Il bello è che ci sia ancora gente che crede al mercato. Che valuta la situazione generale attraverso l’andamento delle Borse e dei rendimenti obbligazionari, quasi vivessimo ancora in un mondo governato dalle leggi della domanda e dell’offerta. Oltre che del buonsenso. Volete capire una volta per tutte in quali condizioni di doping assoluto siamo immersi? Questo grafico andrebbe mostrato nelle facoltà di economia di tutto il mondo, a mo’ di incentivo per gli studenti affinché cambino indirizzo di studio. E di corsa. Cosa ci dice? Che dall’inizio di maggio, l’indice Standard&Poor’s 500 ha guadagnato la bellezza di 314 punti, stando alla chiusura di giovedì scorso.



C’è però un problema: prendendo le sessioni di mercato aperto negli Usa, il computo totale vedrebbe il listino benchmark di Wall Street in rosso di 5 punti. Ma nelle sessioni overnight (ovvero, dalla cash close alla cash open) ha guadagnato 319 punti. Di fatto, il mercato azionario statunitense funziona come certe diete che vi fanno dimagrire mentre dormite, agendo su chissà quali recettori metabolici dell’organismo (e sulla dabbenaggine, soprattutto): guadagna quando è chiuso. Ma com’è possibile? Tranquilli, come diceva Gordon Gekko, in realtà il denaro non dorme mai. Quando New York è chiusa, l’Europa e poi l’Asia sono aperte: esiste sempre un fuso orario in cui si sta operando su titoli, bond, opzioni, swaps, valute, commodities. Il casinò è aperto H24, come i supermarket di ultima generazione. Il problema è che questa dinamica negli ultimi tre mesi è andata decisamente fuorigiri, tanto che questa strana coincidenza viene definita the worst kept market secret. Tradotto, il segreto di Pulcinella.



Perché questa degenerazione? Le spiegazioni sono due, una peggio dell’altra. Almeno, se si ha a cuore il residuo di liberismo che si nasconde terrorizzato fra le pieghe del cosiddetto mercato. La prima è quella sposata dalle banche d’affari: il coronavirus è diventato market mover totale e, operando su scala quantomai mondiale, vista la sua acclarata natura pandemica, garantisce un flusso di notizie H24 appunto. Ovvero, per quanto a norma di regolamento le Piazze finanziarie chiudano a una certa ora, di fatto operano senza soluzione di continuità. Perché se in Europa o in Cina salta fuori la notizia del giorno, un calo netto dei contagi o a un loro drastico aumento, i titoli si muovono anche nel “sonno” a Wall Street, reagiscono come cani di Pavlov che muovono la zampetta in fase Rem. Non a caso, JP Morgan ha sentito il bisogno di dedicare un capitolo a parte all’argomento – What is the difference in performance between regular vs. extended trading hours – nel suo report dal titolo Flows and liquidity.



La prima banca d’America per assets (e potere di moral suasion sulla politica) non ha dubbi: “… da aprile scorso, tutte le mosse rialziste dello Standard&Poor’s 500 appaiono come sostanziatesi nel corso delle ore di extended market, mentre i lassi di tempo delle sessioni di trading regolare hanno agito addirittura da freno”, come mostra questo grafico.

La ragione? Primo, gli operatori Usa possono facilmente operare nel corso delle extended sessions tramite contratti futures. Secondo, a detta di JP Morgan il flusso di notizie più importanti legate al coronavirus si concentra statisticamente durante il trading time europeo, ovvero quando i mercati Usa sono per la maggior parte del tempo ancora chiusi. In effetti, sia i dati macro generali (disoccupazione, Pil, produzione industriale, vendite al dettaglio) che le novità sul virus in arrivo dalle aree del mondo che lo hanno visto nascere e poi espandersi più violentemente solitamente arrivano nel corso delle cosiddette extended hours di trading negli Stati Uniti. In effetti, se ci fate caso quando si anticipa l’apertura di Wall Street si tende a spiegare i movimenti anticipatori dei futures con i flussi di notizie giunte e rese note in tutto il mondo fino a quel momento e prima della fatidica campanella.

