Caro direttore,

dunque, l’Ambasciata ucraina presso la Santa Sede ha protestato per la presenza di cittadini russi alla Via Crucis. In contemporanea, il Presidente Zelensky ha vietato la visita a Kiev al Presidente tedesco Steinmeier e chiesto all’Unione europea che, Stato per Stato, i suoi membri comunichino ufficialmente la data di cessazione degli acquisti di gas russo. Voi che fino a oggi avete sventolato bandierine giallo-blu e maledetto Vladimir Putin, davvero non cominciate a sentire almeno un principio di puzza di bruciato? E, soprattutto, davvero non vi sentite nemmeno un pochino presi per i fondelli e trattati da camerieri? 



Vi appare lineare che, come sottolineato dal generale Tricarico, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare e quindi difficilmente tacciabile di simpatie anti-atlantiche, «la parola “negoziato” non è mai stata pronunciata né dal presidente Biden, né dal segretario della Nato, Stoltenberg, né dal segretario di Stato Usa, Blinken, né dall’inglese Boris Johnson»? Né, mi permetto di aggiungere, soprattutto dal Presidente Zelensky o dal suo ministro degli Esteri, la cui unica preoccupazione è stata ricevere armi e, stranamente, facilitare l’esodo dal Paese di cittadini provenienti soprattutto da aree totalmente estranee al conflitto. 



In Germania, ve lo anticipo, i numeri enormi di profughi già arrivati – siamo oltre 300.000 unità – hanno fatto storcere un po’ il naso alla stampa ed è emerso il primo scandalo: passaporti ucraini venduti a peso d’oro da organizzazioni malavitose internazionali a cittadini soprattutto di etnia rom e sinti. Quanto ci vorrà prima che la questione raggiunga anche le nostre latitudini? La realtà è una brutta bestia, lo so. Come ad esempio ci mostra questo grafico, poiché negli Usa a fronte di un’inflazione che ha marzo ha toccato l’8,5% hanno anche il coraggio di parlare di Putinflation, ovvero l’aumento dei prezzi unicamente ascrivibile all’operazione militare in Ucraina. Penso che l’immagine parli da sola, a livello di responsabilità politiche e monetarie per lo sviluppo dell’attuale trend dei prezzi.



E che la situazione stia prendendo una piega strana lo mostra plasticamente questo altro grafico, il quale ci mostra la presenza del tema Ucraina o Kiev nella copertura dei media online a livello globale. In gergo si chiama intensità di volume, di fatto nulla più che la tracciatura del numero di articoli in cui è presente una o più parole chiave dell’argomento nei notiziari di vario tipo in Rete (https://api.gdeltproject.org). 

Eppure, la guerra non è finita. Anzi, stando al Cremlino, solo ora si entra nella fase più decisiva. Oltretutto, poi, resta apertissima e in chiaro trend di peggioramento la partita delle sanzioni e del conseguente fall-out economico, in primis sui costi dell’energia e sul suo approvvigionamento. Eppure, la parabola discendente è chiara. E netta. Così come l’intensità del dibattito sanzionatorio in sede europea, però. Quantomeno, dopo l’ultimo no tedesco all’inclusione del gas. E gli Usa, cosa hanno sanzionato? Il petrolio. Certo, peccato che lo abbiano fatto dopo aver acquistato milioni e milioni di barili di greggio degli Urali a prezzo di sconto, poiché quel tipo di petrolio pesante è necessario per il fracking con cui estraggono il loro greggio e il gas che poi rivenderanno liquefatto e a prezzo maggiorato del 30% a quei geni degli europei. 

In compenso, guardate questo grafico: ci mostra i tre principali hub per l’export di petrolio russo dal Mar Nero. Bene, il cosiddetto risk premium legato alla guerra sta rendendo insostenibili già oggi i costi di noleggio dei cargo per il trasporto di petrolio russo dai porti del Mar Nero, tanto che alcuni sottoscrittori starebbero chiedendo extra-fees pari al 10% del valore dello scafo. Insomma, il costo per assicurare un tanker vecchio di 5 anni e di 50 milioni di valore per il trasporto di un milione di barili di greggio degli Urali a oggi sconta premi assicurativi pari a 5 milioni di dollari, 1,5 milioni in più del costo del mero noleggio. 

Dati pubblicati da Bloomberg mostrano come noleggiare un tanker per compiere la tratta dal porto di Novorossiysk all’Italia normalmente costerebbe 700mila dollari, mentre oggi già viaggia attorno ai 3,5 milioni ai causa dei premium richiesti. Insomma, il possibile bando totale sul petrolio russo unito ai costi ingestibili del suo trasporto rischiano di schiantare l’export verso il fiorente mercato europeo (a tutto vantaggio di quello asiatico e della casse moscovite, comunque in surplus record), mantenere le forniture globali ai livelli di restrizione minima attuale perpetuare – se non aggravare – le dinamiche dei prezzi per un lasso di tempo decisamente più lungo del previsto e di quanto scadenzato dallo stesso conflitto bellico. 

Nemmeno alla luce di questo trovate quantomeno strano l’aut aut di Zelensky ai Paesi europei rispetto all’indicazione chiara e vincolante di una data di cessazione delle importazioni energetiche, gas soprattutto, dalla Russia? E siete davvero sicuri che quei miliardi di metri cubi di gas che il nostro Governo ha contrattato con l’Algeria ci garantiranno un cuscinetto efficace, stante il fatto che in gran parte arriveranno sotto forma liquida e noi siamo a corto di rigassificatori? E quanto tempo ci vorrà, mentre le aziende già oggi chiudono a ritmi record? 

Ed eccoci alla domanda finale, alla luce di quel dato sul calo netto dell’intensità di volume dei flussi di notizie globali riguardo l’Ucraina: il fatto che in Italia, invece, quel tema rimanga ossessivamente oggetto di discussione e approfondimento unidirezionale, cosa ci dice? E non mi riferisco all’indipendenza della stampa dal potere, battaglia quest’ultima già persa da tempo. Bensì della reale situazione economica della nazione e della necessità di una cortina fumogena emozionale permanente (stante la fine in tal senso del Covid), in grado a sua volta di offrire un alibi pronto uso per misure draconiane in campo economico e trend macro che divorano letteralmente salari e potere d’acquisto. D’altronde, negli Usa si sono inventati la Putinflation per giustificare l’inflazione all’8,5%, massimo dal 1981, pur di non ammettere le condotte a dir poco criminali di Tesoro e Fed per contrastare la pandemia. Quanto ci metteranno a palazzo Chigi o al Mef prima di scomodare il medesimo argomento, stante anche le sempre crescenti tensioni attorno alla delega fiscale? O sarà la seconda mossa del cavallo renziana sulla riforma della giustizia a evitare alle forze politiche che reggono il Governo – ormai ridotte a una maionese impazzita di tutti contro tutti – di dover mettere la firma su un Def che ha i profili di una resa incondizionata all’Europa e al destino ineluttabile, come testimoniano i rendimenti record raggiunti dal Btp? 

Pensateci, perché nel frattempo la sanzionata Russia ha appena festeggiato un surplus record e confermato di avere fondi a sufficienza per onorare tutto il suo debito. Noi, invece, rischiamo di spararci nel piede e restare senza gas. D’altronde, volete la pace o il condizionatore acceso? 

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