Per il dato sull’inflazione Usa che verrà pubblicato oggi e riferentesi ad aprile 2022 in tendenziale sull’anno, si stima un tasso del 8,9-9,0% con valore minimo non sotto al 8,7%. Il Consensus Bloomberg di operatori di mercato stima invece l’8,1%.
L’incipit che si impone in questo intervento, dopo la secca esposizione dei numeri essenziali di cui sopra, è che la Fed e le autorità monetarie occidentali hanno perso il controllo efficace della situazione, che è qualcosa di più impegnativo di stare semplicemente dietro la curva dei tassi di interesse: si ricorda infatti che il tasso dei Fed fund è pari in questo momento all’1% con il tasso dei Tresaury a 10 anni invece in area 3-3,1%.
A fine aprile in aggiunta è stato pubblicato il dato del 1° trimestre 2022 del Pil Usa ed è risultato essere diminuito dell’1,4%; pertanto sommando i due aspetti – contrazione negativa del Pil del primo trimestre dell’1,4% da una parte, e dall’altra da gennaio a marzo 2022 la presenza di tassi inflattivi mensili in tendenza sull’anno del 7,5%, 7,9% e in ultimo 8,5% – si ha come risultato la presenza tecnica della cosiddetta stag-flazione e cioè recessione che si accompagna a inflazione.
A livello analitico e teorico, tale situazione viene rappresentata sul diagramma della domanda e dell’offerta aggregata come spostamento verso sinistra della curva di offerta, avendosi così minori beni e servizi sul mercato a un prezzo più alto, data la sostanziale fissità della curva di domanda, o se si vuole di un suo spostamento inferiore.
Le cause fondamentali dello scenario odierno sono le solite presentate da mesi in avanti, e cioè, all’iniziale scompaginamento delle filiere logistiche e produttive dovute al Covid-19 da aprile 2020 in avanti si sono accompagnati agli inizi del 2021 i primi scontri in seno all’Opec + tra la volontà statunitense di maggiori incrementi della produzione di petrolio e la ritrosia a percorrere questa strada da parte di Arabia Saudita e Russia; inoltre, lo scontro strategico latente tra le due superpotenze americana e russa covava dai fatti della piazza di Maidan a Kiev nel 2014, con sanzioni e annessioni di Crimea e accordi di Minsk mai rispettati (si deve notare col senno di poi che agli accordi Minsk non hanno partecipato gli Stati Uniti); in seguito negli anni intorno al 2018 naufraga del tutto il trattato sulla missilistica nucleare di medio e lungo raggio, fino quindi ad arrivare a un’accelerazione della crisi ucraina da maggio 2021, con inizio di operazioni belliche a fine febbraio 2022.
In sostanza, i fenomeni di inflazione odierni negli Stati Uniti e nell’Unione Europea sono da addebitarsi all’80% circa a shock esogeni sui fattori di offerta e per un residuo 20% ai movimenti di assestamento della domanda aggregata a questi fatti.
Un’altra precisazione macroeconomica sull’inflazione che si impone è la seguente: la spiegazione della curva di offerta che producendo di meno innalza enormemente i costi di produzione è dovuta al fatto basilare che l’industria globalizzata statunitense e mondiale produce in regimi di costi unitari medi decrescenti data la notevole presenza di economie gamma e di dimensione; del tutto ovvio, che nel caso opposto di contrazione dei volumi produttivi i costi medi si innalzino in maniera più che proporzionale, andando a impattare fortemente e direttamente sui prezzi dei beni finali.
Quest’ultima considerazione, illumina ulteriormente di un’altra differenza rispetto alla stag-flazione della crisi petrolifera degli anni Settanta; infatti, in quegli anni le economie gamma e di dimensione erano molto più agli albori e quindi il controllo della sola variabile salari poteva portare a un argine della spirale prezzi-salari, cosa che si verificò nei fatti (in Italia la celeberrima interruzione della scala mobile).
Oggigiorno, però, controllare i soli salari non è sufficiente, sebbene necessario, in quanto i volumi produttivi sono di un ordine talmente più elevato che il costo medio unitario è sensibilmente più basso rispetto a 50 anni fa, e in più non va dimenticata una mole gigantesca di debiti pubblici che negli anni Settanta non esistevano, i quali tramite sensibili effetti ricchezza stimolano la domanda aggregata mettendo in moto un secondo movimento inflattivo rispetto ai disequilibri dell’offerta, alla quale si aggiunge come effetto finale.