Ma c’è una seconda spiegazione che JP Morgan si è guardata bene non solo dall’analizzare, ma anche dal solo menzionare nel suo bel report: le sessioni notturne coincidono solitamente con l’operatività maggiore delle Banche centrali a livello di sostegno dei mercati. Perché non pensiate che compito delle varie Fed o Bce in modalità tipografia Lo Turco sia soltanto quello di acquistare titoli sul mercato secondario durante le ore di contrattazioni, in ossequio all’ormai sistemico gioco di manipolazione dei mercati del Qe strutturale e infinito. È quando gran parte del mercato dorme che le Banche centrali agiscono, proprio per evitare scossoni. Si ampliano le linee di credito, si rinforzano gli swaps, si prendono decisioni rispetto ai tagli dei requisiti di riserva, si vende valuta per non farla apprezzare troppo. Tutto mentre il mercato, a turno e in base al fuso, formalmente si trova in fase onirica.

Ovviamente, JP Morgan non può dirlo. Quantomeno per decenza, visto che fu proprio la sua decisione di spostare fondi dai conti della Fed dello scorso settembre a scatenare ad hoc l’esplosione del mercato repo del finanziamento interbancario, atto prodromico al ritorno in campo all-in della Federal Reserve cui stiamo assistendo. Ma è andata proprio così. Il mercato, cari lettori, non esiste più. È solo una percezione prospettica di quanto accade dietro le quinte, nelle sale dove i manovratori decidono le sorti del mondo.

Ne volete la riprova? Guardate questo grafico e ditemi in quale dei due sistemi presi in esame – Usa e Cina – è in vigore una pianificazione de facto dell’economia e del mercato. Non solo i rendimenti dei Treasuries sono oggi al loro minimo storico assoluto, ma senza poterlo ammettere, gli Usa stanno operando un controllo marziale, sovietico, sulla curva degli stessi, al fine di non farli salire. Nemmeno di un pelo. Perché? Semplice, in caso contrario collasserebbe l’intero sistema, ormai settato su modelli di VaR da mondo degli unicorni.

Qual è l’unico posto al mondo in cui i rendimenti obbligazionari sovrani hanno ancora il “diritto” di seguire dinamiche di crescita? La Cina, visto che prendendo in esame ancora gli ultimi 3 mesi come arco temporale di riferimento, lo yield sul decennale del Dragone è salito di 42 punti base arrivando a poco più del 3%. E loro sarebbero i “comunisti”, quelli che pianificano. E in quali condizioni si è sostanziato un movimento simile? In quelle rappresentate nell’ultimo grafico, di fatto in regime di Qe mascherato e indiretto, visto che la natura stessa della Cina di avanguardia dalla crisi Covid ha innescato un rally speculativo sulle equities (in particolar modo, il comparto tech). Il quale, a sua volta, ha messo le ali all’impulso creditizio globale del Dragone, il balsamo che nell’ultimo decennio ha fatto trottare i mercati, fra una crisi sistemica e l’altra (tamponate, in quei casi, da interventi en plein air e sempre più strutturali di Qe da parte delle Banche centrali).

Il problema? Strettamente connesso all’attività “notturna” dei mercati: lasciate stare i rendimenti dei Treasuries Usa, un tempo vero barometro dello stato di salute generale dei mercati. Se volete capire come andrà o come potrebbe andare, quel dato appare ormai inutile quanto le chiusure del trading day normale di Wall Street: è il rendimento del decennale cinese il nuovo canarino nella miniera del grado di dilatazione della bolla da monetarismo globale. Se e quando – più quando che se – quello yield raggiungerà e supererà quota 3,5%, allora potrebbe significare che i residui di libero mercato in atto siano stati in grado di innescare processi di sgonfiamento degli eccessi nelle valutazioni, in primis attraverso le avanguardie tecnologiche. Leggi, il Nasdaq dei miracoli. Leggi ulteriormente, prezzatura finalmente reale del rischio sulla catena di controparte. Insomma, sarà la Cina a dirci quando la più grande asset bubble della storia starà per esplodere. E questo vi dice molto sulla natura stessa del mercato in cui viviamo. E del perché il fuso orario ufficiale non conti più niente, a qualsiasi latitudine.