L’Unione europea si è detta certa che l’interruzione dei flussi di gas russo via Ucraina avrà un impatto limitato. Tradotto, preparatevi a un salasso. E se i giornali di questi giorni cominciano a parlare di 30% di aumento delle tariffe per famiglie e imprese per il 2025, fidatevi di chi vi aveva messo in guardia sull’attuale stato delle cose con mesi e mesi di anticipo. Quella percentuale andrà rivista al rialzo.
E attenzione, piccolo spoiler. Attorno all’8 gennaio è atteso al porto tedesco di Brunsbuttel, il primo tanker di LNG statunitense partito dal nuovo terminal della Venture Global di Plaquemines in Lousiana. Preparatevi perché temo che l’entrata in rada sarà coperta mediaticamente come il varo del Titanic e l’utility tedesca acquirente, EnBW, diverrà di colpo soggetto di attenzione virale. La campagna di accettazione di costi spropositati per soppiantare il gas russo entrerà in modalità di overdrive. E gli Usa ci metteranno il carico da novanta. Anche perché la Germania attraverso i suoi hub portuali ricoprirà un ruolo fondamentale nella spedizione dl LNG rigassificato nei Paesi dell’Europa Centrale e dell’Est. A tutt’oggi dipendenti quasi in toto dal gas russo. La Serbia, ad esempio, al 100%. E il 23 febbraio in Germania si vota.
Unite i puntini. Se questo non bastasse, date un’occhiata a questo grafico il quale ci mostra l’ammassarsi di posizioni long sul prezzo del gas europeo cominciato già la scorsa estate da parte degli hedge funds, i fondi speculativi (molti dei quali Usa) che sono penetrati con enorme interesse e scommesse sostanziose in quello che viene visto come il mercato del big long energetico. Che dite, un’altra coincidenza, anche temporale?
Ma lasciamo stare il gas. Chi mi segue era preparato a quanto sta accadendo da mesi, quando gli esperti rivendevano a prezzo di saldo le balle di Governo e Ue sull’indipendenza dal giogo russo. Mi pare che le cifre snocciolate ufficialmente negli ultimi giorni da fonti come Financial Times e Bloomberg abbiano seppellito la loro credibilità in maniera funeraria. E definitiva. Veniamo ora a un’altra questione legata all’Ue. E strettamente legata al fronte energetico e geopolitico.
È passato infatti molto in sordina il contenuto dell’intervista rilasciata domenica scorsa dal membro del board Bce, il falco Klaas Knot, al quotidiano olandese Volkskrant. Knot non solo mette in guardia fin da subito da una guerra commerciale che vede già i suoi prodromi nelle prese di posizione protezionistiche di Donald Trump sull’acciaio, ma che vedrebbe la Cina muoversi con passo da elefante nei confronti dell’Europa: Se gli Usa imporranno dazi e tariffe, è possibile e molto probabile che Pechino cominci a offrire beni sul mercato europeo a prezzi sempre più bassi. In questo modo, la Cina esporterebbe deflazione nell’eurozona. Ovvero, una riduzione dei prezzi generalizzata che, però, se inserita in un contesto di crisi industriale come quello che l’Europa sta già vivendo, potrebbe generare l’ennesimo, enorme cortocircuito fra monetarismo e realtà macro. Ovvero, a fronte di prezzi calanti, la Bce potrebbe essere tentata di tagliare drasticamente i tassi di interesse con l’ormai usurata scusa della riattivazione dell’attività economica. In realtà, l’ennesimo Qe salva-banche e salva-mercati. E forte della conoscenza diretta del sentiment garantitagli dal recente viaggio in Cina e dall’incontro con Xi Jinping, Klaas Knot parla chiaramente di un contesto in cui la Cina pare decisamente pronta a reagire in maniera drastica a qualsiasi tipo di minaccia commerciale che arrivi dagli Usa nei suoi confronti.
Ma ecco la perla finale, la delizia che deve prepararci a quello che sarà il motivo di sottofondo del 2025. Interpellato sulle richieste sindacali di aumenti salariali che garantiscano in minimo di riequilibrio del potere d’acquisto, il membro del board Bce è stato chiaro: Posso dire una sola cosa alle rappresentanze sindacali e dei lavoratori: è tutta una questione di numeri e percentuali. Perché si sente a pelle come una richiesta di aumento del 7% stoni e non sia compatibile con un’inflazione al 2%.
Signori, l’impoverimento ulteriore dei lavoratori in favore di mercato e sistema finanziario è già in lavorazione. E il babao della deflazione esportata cinese sarà il nuovo alibi pronto uso. Sarà per questo che l’intervista di uno dei membri più eminenti e ascoltati dal Consiglio Bce è stata totalmente ignorata nel nostro Paese?
E attenzione, perché la spirale prezzi/salari si può usare in molti modi. Ad esempio, facendo leva sul calo generalizzato dei prezzi garantito dall’alluvione di beni cinesi per bollare ex ante come irricevibili le richieste di indicizzazione dei salari. Klaas Knot ha detto senza tanti giri di parole che, già oggi, occorrerà tirare la cinghia. Se per caso il caos energetico manderà in cortocircuito le dinamiche inflazionistiche con la componente energetica a sballare i panieri, prepariamoci a una Spoon River industriale e occupazionale. Ma tranquilli, Piazza Affari festeggerà.
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