Inutile negarlo. La riunione della Fed della prossima settimana sta avvicinandosi nel disinteresse pressoché totale.
La ragione è semplice e la mostra plasticamente questo grafico di Morgan Stanley: a oggi il mercato prezza già 6 tagli dei tassi per il 2024. Anzi, 6 tagli in 9 mesi. Peccato che le serie storiche dicano chiaramente come una mossa così drastica la Fed l’abbia operata soltanto in periodi di recessione profondissima. E mai in un anno di elezioni presidenziali.
Davvero il board della Banca centrale Usa merita questo approccio sonnacchioso da “scelta obbligata”? Davvero nessuna sorpresa all’orizzonte?
Se Morgan Stanley con il suo assunto dovesse aver ragione, l’unica possibilità perché il wishful thinking del mercato si traduca in realtà è appunto quella di una recessione molto drastica. E decisamente rapida nel palesarsi, stante una narrativa ancora imperante che è quella del mitico soft landing. Quindi, occorre un cambio di sentiment di 180 gradi.
Ed ecco che il grafico elaborato da Barclays su dati Sec ci viene incontro.
Il livello del posizionamento long degli hedge funds sui Treasuries Usa e quello di esposizione al finanziamento degli stessi via repo mostra una correlazione che spaventa ancor di più delle serie storiche relative ai cicli di espansione della Fed.
Ora, il problema è basico. Per quali ragioni si sostanzia un simile scenario? Due. E totalmente opposte. La prima è perché i fondi speculativi credono fortemente a quella prezzatura di calo record dei tassi di interesse, quindi prendono in prestito denaro via repo per acquistare oggi Treasuries col badile, sperando di monetizzare quando il prezzo sarà salito grazie alle mosse della Fed. La seconda invece è che gli stessi hedge funds siano alla ricerca – più o meno disperata – di liquidità a breve termine per le proprie necessità di finanziamento, quindi si rivolgono sul mercato repo. Questo a prescindere dal fatto che stiano realmente aumentando la loro posizione long sui Treasuries. In questo caso, il timore è quello di redemptions in corso da parte degli investitori – cui, per ora, si vuole evitare di rispondere con l’innalzamento dei gates e il conseguente blocco – o richieste di margin calls da parte dei creditori. In un caso, business as usual. Nell’altro, guai in vista. Quantomeno, potenziali. E di non poca entità.
Ora, unendo i puntini, quale immagine prende forma? Potenzialmente, l’incidente controllato perfetto. Che garantirebbe una recessione sprint e roboante. Che giustificherebbe il timing degli strani allarmi in serie della Bis. Che spiegherebbe quell’aumento delle riserve record di novembre e il contemporaneo tonfo del reverse repo. Certo, ormai il Sistema ha un’esperienza consolidata in demolizioni pilotate. Ma qui più che una perversa logica schumpeteriana, entra in campo il granello di sabbia brechtiano. Questione di giorni, ormai. I proxies non mancheranno. Ad esempio, guardate questo grafico.
Ci racconta del sesto calo intraday nella storia del trading dello spot gold. Peggio di quanto accaduto fra lunedì e martedì, soltanto il 23 e 26 settembre 2011, quando la Banca centrale svizzera intervenne all’approssimarsi di quota 2.000 dollari l’oncia. Poi, il 15 aprile 2013 con il taper tantrum di Ben Bernanke. Infine, il 16 marzo e l’11 agosto del 2020, rispettivamente a fronte dei lockdowns globali e dell’annuncio dei vaccini. Poi, quanto accaduto 36 ore fa e plasticamente mostrato in quest’altro grafico.
Qualcuno a Basilea deve essersi spaventato. Alla Bis o Bri che dir si voglia, devono aver fatto le ore piccole. Perché nelle 8 successive al panico globale per quel nuovo massimo storico, i prezzi dello spot gold solo letteralmente crollati di 115 dollari dai massimi di giornata. Qualcosa non va. E non nel sistema malato dell’oro di carta, dei futures no delivery, dei caveau mezzi vuoti rispetto alle once spacciate come consegnabili ma in realtà mero sottostante di contratti che passano di mano per arbitraggio e spread. Questo è panico. Questo è qualcosa di epocale. Non a caso, solo 5 volte prima dell’altro giorno si era arrivati a interventi manipolatori di simile entità. E spregiudicatezza.
Quanto durerà ancora il teatrino, prima che un soggetto politicamente tanto forte da essere un player e stracarico di oro fisico decida di passare alla deterrenza reale? Ovvero, la minaccia di far saltare il banco di Comex e Cme. Basta poco. Quantomeno nelle condizioni attuali. Il cane di Pavlov della paura di assets reali a fronte di assets stampabili non si limita a salivare. Abbaia. Si dimena. Ulula alla Luna. Futures, algoritmi e Cta per direzionare il petrolio al netto dei fondamentali macro. Futures, algoritmi e Cta per cercare di inculcare nella gente il concetto che l’oro sia materia preistorica, totalmente incapace di proteggere da crisi sistemiche. E inflazione. Meglio i Money Market Funds. O gli Etf. Sarà per questo che sono i big della finanza mainstream ad accelerare le pratiche per redimere e standardizzare Bitcoin e soci?
La cripto delle cripto è a quota 43.000. Non printable. Quindi, appetibile. Se esiste un proxy del livello di paura che alberga nelle war rooms che sovrintendono swaps lisergici ed esotiche unrealized losses a rischio di svendite da panico e margin calls, allora è rappresentato da quel tonfo dello spot gold. Talmente eclatante da risultare incredibile. Farsesco. Come certi squartamenti da film splatter, così parossistici nel loro essere grandguignoleschi da risultare comici. E ottenere l’effetto contrario dal pubblico.
Qualcosa sta arrivando. Ma come la pinna de Lo squalo, il rischio è accorgersi quando è ormai troppo tardi. Quando la musichetta – il macabro TA-TA-TA-TA-TA – è già partita. Insieme a qualche arto del malcapitato bagnante di turno. Ma voi state tranquilli, questi articoli operano da bandiera rossa di pericolo issata sul pennone della spiaggia. O, almeno, ci provano.
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