Sulla terza rata del Pnrr italiano, siate certi che la Commissione non erogherà mai pagamenti senza che siano stati raggiunti tutti i risultati. Parole e musica di Paolo Gentiloni, Commissario Ue agli Affari economici, pronunciate non più tardi di lunedì a Strasburgo. Per trovare la notizia, però, occorre tramutarsi in rabdomanti. Onore all’agenzia stampa Nova. D’altronde, i grandi media hanno altro a cui pensare. Se si guarda all’Europa, tutti concentrati sull’agenda verde che rischia di deragliare a causa dell’ostruzionismo di Ppe e Conservatori. Se si resta in patria, l’unico tema è quello della riforma della giustizia con il suo coté di scandali accessori. Guardando la situazione dal punto di vista di palazzo Chigi, poi, esiste solo l’Ucraina. Un’ossessione ormai.



In compenso, Giancarlo Giorgetti da giorni tace. L’ultima uscita del Mef riguarda il famoso piano B: ovvero, proprio in caso di mancata erogazione delle rate del Pnrr, maggiori emissioni di debito per tamponare i conti. Ed evitare una manovra correttiva da lacrime e sangue in autunno. Tradotto, il signor Rossi può scegliere: o si riempie di Btp variamente indicizzati all’inflazione oppure si prepari a un bel taglio dei servizi, visto che quest’ultimo appare veleno politico e sociale a effetto più lento dell’aumento delle tasse. E in primavera, ci sono le Europee. Insomma, quel piano B in realtà era già piano A. La favola propagandistica del Pnrr è finita. Due rate e i miracolosi 209 miliardi strappati dal governo Conte si sono tramutati in realtà in poco più dell’ammontare del Mes sanitario che si è voluto evitare come la peste. Poiché troppo vincolante. Ma la cosa grave è che da oggi, quantomeno in punta di onestà intellettuale, è terminato anche l’effetto doping del Pnrr sui conti pubblici. Nadef alla mano, di fatto mancano 35 miliardi di terza e quarta rata. Perché nemmeno un miracolo potrebbe garantire all’Italia il raggiungimento di tutti gli obiettivi prefissati entro i tempi stabiliti.



Il primo, letale effetto collaterale dell’azzardo sulla ratifica del Mes si è presentato a tempo di record. E in via decisamente ufficiale. Da Strasburgo. Tramite parole di certezza del Commissario ad hoc. Italiano ed ex Premier. Certo, lo spread non fa un plissé. Perché nonostante il dimagrimento record del bilancio Bce, il mercato è ancora obbligato a ritenere sufficiente la schermatura preventiva di Francoforte, quella deterrenza talmente forte da aver lasciato ancora sul piatto inutilizzato persino il revolver del reinvestimento titoli. Per ora, nessun timore. Se non quello folle che vede tutti tranquilli sul lato del debito sovrano, poiché la recessione tedesca rappresenta lo spoiler per l’intero Continente. E dopo un ciclo rialzista record in piena contrazione, la Bce non potrà compiere anche il supremo policy error. Alla Trichet, per capirci.



O magari, sì. Magari, stante un nuovo rialzo già confermato per il 27 luglio prossimo, l’attenzione dovrebbe concentrarsi già ora sul board del 14 settembre. In zona Lehman. Direte voi, al netto delle panzane della campagna elettorale, è dura far finire la pacchia all’Europa. Vero. Ma il politico vero sa vendersi. Perché la narrativa conta. Conta molto. E la Grecia, ad esempio, è stata brava a imporre la propria. In primis, facendosi pagare a caro prezzo la cura da cavallo impostale per la crisi debitoria del 2010-2012.

Partiamo dal dato meno economico di tutti: poche settimane fa, la guardia costiera ellenica ha di fatto voltato le spalle a una nave di immigrati in difficoltà. Risultato, 600 morti. Durata dello scandalo e dell’indignazione? Un giorno. Forse due. Cutro ha tenuto banco in Italia e in Europa per settimane. Non a caso, Atene snobba il dibattito europeo sull’immigrazione, nonostante la sua collocazione geografica dovrebbe farne uno dei protagonisti. A Tunisi con Giorgia Meloni andò l’olandese Mark Rutte. Il greco Kyriakos Mitsotakis era impegnato in campagna elettorale, dove ha mostrato la faccia feroce sul tema. Garantendosi un successo quasi plebiscitario. Quando sei stato la cavia da laboratorio di un esperimento di fondamentale importanza, poi godi di qualche plus.

Ad esempio, senza averne il peso, riesci a ottenere dal G7 ciò che ti fa più comodo. Nonostante sia in palese contraddizione con la retorica bellicista occidentale: il price cap sul petrolio russo rimane all’inefficace livello di 60 dollari al barile. Bocciata la richiesta di portarlo a 50. La ragione? La mostra il grafico. Mentre l’Italia, Paese che con la Grecia condivide banche sovra-esposte ai prestiti Bce e al debito sovrano e flussi migratori provanti, si è totalmente inimicata Mosca e ora scherza col fuoco dello stralcio del memorandum con Pechino, le aree blu dei grafici ci dicono quanto segue.

Primo, le navi della Grecia trasportano la parte sostanziale del greggio russo. Secondo, paradossalmente il trend è incrementato dopo lo scoppio della crisi ucraina. Ovvero, sotto sanzioni. Terzo, oggi come oggi Atene e Mosca sono legate indissolubilmente da un cordone ombelicale di ipocrita grey market, noto a tutti e da tutti tollerato. Quarto, gli armatori greci scaricano i loro vecchi tankers alla Russia, Che li compra in automatico. Nuove commesse, nuovi stanziamenti. Mosca è obbligata a esportare petrolio a ogni costo e condizione, quindi “done deal”. Tutto questo, alla luce del sole. Ma lontano dai riflettori dei media. I quali, stranamente, quando parlano di Grecia ricorrono sempre al cliché assolutorio del Paese martire della Troika. Scordandosi il legame con Pechino nato dopo la cessione dei porti del Pireo, quello con la Germania – un tempo “torturatrice” – che ha acquisito gli scali aeroportuali più strategici per il turismo e quello con Mosca che vede in Atene il vero broker per bypassare le sanzioni. In seno all’Ue.

Qualcuno paga i costi, qualcuno ne beneficia. Come pensate che Atene abbia potuto ripagare in anticipo Fmi e Bce? Possibile che, stante il carico di ricatti cui dobbiamo sottostare a ogni vertice, nessun Governo abbia avuto il coraggio di prendere la scarpa e sbatterla sul tavolo, mostrando quei grafici? Tutti incompetenti? Inadeguati? C’è quasi da sperarlo. Almeno, stando all’alternativa. Una cosa è certa, però, da lunedì pomeriggio: la pantomima del Pnrr è finita. Ora inizia la sfida vera. E dare la colpa all’ipertrofia politica dei magistrati o all’austerità tedesca di certo non ci salverà dal nemico peggiore: la realtà.

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