Res ipsa loquitur. I fatti parlano da soli. E il fatto che il ministro degli Esteri continui a spingere sul tasto delle privatizzazioni, di fatto scavalcando Palazzo Chigi e Mef, parla chiaro. A Cernobbio, Antonio Tajani ha detto molto. Ad esempio, ha sottolineato come sull’Ucraina “l’Europa non può sempre rincorrere gli Stati Uniti”. Mentre sulla questione Cina, ha voluto rendere noto come “la Via della Seta non ha dato i risultati sperati”.



Su quest’ultimo punto, stante l’enormità – non fosse altro strategica – del progetto, meglio tacere. Perché se da un lato sventoli golden power dalla sera alla mattina e dell’altro vuoi risultati concreti dell’interazione con l’interlocutore, forse devi fare pace con te stesso. Prima che con Pechino. Chissà che nella sua due giorni ufficiale che si conclude oggi nella capitale cinese, le idee si siano chiarite.



Sul primo punto, c’è invece da registrare la strana contemporaneità della presa di coscienza della Farnesina con l’approssimarsi della stagione dei termosifoni accesi. Inoltre, appare decisamente interessante come la presa d’atto sulla necessità di equilibrio nei rapporti Nato sia arrivata nel giorno in cui Giuliano Amato, attuale Garante del Codice di comportamento sportivo del Coni, decida di svelare un peccatuccio: il DC9 della strage di Ustica fu abbattuto da un missile francese. Destinato a Gheddafi. E Macron – che nel 1980 aveva 3 anni – deve chiedere scusa. Certo, ora rappresenta la Francia. Ma non vi pare strano un siluro diplomatico a freddo di questa portata? E poi perché il Dottor Sottile, oggi pensionato d’oro al Coni? Forse perché uomo del lavoro sporco, come insinuarsi nei conti correnti nottetempo per portarci in Europa? Alla faccia del Patto del Quirinale, figuriamoci se con i francesi fossimo in guerra. Forse gli otto giorni di rinvio per l’inizio dei lavori al tunnel del Monte Bianco sono parsi un pannicello caldo inaccettabile a Roma? Se anche fosse, imputare una strage di civili nel corso di un atto di guerra coperta nel Mediterraneo appare un po’ sproporzionato.



O forse c’è dell’altro. Forse occorre mettere mano alla dichiarazione di Antonio Tajani che la stampa italiana ci ha messo mezza giornata ad assimilare e digerire, mentre Bloomberg ci ha dedicato un pezzo in esclusiva in tempo reale. Nonostante contenesse una sola frase inedita. Ovvero, “l’Italia potrebbe accelerare già nel breve termine la vendita della sua quota in Monte dei Paschi”. Sottopancia di Bloomberg: per fare cassa. Ulteriore sottopancia, questa volta esplicito nel testo: “Nonostante questo potrebbe far scattare l’allarme presso i regolatori europei e i mercati finanziari”.

D’altronde, dopo l’aumento di capitale di novembre e il piano di risparmi da paga-Pantalone che lo garantiva, il titolo Mps ha guadagnato il 30%. E la banca appare, se non sana, certamente non più moribonda. Mef e Palazzo Chigi non hanno nulla da dire, quantomeno sul carattere da svendita per necessità di liquido che traspare dall’annuncio? E chi sarà il “cavaliere bianco” nel caso? O meglio dire chevalier blanc, se quel messaggio tutt’altro che in codice verso Parigi ha un senso? Res ipsa loquitur. E annunciano burrasca. Non fosse altro per la valanga di sassolini che, sempre a Cernobbio, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha voluto togliersi dalla scarpe. In primis verso palazzinari e dintorni che hanno mangiato con il SuperBonus lasciando il conto da pagare allo Stato e rendendo la prossima manovra una strada senza uscita. Di fatto, è l’elettorato cui Forza Italia liscia il pelo da sempre. In seconda battuta, proprio sulla privatizzazione-sprint di Mps. Stroncata senza appello.

Non c’è che dire, dalla kermesse sul lago il Governo esce davvero rafforzato e coeso. Ma c’è dell’altro, e paradossalmente di più grave che è uscito dal brainstorming collettivo del Forum Ambrosetti. Questo: “L’inverno demografico sta ridisegnando il perimetro del mondo occidentale. Servono 250.000 immigrati per invertire un trend che vale un terzo del nostro Pil”.

Insomma, a Cernobbio hanno le idee chiare. Per evitare il collasso – prima dei conti Inps che dell’economia – occorre l’esercito industriale di riserva. Karl Marx ci era arrivato un pochino prima. Pur non essendo proprio d’accordo con l’assunto di fondo. Ora, date un’occhiata ai due grafici:

ad agosto, 1,2 milioni di lavoratori nativi statunitensi hanno perso il lavoro, prontamente rimpiazzati da 711mila stranieri di nascita. Rispettivamente, il peggior calo su base mensile dal collasso occupazionale del Covid e il massimo da 3 anni a questa parte. Sempre in era pandemica. Un periodo che solitamente non si prende ad esempio per edificanti dinamiche da utilizzare come playbook per il futuro. Insomma, a Cernobbio hanno scoperto l’acqua calda. Sia rispetto a Karl Marx, sia rispetto agli Usa. Dove notoriamente il mercato del lavoro è mobile. Decisamente più mobile che in Italia. Ma anche strutturalmente sostenuto nelle sue mancanze da un ricorso di massa a indebitamento e credito al consumo come tacita componente “integrativa” del reddito.

Ma a Cernobbio non demordono. Se gli italiani non fanno figli, perché hanno salari inadeguati – oggi ulteriormente erosi da un’inflazione 3 volte il target Bce – e contratti dadaisti da Cabaret Voltaire, basta rimpiazzarli con poveracci che arrivano da Paesi e condizioni talmente infami da tramutare una paga da 3 euro l’ora nella Silicon Valley. E la produttività?, gridano i liberali all’amatriciana. Verissimo. Il problema si pone quando però chiedi produttività tedesca a fronte di salari moldavi. A meno che l’ideale di contrattazione collettiva che hanno a Cernobbio non sia quello della costruzione delle piramidi.

Sullo sfondo, poi, il paradossale dibattito su salario minimo e cuneo fiscale. A saldi invariati, stanti i conti. E tre morti sul lavoro al giorno. Cui se ne sono appena aggiunte 5. In un colpo solo. Danni collaterali di lavori che non potevano attendere trafile e tempi tecnici. Le mogli invece possono attendere – invano – il ritorno a casa dei mariti. Serve l’America.

Il problema è che, piaccia o meno, il sistema qui sta saltando. Silenziosamente. Ma ogni mese, l’aumento del debito pubblico equivale a un memento. Siamo bloccati. La coperta è talmente corta da non lasciare fuori solo i piedi. Ma anche le braccia. Le spalle. Ormai ci si può coprire solo la pancia. E nemmeno quella di tutti. Urgono quindi armi di distrazione di massa, visto l’approssimarsi del tipping point. Il punto di non ritorno. I salari non salgono. L’inflazione non può scendere, altrimenti stock di debito come il nostro divengono strutturalmente insostenibili. In una sola notte. Si importa manodopera non specializzata, perché quella skilled vuole essere pagata. Almeno per potersi permettere un affitto e cibo. Magari il lusso di un cinema. Ingrati. Quindi, va a lavorare negli ospedali di Liverpool o nei laboratori di Gelsenkirchen. La morale? Perché nessuno – nessuno, totalmente bipartisan – ha il coraggio di dire al Paese cosa sta per succedere?

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