Giulio Andreotti conosceva la politica estera. Soprattutto i suoi lati meno nobili e visibili all’opinione pubblica. Probabilmente, il celebre aforisma sul pensar male che costituisce peccato ma svela quasi sempre la verità, nasce proprio da frequentazioni poco raccomandabili. Ma necessarie, se si vuole governare il caos. E non venirne travolti. Non sarà che questa volta l’interesse europeo per Lampedusa e per il Mediterraneo/Nord Africa sia reale? E non sarà, altresì, che a motivarlo ci sia qualcosa di meno nobile che la solidarietà con l’Italia alle prese con una pressione migratoria insostenibile?
Certo, l’abbondante decennio di ritardo rispetto all’attivismo africano della Cina non è recuperabile. Ma forse, qualcosa per frenare le mire della Russia si può ancora mettere in campo. Perché la lezione del Niger è stata di quelle dure da digerire, soprattutto per la Francia. E il grafico posto nei commenti mostra come il prezzo dell’uranio lo confermi. Plasticamente.
Poi, la svolta. Un emissario di primo livello del Cremlino a fine agosto è volato in Libia per trattare con il generale Haftar l’utilizzo di un porto libico come base logistica russa nel Mediterraneo. Di colpo, Ursula von der Leyen sembra iscritta a Fratelli d’Italia (Chi entra in Europa lo decidiamo noi) e si precipita a Lampedusa. Francia e Germania ritirano i blocchi alle frontiere e riattivano i programmi di ricollocamento. Salvo, nel caso di Parigi, rimangiarsi la parola 24 ore dopo. Ma c’è il Patto del Quirinale, tranquilli. Eppure, pochi giorni e il mare si farà grosso e le onde non gestibili per barconi e barchini. Come ogni anno, l’autunno manderà in pensione il problema fino a giugno. Perché allora questa strana volontà di andare oltre alle promesse? Forse quell’incursione libica della Russia ha qualcosa a che fare? Forse i guai giudiziari del figlio di Joe Biden, destinati a terminare in un tribunale insieme a sgradevoli files su Burisma, hanno spinto Washington ad abbandonare l’agenda Ucraina, magari riposizionando la Nato verso il Mediterraneo?
Se per caso l’Ue, stante l’assenza di un suo esercito, dovesse ventilare l’appoggio dell’Alleanza nei programmi di gestione, contrasto e controllo dei flussi, forse ci sarebbe di che riflettere. Per ora, si parla già di coinvolgimento Onu. Un primo passo. Come quando il Fmi minaccia. E la Troika scalda i motori. Ovviamente, le opinioni pubbliche non avrebbero nulla da ridire al riguardo. Anzi. L’idea che finalmente si ponga fine a sbarchi incontrollati e conseguenti problemi di ordine pubblico sparsi per il Paese in assenza di un’accoglienza reale, potrebbe rivelarsi addirittura un balsamo elettorale in vista delle Europee.
Sorge un dubbio, però. L’uscita out of the blue di un “coscritto politico” di Giulio Andreotti come Giuliano Amato sulla strage di Ustica, ha forse qualcosa a che spartire che un eventuale spostamento del baricentro geopolitico di interesse Nato verso il Mediterraneo? Se sì, poco male. Da un lato ci dimostrerebbe che esiste quantomeno una regia e che l’ex Premier e razziatore di conti correnti non è impazzito di colpo, come certi anziani negli ospizi che di colpo si mettono a parlare della Guerra. Dall’altro, però, stante la stretta osservanza craxiana del personaggio, ulteriore quesito: il suo era un antefatto propedeutico o piuttosto una messa in guardia dagli effetti collaterali e dal fuoco amico di un eventuale ritorno della Guerra fredda in forma ibrida nel mare di casa nostra?
In compenso, questo clamore mediatico è riuscito a meraviglia nell’intento di far passare in terzo o quarto piano quanto accaduto a Santiago de Compostela venerdì scorso, luogo a dir poco simbolico scelto per l’Eurogruppo. In realtà, un Golgota per il ministro Giorgetti, presente in rappresentanza dell’Italia. Un fuoco di fila. Un bombardamento. Un interrogatorio degno della Digos la notte del 12 dicembre 1969 a Milano. E se fonti facevano notare come proprio in quella sede la Germania stia muovendo pesanti pedine in favore di un Patto di stabilità decisamente rigoroso e lo stesso commissario Gentiloni abbia parlato della necessità di misure restrittive, il sottoscritto rimane basito di fronte al silenzio tombale sceso attorno alla dichiarazione del titolare del Mef. A detta del quale, il Governo non avrebbe i numeri necessari in Parlamento per approvare la ratifica del Mes.
Ora, al netto che mezza opposizione sarebbe pronta a correre in soccorso e far passare il provvedimento, a casa mia quando un Esecutivo non è autonomo sul voto riguardante una materia a dir poco dirimente per il proseguo dell’interlocuzione con l’Ue (ovvero, il respiratore cui siamo letteralmente attaccati, fra Bce e Pnrr), quantomeno entra formalmente in crisi. E si appresta a un rimpasto, una verifica, un passaggio al Colle e il conseguente voto di fiducia. Piaccia o meno, è la prassi a dirlo. Ora, il ministro Giorgetti conferma o smentisce quanto riportato sabato da La Repubblica? Tace. Glissa.
Dal palco di Pontida Giancarlo Giorgetti ha tuonato. E molto. Contro il Patto di stabilità che deve scorporare le spese per investimenti, contro il debito monstre ereditato e che l’anno prossimo ci costerà 14 miliardi in più in interessi e in favore della tassa sugli extra-profitti delle banche. Ha tuonato. Tanto. Ma non contro la stampa d’opposizione che inventa scenari di crisi. Quindi, quell’ammissione, quel grido il Re è nudo sui numeri mancati per la ratifica parlamentare del Mes è vera. Il rischio? Non tanto quello della tenuta parlamentare, stante la colla presente sotto le terga di tutta la maggioranza, quanto quello di un segnale di instabilità conclamata che si invia al mercato. A poco più di due settimane dell’emissione del nuovo Btp Valore. E ieri mattina, in apertura di contrattazioni settimanali, il nostro decennale benchmark rendeva il 4,47% dal 4,45% della chiusura di lunedì. Come ricorderete, quota 4,50% è spartiacque. Si può calare. Ma può anche innescarsi un processo auto-alimentante in tempi molto rapidi. E le criticità per attivarlo, certamente non mancano, fra rapporti con l’Ue e Manovra tutta da inventare.
E che l’aria si stia facendo pesante, lo dimostra la dichiarazione del membro del board Bce e banchiere centrale austriaco, Robert Holzmann, a detta del quale la natura testarda dimostrata dalle dinamiche inflattive non permette di escludere la necessità di un nuovo rialzo dei tassi. Non accadrà. Ma proprio per questo, le parole giunte da Vienna assumono chiaramente il contorno della minaccia diretta. E nemmeno troppo velata.
Lampedusa merita attenzione, certo. Ma ormai vive in questo stato di allarme permanente e bipartisan da anni. Quanto appena accaduto a Santiago di Compostela ha invece il retrogusto amaro di tempi lontani. Ma non troppo. Poco più di un decennio.
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