge delle banche ritenute sistemiche globalmente. Ovvero, buffer al 3% del capitale. E al 5% per le holding bancarie. La ragione della richiesta via missiva? Mantenere la resilienza del mercato del debito Usa, dell’economia statunitense e dell’intero sistema finanziario globale. Forse anche la pace nel mondo. Tradotto, esenzione permanente o le banche smettono di comprare e detenere Treasuries. Col debito pubblico Usa a quota 34 trilioni e in crescita di un trilione ogni 100 giorni, al netto di emissioni col ciclostile.

Ma quella degli equilibri bancari è tematica globale. E se ci si addentra con maggiore attenzione, ecco che saltano fuori altarini. Made in Ue, questa volta. Certo, la narrativa parla di una Bce che ha come obiettivo prioritario la stabilità dei prezzi. Da qui, la favola della data-dependency sull’inflazione e la cautela che accompagna ogni decisione riguardante il timing di un primo taglio dei tassi. In un verso o nell’altro, Trichet ha creato un precedente. Il grafico ci dice dell’altro, però. Un qualcosa che ha molto a che vedere con la missiva dal tono ricattatorio inviata alle Agencies statunitensi per rinviare sine die i cuscinetti di capitale Slr.

Compare in un report pubblicato da Blackrock su stime della Pemberton Asset Management. E cosa ci dice? Due cose. Primo, il terrore dell’endgame bancario su Basilea III e sulla pressione regolatoria che porterà in dote potrebbe vedere aumentare il volume delle transazioni Srt delle banche Usa del 30-40% all’anno per i prossimi due anni. Secondo, dal 2018 in poi le banche europee hanno recitato la parte del leone in questo schema di trasferimento del rischio.

Di cosa si tratta? Di fatto, un deleverage di portfolio prestiti verso soggetti esterni (hedge funds, principalmente), al fine di aggirare i requisiti di capitale. Ovviamente, pagando un prezzo. Anzi, un coupon. Alto. Visto che si parla di interessi mid-double-digit. Insomma, le banche emettono credit-linked notes ad alto tasso di remunerazione fissa, ma che comportano per la controparte l’accettazione dell’implicito credit default swap. Se le perdite su quel pool di assets si materializzano, il colpo lo patisce la controparte.

Lo scorso anno sono state emesse 25 miliardi in Srt a copertura parziale di circa 300 miliardi di prestiti. Una goccia nell’oceano. Ma con l’esposizione al commercial real estate che sta costando la ghirba a New York Community Bancorp e rischia di generare un effetto domino su altre piccole banche, in attesa del salvagente Fed tramite il morphing del fondo Btfp in chiusura, quei numeri vanno messi in prospettiva. E prezzati sul rischio sistemico. Non appare un caso che la parte principale dell’audizione di Jerome Powell di mercoledì sia stata dedicata non ai tassi o all’inflazione ma proprio alla sfida regolatoria che l’implementazione di Basilea III pone di fronte al sistema bancario. E finanziario.

Insomma, se più capitale e meno rischio è l’orizzonte ufficiale, le cifre e le dinamiche appena rappresentate ci mostrano un mondo totalmente parallelo che circumnaviga da anni la guidance. Prima in Europa, ora negli Usa a seguito della crisi innescata da Silicon Valley Bank. Al netto di questi strumenti così esotici, siamo davvero certi che il sistema bancario Ue non incorpori segretamente qualche arma di distruzione di massa finanziaria nei suoi Level 3? Perché quell’abuso di transazioni Srt in un ambiente di liquidità enorme, Qe in atto, tassi a zero e resto del mondo assente dal tavolo, fa pensare. Parecchio. O no?

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