Morale della favola, la Fed non è più in grado di controllare da sola e gestire il fenomeno dell’inflazione in atto, e il fatto invece che i mercati e tanta stampa specializzata diano risalto dirimente alle sedute del Fomc è spia di una pericolosissima isteresi dei mercati finanziari; si temono cioè crisi immense e si rimuovono dall’orizzonte operativo affinandosi in maniera fideistica alle manovre Fed e alle operazioni di Wall Street; dispiace dirlo, ma tale scenario sta ricordando sempre più da vicino il 1929 con tutte le differenze del caso: allora, nel 1929 l’economia reale valeva cinque volte quella degli scambi borsistici, mentre oggi la dimensione finanziaria degli eventi vale al contrario 50/60 volte i volumi di scambi reali.
Pertanto, questo disordine non è di natura economica in senso stretto, anche se nato sulle discrasie mondiali tra domanda e offerta prodotte dal Covid-19, al contrario questo disordine produttivo e dell’inflazione odierno è lo specchio dello scontro conclamato tra Stati Uniti e Russia; le risorse sono diventate scarse e difficoltose da reperire sui mercati internazionali, in quanto c’è una guerra vera e una basata sulle sanzioni; a mio parere, la classe politica americana dovrebbe a poco a poco pigliare seria contezza della fine dell’impero americano, che è durato dal 1989 al 2020, mentre la classe politica russa dovrebbe smarcarsi da una brutalità archetipa di grado maggiore e più intensa di quella dell’Occidente.
Purtroppo, per il cittadino americano medio e per quello europeo e in maniera più drammatica per quello ucraino, queste di cui parliamo sono fratture che non si risolvono in un battibaleno, ma richiedono tempo, e tanto, pazienza, sopportazione di sacrifici e aspettativa di errori di percorso.
Tanto sono inquietanti le cose di cui parliamo che tocca prestare mente a un fatto che sta andando sottotraccia, e cioè che la Banca centrale russa non ha mantenuto fisso a fine giugno il rapporto di 5.000 rubli per 1 grammo d’oro, ma che sta gestendo in modo controllato e flessibile tale cross avendolo oramai portato a 4.080 rubli per grammo d’oro il 5 di maggio; è di fatti incredibile, almeno di primo acchito, che la Banca centrale russa stia evitando prese di arbitraggio gigantesche derivanti dal fatto del rublo agganciato all’oro in maniera fissata, e così facendo aiuti il dollaro americano ad avere oscillazioni più contenute.
È paradossale tutto questo, sembra un cazzotto in pieno stomaco; cioè con tutte le sanzioni, gli scontri, gli insulti le minacce e la guerra in corso, la Russia sta avendo un approccio di difesa del dollaro americano! Per di più è sempre del 30 aprile il ripescaggio da parte del Senato americano del Lend-Lease Act del 1941 in favore dell’Ucraina.
Per onestà intellettuale, almeno per quel che mi riguarda, è molto più corretto presentare i fatti per come sono, in quanto le analisi e i giudizi di tali questioni sono sterminate e sottoposte a giudizi di valore e politici troppo ingombranti; detto in altro modo, le spiegazioni di cui sono veramente convinto in merito a questi accadimenti le tengo per me, in quanto troppo di parte (la mia) per esternarle in maniera opportuna e teoricamente sana. In soldoni poveri, il fatto che la Banca centrale russa elimini il potenziale e gigantesco arbitraggio collegato a un rublo fissato all’oro – in maniera non variabile da parte della stessa banca centrale – di fatto aiuta a combattere notevolmente meglio l’inflazione statunitense alla Fed, in quanto il dollaro americano ne esce rafforzato.
In ultimo, tutto questo intervento è stato modulato sulla profonda convinzione che la politica e l’intervento delle Banche centrali, e in primis la Fed di fronte ai problemi elencati, siano oramai di natura non più centrale ma secondaria: cioè l’autorità politica sceglie il percorso di fondo economico e finanziario, e la Fed cerca di dargli il movimento più armonico possibile, ma non più come già solo due anni fa con capacità demiurgiche, ma solamente come un centro di trasmissione di input gestiti e manovrati altrove.
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