Cosa sappiamo del Bce-day? Che Francoforte ha alzato i tassi e la Borsa ha festeggiato, convinta che – con pausa agostana e recessione davanti – quello sarebbe stato l’ultimo ritocco. Fin qui, l’ufficialità. Ma ciò che non sappiamo è ciò che conta. Anzi, ciò che non ci hanno detto. Ciò che di contemporaneo a quella mossa delinea la situazione attuale. E quella dell’immediato futuro per l’Italia.



Ad esempio, la Bce ha deciso di non remunerare più la liquidità che le banche dell’eurozona depositano presso di lei come riserve minime. Un colpo all’interest income, insomma. Con decisione immediata. E in piena e drastica contrazione non solo degli standard creditizi nell’eurozona, ma anche della massa monetaria M1, precipitata su base annua con altrettanta repentinità del costo del denaro. E si sa, solitamente l’M1 anticipa le recessioni, come mostra il grafico, su base anticipatoria trimestrale.



Ma c’è dell’altro. Un filo rosso ha legato Francoforte e Roma in una staffetta simbolica. Chiusa la conferenza stampa di Christine Lagarde, la parola è passata a Raffaele Fitto in qualità di responsabile della cabina di regia sul Pnrr. L’Italia è nuovamente intervenuta sul piano. E ha tagliato progetti per 16 miliardi, di fatto azzerando tutto ciò che riguarda interventi contro il dissesto idrogeologico. Insomma, ciò che a ogni pioggia più forte del dovuto viene dipinta come priorità nazionale, sparisce dal masterplan. In compenso, la bozza di revisione del Pnrr punta tutto sull’agenda RepowerEU, quella per l’efficientamento energetico e nuovi bonus green. Se 16 miliardi sono stati tagliati, ben 4 sono stati destinati solo a quest’ultima voce. Nuovi bonus,. Energetici. Ma, di fatto, edilizi. D’altronde, da quando il superbonus è entrato nel dibattito fra Roma e Bruxelles sui fondi, tutto ha subito una strana accelerazione.



E a proposito di fondi, quelli della terza rata non arriveranno subito. Fine settembre. Lo ha confermato il Governo, sempre in sede di Pnrr. Mentre Giorgia Meloni entrava con la sua agenda anti-Cina alla Casa Bianca, sperando in una lievitazione stile muffins della voce FdI degli Stati Uniti in Italia. Certo, alla luce del bidone tirato da Intel al nostro Paese, mentre apriva stabilimenti in Polonia e Germania (addirittura due), qualche dubbio sorge. Attendiamo smentita. Speranzosi. Ma cosa, soprattutto, la Bce non ha detto e l’Italia non vuole ammettere?

Ce lo mostra il grafico, fresco di pubblicazione da parte dell’IIF e relativo all’ultimo anno. Non ai tempi del Covid, all’oggi. Fino al 31 maggio scorso, la correlazione fra emissioni di debito italiano e acquisti della Bce è stata pari al 61%. Tradotto, dipendenza totale. Tradotto ulteriormente, commissariamento europeo già in atto. Piaccia o meno. Perché non esistono abbastanza signor Rossi a cui vendere Btp indicizzati agli unicorni e spacciati dalla stampa come “imperdibili” per tamponare anche solo un dimezzamento di quella correlazione.

A settembre, alla Bce si parlerà di reinvestimento. E futuro del Qt. La vera partita per l’Italia è quella. Non i tassi di interesse. Capito perché non ve lo dicono? Insomma, c’è il rischio che sia il meccanismo stesso del Qe a rivoltarsi come Frankenstein. E creare non poche rogne all’Italia. Col Qe, una Banca centrale stampa denaro da utilizzare per acquisti di securities presso soggetti finanziari, principalmente banche. Debito, soprattutto. Sovrano. Ma quando la melma raggiunge il mento, anche corporate. Generalmente sul mercato secondario. Ma col backdoor funding… In casi patologici come quello giapponese, prima si acquistano Etf e poi direttamente titoli azionari. Nazionalizzando di fatto il Nikkei. La liquidità introitata da chi vende alle Banche centrali opera da lubrificante del sistema. In primis per mettere a posto i bilanci, poi per finanziare buybacks e infine destinando l’argent de poche ai cosiddetti “standard creditizi”. La ragione per cui quel denaro sembra infinito è palese: contestualmente, i tassi di interesse vanno a zero. In alcuni casi, flirtano con la negatività e il controllo sulla curva. E tutto sembra gratis.

Ma non lo è. Perché quando persino l’espansione dei multipli e l’ipertrofia da market cap raggiunge il suo limite fisiologico, quella liquidità esonda. E a fronte di salari strutturalmente e obbligatoriamente stagnanti diviene inflazione. In overshooting, se speculazione e guerre operano da booster. Allora si corre ad alzare i tassi. E proprio nel giorno della Bce, Bloomberg apriva la sua edizione europea con il duro richiamo degli advisers del Tesoro britannico alla Bank of England in vista del board della prossima settimana: la Old Lady sta esagerando, il ritmo degli aumenti dei tassi deve rallentare. Tradotto, i giornali di domani parleranno di un Governo britannico che estrinseca in maniera drastica la sua autonomia e indipendenza di ruoli dalla Bank of England, di fatto contestandone l’operato ex ante.

Insomma, Downing Street sposta il bersaglio del malcontento popolare su Threadneedle Street. Perché il problema è che, altrimenti, la notizia potrebbe divenire quella rilanciata il giorno prima dal Financial Times. Dai 100 miliardi entro il 2033 calcolati lo scorso ottobre, già oggi il costo delle perdite legate al Qe della Bank of England da coprire in un decennio sarebbe salito a 150 miliardi. E chi copre? Il Tesoro britannico, appunto. Il quale lo scorso autunno fu costretto al primo “salvataggio” della sua Banca centrale. Causa perdite da Qe. All’epoca furono “solo” 11 miliardi di sterline. Ma da qui a 10 anni, 15x potenziali. Che fare?

La Fed ha risolto. Perché già quest’anno, le previsioni parlano della prima, possibile perdita operativa della Banca centrale Usa dal 1915. Un bel problema, perché la riduzione dei trasferimenti legata a quella perdita diverrà deficit ulteriore per il Tesoro Usa. Questo se fossimo nel Regno Unito. Ma la Fed le regole di accountability se le scrive da sola. Ad hoc. E ogni perdita netta diviene magicamente deferred asset, ovvero polvere sotto al tappeto. Il Level 3 del Level 3. Ecco il futuro. Per Londra. Ma anche Francoforte. Altrimenti, addio Qe sistemico, Berlino accetterà, giocoforza. Ma sarà Europa a due velocità. E chi sta sul sedile posteriore potrebbe voler scendere, stante le condizioni del viaggio.

Attenti a distrarsi. E ai dettagli.

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