“La ripresa economica nell’eurozona sta perdendo momentum in maniera più rapida del previsto”. Sta tutto in questa frase di Christine Lagarde il senso di impotenza che aleggia attorno alla Bce in uno dei momenti più duri e delicati dal settembre 2008: si prende atto di un trend che, alla luce dei lockdown ormai pronti a scattare in mezza Europa, da qui all’inizio del nuovo anno non potrà che peggiorare e si rimanda ogni decisione per cercare di contrastarlo al meeting del 10 dicembre prossimo. Arrivederci e grazie. A occhio e croce, avrei potuto presiederlo anch’io il Consiglio direttivo dell’Eurotower, se queste sono state le decisioni prese.



Certo, si partiva da un presupposto: il board è diviso sul da farsi, quindi occorre lasciare che la situazione macro si deteriori ancora un po’ anche nei Paesi frugali a causa della seconda ondata. Poi si potrà intervenire. Di fatto, 500 miliardi di ammontare in più per acquisti diretti e altri sei mesi di durata del Pepp, fino a tutto il 2021. Il problema è: su quale corpo economico di troverà a intervenire la Bce tra oltre un mese? Moribondo? Solo emaciato? O già cadavere? Ovviamente, a Francoforte sanno che dopo il 3 novembre la Fed sarà costretta giocoforza a intervenire in qualche modo, quindi hanno preso tempo anche per cercare di succhiare la ruota alla Banca centrale Usa e beneficiare a costo zero di parte del boost che questa potrebbe offrire al mercato, amplificando quindi la magnitudo dell’intervento.



Ora, però, lasciate che abbandoni madame Lagarde e mi spinga proprio oltre l’Atlantico: guardate questo grafico, il quale rappresenta la più plastica dimostrazione di come il dato record del Pil statunitense del terzo trimestre (+33%) sia credibile quanto un Dpcm del Governo Conte.

Com’è possibile che l’economia statunitense abbia ridicolizzato quellaovid, quando le domande al fondo emergenziale per la disoccupazione hanno raggiunto il massimo storico? Chi ha garantito quel 33%, di grazia, tutti robot? Per carità, in base alla logica perversa del bad news is good news, dati simili non fanno che rinfrancare i mercati nella speranza di un altro mega-calcione al barattolo in arrivo. Ma qui siamo veramente in prossimità del muro, ormai. Fra non molto, la lattina sbatterà e tornerà in dietro. E qualcuno potrebbe essere colpito in piena faccia.

“Il Consiglio non ha discusso di specifici cambi di politica ma può facilmente tornare a riunirsi con breve preavviso, se e quando necessario”, ha dichiarato Christine Lagarde, tornando a sottolineare come la Bce sia pronta a mettere in campo tutti gli strumenti necessari per contrastare gli effetti negativi della pandemia. Insomma, la solita solfa. Aggravata dall’ammissione di un board che, a fronte di dati sul contagio che negli ultimi dieci giorni hanno vissuto un’escalation spaventosa ovunque, non avrebbe discusso di cambi specifici della politica monetaria. Ora, tutti sappiamo che il dovere di un banchiere centrale è mentire, quando la situazione si fa seria, ma adesso i mercati rischiano di doversi confrontare con il peggiore e più pericoloso dei dilemmi: la Bce rimanda tutto a dicembre perché è divisa al suo interno o perché non sa cosa fare, visto che finora quanto messo in campo – e capace di porta lo stato patrimoniale dell’Eurotower al livello stratosferico pari al 66% del Pil europeo – è servito soltanto a evitare ristrutturazioni di debiti sovrani insostenibili?

Insomma, per quanto la danza macabra del finanziamento occulto dei deficit dei Paesi membri potrà ancora essere spacciata per contrasto emergenziale alla pandemia, prima che qualcuno vada a vedere quel clamoroso bluff contabile? E attenzione, signori: questo grafico mostra la dinamica all’interno della quale ieri mattina è andato a sostanziarsi il nuovo record di rendimento al ribasso per il Btp decennale in asta, sceso allo 0.79% dallo 0.89% dell’emissione precedente.

Siamo alla logica di quello che gli anglosassoni definiscono taboo breaker: più la nostra ratio debito/Pil sale verso livelli di insostenibilità strutturale, meno paghiamo per piazzare carta da parati in giro per il mondo. Ora, uno può anche festeggiare questo risultato, ma quanto emerso (anzi, non emerso) dalla riunione del board Bce di ieri ci dice che, nella migliore delle ipotesi, avremo ancora qualche mese in più di relativa calma sul fronte del finanziamento. Ma nulla di più. Negli ultimi due giorni, a fronte del backstop dell’Eurotower tornato a salire oltre quota 16 miliardi di acquisti alla settimana, lo spread era risalito. Sia per una richiesta extra di Bund, a fronte della seconda ondata di Covid che spinge verso beni rifugio, sia perché il mercato comincia a buttare sempre più insistentemente un occhio sull’andamento di quel grafico. E comincia a crederci sempre di meno. Come, temo, comincerà ad affidare sempre meno speranze verso una Bce che ieri si è fatta forte, a livello di risposta pavloviana di mercato, della clamorosa sell-off di mercato del giorno precedente, talmente massiva in tutte le asset-classes (svenduti titoli azionari, bond e anche oro) da essere entrata nel novero storico come terzo evento simile in assoluto.

Si chiama evento spartiacque, cari lettori. Mettetevelo in testa, il 28 ottobre 2020 sui mercati è successo qualcosa. Prontamente coperto dalla coltre di allarme del Covid o dell’attacco terroristico a orologeria a Nizza del giorno dopo. Ma destinato a segnare una sorta di circoletto rosso sul calendario della crisi: dall’altro giorno, tutto può essere messo in discussione. Paradossalmente, anche l’onnipotenza delle Banche centrali. Non a caso, la Fed da qualche settimana è sparita dai radar, grazie al comodo alibi della sua indipendenza ed equidistanza da preservare nel corso della campagna elettorale e la stessa Bce ha giocato a carte copertissime, quasi a pietire un surplus di pazienza da mercati talmente spaventati da concederlo sulla fiducia e pronta cassa.

Siamo dentro una sorta di cessate-il-fuoco, la cui tenuta e durata sono però tutt’altro che garantite. Basta un nulla, solo un colpo di fucile che parta per sbaglio e tutto può precipitare. Ma, forse, è ciò di cui le stesse Banche centrali hanno bisogno per varcare l’ultimo Rubicone di fronte a loro, quello della monetizzazione sistemica del debito. A tempo indeterminato. Insomma, a Francoforte come a Washington, paradossalmente si tifa a favore dei lockdown. Perché alla prova dei fatti, tutto pare crollare come un castello di sabbia. Come quell’irrealistico dato sul Pil statunitense del terzo trimestre, accolto non a caso dal Dow Jones con 200 punti di calo in apertura di contrattazioni. Poi, gli acquisti sui minimi dei Big Tech hanno garantito un passaggio in verde a tutta Wall Street. Ma, ormai, si vive alla giornata. E quando tutto si riduce al dover tirare sera e mettere qualcosa nella pancia, gli annunci anche solo a breve termine non bastano più.