Venerdì scorso Goldman Sachs ha pubblicato un report in cui oltre a prevedere un allargamento dello spread Btp-Bund ha consigliato ai propri clienti di scommettere sul decennale spagnolo contro quello italiano. I rialzi dei tassi della Bce e la fine delle politiche monetarie espansive colpiranno l’Italia non solo più della Germania, ma anche più della Spagna. Ieri Moody’s ha rincarato la dose sottolineando che l’Italia è l’unico Paese che rischia di perdere l’investment grade: “Una crescita anemica e un costo del debito crescente potrebbero indebolire ulteriormente la posizione fiscale italiana”.



Ogni fase di indebolimento della crescita globale o di tensione finanziaria in Europa ha portato a un aumento degli spread e a tensioni sul mercato delle obbligazioni statali. La crisi dei debiti sovrani del 2011/2012, quando si discuteva della possibile uscita della Grecia, della Spagna o dell’Italia dall’euro, è una conseguenza del fallimento di Lehman Brothers e della tempesta economica e finanziaria che ha causato. La novità del 2023 è che nel gruppo dei cattivi rimane solo l’Italia e la Spagna ha distanziato Roma e si è avvicinata alla Francia.



È dal 2016 che il rendimento del decennale italiano supera quello spagnolo e lo spread Spagna contro Francia è ai minimi dal 2009. Sappiamo che la Spagna è il Paese che avrà la minore inflazione in Europa e la maggiore crescita nel 2023. È un dato significativo perché il Paese ha trovato una via per contenere l’esplosione dei prezzi e per crescere in un contesto economico e geopolitico molto complicato.

Le forze in gioco, estremizzando al massimo, sono due: la capacità di crescere e quella di spendere bene i soldi incassati con le tasse. I prezzi energetici spagnoli sono cresciuti, in proporzione, molto meno di quelli italiani e sono tra i più bassi in Europa. È il merito di un sistema di forniture di gas, anche per ragioni geografiche, meno vulnerabili alle sanzioni della Russia e della quota significativa, circa il 21%, che il nucleare rappresenta sul totale della produzione elettrica spagnola. I piani di chiusura delle centrali attualmente rimandano al 2035; è un lasso di tempo abbastanza ampio per osservare le conseguenze delle decisioni tedesche. Il Paese che più si avvicina a un modello ideale fatto di una base programmabile, sicura e economica di nucleare su cui montare le rinnovabili è la Spagna. Avere i costi dell’elettricità più bassi in Europa significa essere in grado di attrarre investimenti e di garantire quella produzione industriale che a sua volta genera posti di lavoro stabili e ben pagati. L’Italia invece ha, con grande lungimiranza, bloccato le trivelle e per ragioni che sfuggono alla comprensione dei più, persino dopo la crisi energetica del 2022, rifiuta anche solo di pensare a un piano per aumentare la produzione nazionale di gas.



La seconda forza è la spesa pubblica. La Spagna ha sfruttato molto bene le finestre che l’Europa ha concesso per salvare con soldi pubblici un sistema bancario vittima del crollo della bolla immobiliare dopo il 2008. L’Italia invece è entrata in una lunga fase di aumenti di capitale bancari e di incertezza su un settore chiave per la crescita che è durata anni. Nel 2022 l’Italia ha messo a terra investimenti in infrastrutture che non si vedevano da almeno dieci anni e per importi che sono un multiplo di quelli medi dell’ultimo decennio. Sono programmi che sollevano qualche perplessità in una fase in cui le imprese chiudono perché i costi dell’elettricità sono troppo alti. Il “vizio” di assumere dipendenti pubblici per “rilanciare la crescita” non è mai passato e in compenso è arrivato il Reddito di cittadinanza. Per il momento in compenso non si segnala alcun provvedimento per venire incontro all’esplosione dei costi dei mutui sia in essere che nuovi. Anche in questo caso la Spagna è intervenuta per tempo due mesi prima della fine dell’anno. Segnaliamo che anche la Spagna ha grandi differenze regionali che sfociano persino in spinte autonomistiche.

La prima urgenza dell’Italia sono i prezzi dell’elettricità; la seconda è spendere bene per cose che servono. La terza è mettere ordine in una burocrazia che non è in grado di gestire la spesa in modo efficiente per mancanza di competenze e di un sistema di rendicontazione e di standard comparabili. Il cambiamento degli spread degli ultimi dieci anni su una grandezza, come i debiti pubblici e i rendimenti delle obbligazioni statali, difficile da modificare danno conto di quali siano i modelli a cui guardare.

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