La Russia minaccia la Nato. Questo titolo campeggiava sulle prime pagine di molti quotidiani di ieri e forniva l’assist per accalorati dibattiti in studi televisivi travestiti da patio di una villetta del Maryland con bandiera americana in bella vista. Peccato che mancasse l’antefatto, la ragione scatenante di quella minaccia. Ovvero, il fatto che al vertice da Dottor Stranamore tenutosi a Ramstein in Germania, il Regno Unito avesse avuto la straordinaria intuizione di rendere noto il proprio punto di vista sull’utilizzo delle armi che l’Occidente sta fornendo con il badile a Kiev: attacchi ucraini con armamenti Nato su territorio russo sono da ritenersi legittimi. Ora, al netto della stupidità o della malafede, cosa avrebbe dovuto rispondere Mosca? Prego, bombardateci pure, tanto non reagiremo?
Altra grande motivazione di sdegno è stato l’ultimatum di Gazprom alla Polonia rispetto alle forniture di gas: o pagate entro oggi (26 aprile) in rubli oppure da domani mattina (27 aprile) alle 08:00 blocchiamo i flussi. Quante volte la Russia aveva avvisato al riguardo? E quante settimane fa aveva reso noto il cambiamento di modalità dei pagamenti? A fronte di un Occidente che aveva come unico approccio negoziale quello di aumentare le sanzioni e che alzava l’asticella dello scontro a Ramstein, proprio mentre il numero uno dell’Onu era a Mosca a tentare una mediazione (strana contemporaneità, non vi pare?), cosa avrebbe dovuto rispondere il Cremlino?
Ora, io capisco che tutto ciò che ricorda anche soltanto lontanamente la Russia oggi rappresenti il diavolo, ma occorre anche essere seri e non abbassarsi al livello di Repubblica. Ad esempio, basterebbe guardare questo grafico, il quale ci mostra come la valutazione dei futures del gas statunitense, quello frutto del fracking (dannosissimo per l’ambiente, ma apparentemente accettabile anche da Greta, se serve a far fuori Vladimir Putin), sia volata alle stelle in apertura di contrattazioni negli Usa. Ovvero, prima che Gazprom inviasse la nota ufficiale al Governo di Varsavia.
Altra strana coincidenza. Ma nemmeno troppo, perché la stessa Bloomberg scriveva come quella dinamica fosse interamente da mettere in relazione a due dati: il livello di refill settimanale della fornitura interna che era sceso sotto la media a 5 anni e il fatto che l’offerta di LNG cominciava a inviare segnali di tensione. Proprio a causa dell’aumento dell’export verso l’Europa per sostituire il gas russo. Guarda caso, nel giorno in cui Mosca viene tirata per i capelli e costretta a utilizzare una delle sue armi geo-economiche strategiche, i futures del gas Usa anticipano l’avvenimento. Il tutto dopo una montagna russa che nell’arco di poco più di un mese ha visto le valutazioni passare da un massimo a 13 anni al bear market (-20% dal picco) della scorsa settimana. Tradotto per gli analisti con l’elmetto, negli Stati Uniti stanno già fregandosi le mani di fronte alla stupidità e al servilismo europei.
Ma non basta. Guardate questa tabella, la quale graficizza i risultati dell’ultimo studio dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) relativo alle spese militari nel mondo per il 2021. Esatto, l’anno scorso. Quando quindi l’unica emergenza ufficialmente riconosciuta era ancora la pandemia e la Russia non aveva mossa ancora un solo tank verso il confine.
Bene, a meno che l’istituto svedese non si sia tramutato di colpo in uno strumento di propaganda del Cremlino, scopriamo che per la prima volta in assoluto le spese per warfare mondiali hanno sfondato quota 2 trilioni di dollari. Per l’esattezza, 2,1 trilioni, un +0,7% sull’anno precedente e il settimo anno consecutivo di aumento. Giova ripeterlo: prima dello scoppio della crisi ucraina. Ma non basta. Perché addentrandoci nelle cifre, scopriamo che con i loro 801 miliardi di spesa militare (38% del totale globale), gli Usa hanno battuto da soli gli stanziamenti di nove Paesi messi insieme: Cina (293 miliardi), India (76,6 miliardi), Regno Unito (68,4 miliardi), Russia (65,9 miliardi), Francia (56,6 miliardi), Germania (56 miliardi), Arabia Saudita (55,6 miliardi), Giappone (54,1 miliardi) e Corea del Sud (50,2 miliardi).
E, probabilmente colto da un attacco fulminante di anti-americanismo di ritorno, il Sipri fa notare anche come – in contemporanea con la pubblicazione del suo report annuale -, Joe Biden non solo abbia rinviato al mittente le richieste di alcuni legislatori per un taglio della spesa del Pentagono, ma, anzi, abbia chiesto al Congresso luce verde per circa 813 miliardi di nuovi stanziamenti per la difesa per il prossimo anno fiscale, un aumento di 31 miliardi rispetto alla spesa attuale. Sono cifre. E non opinioni. E se questa richiesta della Casa Bianca viene ovviamente motivata dalla necessità di farsi trovare pronti contro la rinnovata minaccia russa, occorre far notare ai camerieri di Zio Sam come questa corsa al riarmo degna della Guerra Fredda a Washington sia partita con ampio anticipo. Un po’ come l’esplosione al rialzo dei prezzi dei futures sul gas rispetto all’ultimatum ufficiale di Gazprom alla Polonia.
Ora, mi chiedo: ma vi piace davvero così tanto doverci anche rimettere materialmente e a livello economico, oltre a dover accettare lo status morale e umano di servo della gleba degli interessi altrui? Siete davvero sicuri che, quando cercate un vero responsabile per il caos in cui stiamo precipitando giorno dopo giorno, la vostra testa si stia voltando verso la latitudine esatta? Certo, il bombardamento mediatico è ancora fortissimo al riguardo. Compare qualche crepa nella narrativa, sempre più visibile, strutturale e divaricante, ma la macchina del consenso è rodata e potentissima. Un panopticon di propaganda e disinformazione che copre a 360 gradi tutto il sistema informativo e politico. Ma non durerà. Perché trattasi di John Wayne da tastiera, gente che al primo missile sparato su un campo di patate polacco come avvertimento corre dalla mamma. E smetterà di atteggiarsi a Rambo, comodamente seduto in poltrona.
A quel punto, state certi, cominceranno gradualmente ma sempre più speditamente a sparire le bandierine ucraine dai profili social. E, alla fine, Vladimir Putin tornerà a far parte del genere umano, rientrando in pieno nella paraculesca categoria tutta anglosassone del devil you know. Un diavolo brutto ma con cui occorre trattare e scendere a patti, in modo da rendersi conto che forse è meno orripilante di come lo si dipinge. Quantomeno, fino a quando avrà saldamente la mano poggiata sul rubinetto del gas.
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