Lyudmyla Denisova. Segnatevi questo nome. Perché, a occhio e croce, fra qualche tempo potrebbe passare alla storia. Chi è costei? Di fatto, la commissaria per la difesa dei diritti umani in Ucraina, ruolo affidatole dal Parlamento di Kiev nel 2018. E revocatole con voto di sfiducia martedì pomeriggio, nel silenzio quasi totale dei media occidentali. Direte voi, perché mai giornali, tg e siti Internet avrebbero dovuto interessarsi a quella che appare una notizia di eminente cronaca politica interna?



Semplicemente perché per settimane intere, la medesima Lyudmyla Denisova è stata la principale fonte di disinformazione di guerra cui quegli stessi media hanno attinto. E attenzione, la nostra bionda ed elegante signora non si limitava a dare conto dei progressi sul campo. Non rilanciava contabilità alla Fausto Tonna sulle vittime civili, pur essendo più in Occidente che nel suo Paese (una delle accuse che hanno portato al suo licenziamento), bensì aveva fatto della narrativa sugli stupri sistematici e di massa dei militari russi contro donne ucraine di ogni età la sua cifra distintiva. E solo Dio sa quanto i media occidentali ci abbiano acriticamente intinto la penna in quell’inchiostro di falsità. 



Se pensate che tutto questo sia propaganda russa, ecco il link relativo all’articolo dedicato al caso dal Wall Street Journal. Tra i capolavori di fantasia grandguignolesca della signora c’è lo scantinato di Bucha, dove a suo dire 25 adolescenti ucraine furono segregate e stuprate in gruppo e a ripetizione da militari russi. Definiti dalla signora in uno dei suoi post al riguardo, semplicemente degli animali. E tanto per rendere la storia ancora più indigesta per il pubblico occidentale, ecco l’aggravante: nove di quelle 25 ragazze sarebbero state incinte. E non basta, sempre da Bucha arrivava la testimonianza di un’anziana, anch’essa stuprata dai russi. Tutte balle. E a scoprirlo non sono stati gli stessi russi, bensì alcun ONG che – a differenza di Lyudmyla Denisova – sul campo ci sono andate davvero per raccogliere testimonianze e lavorare a un documentario sulle barbarie perpetrate dai militari di Mosca. Peccato che, prove alla mano, tutto risultò falso. E senza alcun riscontro. Compresa la storia postata su Facebook e relativa a una 14enne stuprata dai militari russi di fronte alla madre, a sua volta legata a una sedia e costretta ad assistere. Balle, un’altra volta. 



Non a caso, preso atto di tutto questo, il Parlamento di Kiev ha pensato che fosse meglio mettere le mani avanti e licenziare in tronco la signora, prima che il bubbone della disinformazione scoppiasse e travolgesse del tutto la narrativa colma di eroismo diffusa a reti globali unificate dal Presidente Zelensky. E Lyudmyla Denisova non si è fatta mancare nulla, a livello di disonestà professionale, intellettuale e morale. Oltre ad aver inventato o gonfiato a dismisura storie senza riscontro, ha appunto passato gran parte dei quasi 100 giorni di offensiva militare russa in giro per Paesi occidentali per ragioni di servizio, dimenticandosi nel contempo di approntare il piano per i corridoi umanitari e contrastare le deportazioni di cittadini ucraini in Russia. Insomma, un fulgido esempio di disinformazione. 

Ma attenzione, perché – come anticipato – appare chiaro l’intento del Parlamento ucraino: cercare in tempo utile e con anticipo un capro espiatorio. Perché per quanto Lyudmyla Denisova sia stata brava, è impossibile gestire da sola una macchina delle fake news come quella che ha garantito alle sue storielle ripugnanti una eco mediatica mondiale per settimane. Con coté, pochi giorni fa, di incursione di una militante femminista sul red carpet di Cannes praticamente nuda e al grido Smettete di stuprarci! Ma non era Mosca la campionessa mondiale della disinformatjia? A quanto pare, Kiev negli anni pre-indipendenza e di permanenza sotto l’Urss deve aver imparato ottimamente le nozioni teoriche di base. Molto probabilmente, sviluppandole poi in maniera hollywoodiana durante la rivoluzione di Maidan. D’altronde, quando hai dalla tua parte l’Impero dello spettacolo, parafrasando Guy Debord, non puoi che eccellere. 

E ora, cosa si fa? Chiediamo scusa, non tanto ai militari russi quanto alle donne che realmente hanno subito stupri, in guerra o anche soltanto andando al lavoro in un’anonima periferia urbana italiana? Oppure facciamo finta di niente? Certo, il fatto che Rula Jebreal ancora venga invitata nel nostro Paese a pontificare su temi che nemmeno conosce, dopo il rivoltante monologo a Piazza Pulita sugli stupri dei soldati russi e di Assad contro le donne siriane dopo la caduta dell’Isis a Damasco non depone a favore di un’operazione verità alle porte. Anzi, a occhio e croce, qualcuno potrebbe avanzare il dubbio di infiltrati putiniani in seno al Parlamento ucraino, traditori che – stante la malaparata militare in Donbass – ritengano più salutare vendersi preventivamente al nemico. State certi che qualche analista arriverà anche a questo abominio intellettuale, pur di evitare di ammettere la realtà. 

Si sa, la guerra è così. Solo chi la combatte e chi la subisce la conosce realmente, gli altri sono testimoni più o meno oculari soltanto di una parte di essa. Vedono in base a prospettive distorte e parziali. Spesso interessatamente strabiche. Qui, però, il fatto è di gravità infinita. Perché piaccia o meno, proprio le notizie relative a stupri di bambine, adolescenti e anche anziane da parte delle truppe di Mosca ha generato quel moto di ribellione all’Orrore conradiano che ha spinto l’intero Occidente ad armare Kiev. E ad accelerare sul processo di sanzioni contro Mosca. Le quali, fra l’altro, continuano a fare ridere. Perché Putin continuerà a vendere petrolio al mondo fino al 2023, salvo poi fregarsene dell’Europa avendo già rimpiazzato il nostro mercato con quelli di Cina e India, ben felici di godere di uno scontro enorme sul greggio degli Urali rispetto al Brent. 

E il debito, il famoso default? A fronte del non rinnovo dell’esenzione Usa sul pagamento di cedole e coupon e in vista della prossima deadline fissata al 23 giugno, il ministero delle Finanze russo ha deciso di applicare al debito sovrano lo stesso schema ruble-for-gas deciso da Vladimir Putin per tutelare Gazprom: chiunque detenga o voglia detenere obbligazioni governative russe deve obbligatoriamente aprire un conto in rubli presso un istituto russo, il quale riceverà in valuta locale i corrispettivi dovuti per i premi sui Buoni e quindi li convertirà in dollari o euro tramite una banca occidentale che operi da clearing agent.

Strano che nessun tg ne abbia parlato nelle sue dettagliate e trionfanti cronache, degne dell’Istituto Luce, del Consiglio europeo che ha partorito il topolino mitomane del tetto sul prezzo del gas, materia su cui la Commissione è stata incaricata di elaborare un piano. Tradotto, a babbo morto. E guerra finita. Non a caso, Germania e Francia non stanno inviando nemmeno un proiettile a Kiev. Da settimane. Indovinate chi saranno invece i geni che, caduto del tutto il castello di balle della propaganda ucraina, resteranno sotto le macerie di un rapporto totalmente compromesso con la Federazione Russa? 

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