Sicuri che ci sia davvero da festeggiare per i conti record presentati mercoledì sera da Nvidia? Pochi istanti e il titolo è crollato del 6% nelle contrattazioni after-hours in assenza del numero magico nella guidance, i mitici 25 miliardi. Poi +9%. In pochi minuti. Di per sé, già folle.

Ma date un’occhiata al grafico, se vi piace la follia. Las Vegas non può più competere con il mercato azionario. E anche Erasmo da Rotterdam avrebbe qualcosina da imparare: parliamo di opzioni call per il titolo a 1.300 dollari per azione con scadenza venerdì 23 febbraio. Ovvero, oggi. Acquistate nel momento in cui il titolo contrattava a 743 dollari per azione nel corso dell’after-hours miracoloso di mercoledì. Praticamente, il raddoppio in due giorni di trading.



Eppure, basterebbe un po’ di prospettiva per capire che siamo di fronte al classico accident waiting to happen. Solo qualche ora dopo questo Capodanno in ritardo, quando a New York ci si è svegliati dall’euforia della sbornia, in molti si sono amaramente resi conto che quel movimento folle avvenuto in pochi minuti aveva fatto evaporare il valore di altre opzioni. Quelle che in attesa dei numeri di mercoledì sera operavano in uno straddle o contratto a doppio premio su movimento bidirezionale +/-10%. Ovvero, acquisto contemporaneo di long e short ma con medesimo strike price e medesima scadenza. Puff. Ma, paradossalmente, è tutto ciò che si è mosso attorno a Nvidia a dover far riflettere. Pochi istanti dopo la pubblicazione completa dei numeri, l’altra grande vedette del rally tecnologico, SMCI, ha proposto una note senior convertibile per il controvalore di 1,5 miliardi. Se volevano uccidere la magia, tradendo il carattere da prendi i soldi e scappa del tipping point descritto da Nvidia nella guidance non potevano scegliere modo migliore. E più pacchiano.



Ma ciò che conta davvero è quanto avvenuto prima della pubblicazione dei numeri: la leader indiscussa del mercato dei chip, TSMC, ha venduto 850.000 azioni di ARM per 102 milioni di dollari. E i taiwanesi sanno riconoscere una bolla. Storicamente. Soprattutto, quando Nvidia scrive nero su bianco quanto segue: DATA CENTER SALES TO CHINA DECLINED SIGNIFICANTLY. E poi: Not received licenses to ship restricted chips to China… Started to ship alternatives to China market in small volumes. Dunque, tipping point per l’Intelligenza artificiale generativa. Ovvero, presa d’atto per il comparto di un livello raggiunto il quale ogni mossa o mutamento inaspettato può generare sconquassi. Esiziali. E poi una messa in guardia sulla Cina e il suo mercato. Magari, la sua attuale e futura regolamentazione. Magari, la sua intera strategia di deterrenza e multilateralità.



Financial warfare, insomma. Casualmente, TSMC attende fino all’ultimo giorno utile prima che Nvidia sveli successi ma anche altarini e – a poche ore dallo show – scarica il generatore seriale e ormai nemmeno troppo occulto di pumping del settore AI che fa capo a Softbank. Davvero c’è da stare tranquilli, davvero c’è da festeggiare e basta?

Certo, mercoledì pomeriggio Goldman Sachs ha definito Nvidia il titolo azionario più importante al mondo. E visti i numeri, è vero. Ma su quale materiale è realmente costruito quel titolo? Parevano chiederselo il -7% di martedì e il -1,5% del pre-market di mercoledì, quasi un omen di una delusione che avrebbe rischiato di tramutarsi nello spillo che buca la bolla. Oppure era l’ennesima, strategica creazione della madre di tutti gli short squeeze che spedirà il tech nell’iperuranio? Da ora in avanti, scusate l’iconoclastia, non me ne frega assolutamente più niente del day after di Nvidia e soci. La notizia con la n maiuscola è questa, rilanciata dal Financial Times. E cosa ci dice il quotidiano della City edito da Nikkei, a meno che nottetempo non si sia tramutato in uno strumento del catastrofismo finanziario? Nulla di preoccupante: conferma soltanto che la crisi bancaria del marzo 2023 e i suoi risorgenti tremori attuali siano stati creati a tavolino. Per il semplice fatto che chi di dovere si trovava di fronte a due alternative: ammettere di fronte al mercato che la bolla immobiliare era enorme e gli accantonamenti precauzionali inesistenti. Oppure generare una cortina fumogena sul settore creditizio che obbligasse Fed e Tesoro a mettere in campo con ampio anticipo sul redde rationem tutti gli strumenti di sostegno necessari per evitare un altro 2008.

Un applauso. Perché finora tutto è andato liscio. A parte un paio di banche saltate e qualcuna in procinto di farlo. Ma fino alla March madness, il processo di dissimulazione è funzionato alla grande. L’11 marzo il Btfp terminerà? Tutto da vedere. In compenso, qualcuno alla Fed ha preso in parola lo strumentale grido d’allarme di Lorie K. Logan, numero uno della filiale di Dallas. Il reverse repo potrebbe non andare a 0, stante le necessità del Treasury di emettere col badile per mantenere artificialmente lontano dalla recessione il Pil elettorale. Si parla di un cuscinetto minimo di 200 miliardi. Et voilà, ulteriore tassello. D’altronde, la prima ipotesi vedrebbe tutti sul banco degli imputati: banche, finanziarie, regolatori, Banca centrale e società di rating. Non sia mai.

In compenso, questo grafico ci mostra come il contagio del real estate commerciale Usa abbia colpito in pieno la seconda banca tedesca esposta.

Dopo PPB, ecco che Aareal Bank sta silenziosamente scivolando. D’altronde, sel’esposizione al Cre è di 32,4 miliardi di euro e quello statunitense pesa per il 31% del totale, si capisce perché la scorsa settimana Fitch abbia operato il downgrade a BBB. Ma con outlook stabile. Il motivo? Il playbook Usa è ormai stato adottato come libro di testo anche in Europa: oggi declasso, ma il domani è roseo. Perché a ogni crisi segue un Qe. Un Tltro. Un salvataggio di Stato. Una bad bank che capitalizza più della casa madre, come accadde con il periodo penitenziale di Deutsche Bank. Avanti così, attendiamo serenamente i conti di Nvidia. Senza chiederci quando questo circo Barnum si schianterà contro una semplice domanda: quanto può espandersi il bilancio di una Banca centrale?

Marzo si avvicina. Ormai è alle porte. Meglio fare naufragio prima, garantendosi scialuppe e rimorchiatori federali, sacrificando una chiatta che aveva voluto farsi tanker. Chi ha venduto oggi conta poco. Conta chi ha comprato prima. Prima che qualcuno che non sta ai patti anticipi la sua sell-off salvavita. Senza concordarla. Meglio essere i primi. Archegos è partita così.

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