Faccio questo lavoro da 30 anni. Ne avevo 20 quando ho messo timidamente piede nella redazione de La Notte in via Vitruvio, all’inseguimento del mio sogno. E a perenne detrimento della mia carriera universitaria. Mai come oggi – MAI – la situazione della stampa ha vissuto una situazione più disperata e allarmante: con la scusa di contrastare la disinformazione russa, i giornali si sono tramutati in newsletter della Nato. E del Dipartimento di Stato. E anche di quelle fatte male, apologetiche al limite del leccaculismo più smaccato e senza vergogna.
Vi invito a dare un’occhiata alle edizioni on-line dei maggiori quotidiani e canali di informazione di mercoledì scorso, 30 marzo. Capisco che può sembrare una condanna atroce e ingiusta, ma restringiamo subito il campo: cercate solo i resoconti di giornata relativi alla questione del pagamento del gas russo in rubli. Nient’altro. Solo quello. Come noterete, la vulgata generale – sospinta questa volta dal Corriere e non da Repubblica, Da giorni impegnate in un testa a testa per garantirsi il ruolo di portavoce ufficiale di Antony Blinken – è quella di un Vladimir Putin che offre al mondo l’ennesima prova di incompetenza e torna sui suoi passi, rendendosi conto di come quella mossa si stia già rivelando la proverbiale zappa sui piedi. Prima annuncia il cambiamento dal 1 aprile, poi ritratta e offre tempo ai clienti. Balle. E a smentire questa narrazione non ci pensa la TASS, altra faccia della medesima medaglia di informazione di parte. Bensì il Financial Times, difficilmente ascrivibile alla schiera dei media graditi al Cremlino. Ma costretto a dire le cose come stanno, visto il precipitare della situazione: sulla questione energetica, Mosca ha messo Berlino con le spalle al muro. E signori, basta con l’esterofilia. Perché non serve attraversare la Manica per sapere cosa sia realmente accaduto, bastano queste due immagini.
Come vedete, sono lanci di agenzia dell’italianissima Ansa. Quanto di più asettico, cronachistico e non accomunabile a posizioni filo-russe esista nel panorama editoriale italiano. Leggetele bene, fino in fondo. Vi pare che dicano ciò che le cronache dei giornali riportano? E attenzione, citano fonti ufficiali sui contenuti dei colloqui: se per caso una delle parti avesse mentito, state tranquilli che l’altra avrebbe ovviamente e immediatamente rettificato. Ai più alti livelli. Così non è stato. Vi pare che Vladimir Putin abbia dato vita a una retromarcia sul tema? A me pare proprio di no. A me pare di vedere due dei principali leader Ue che, dopo aver proclamato ai quattro venti il loro sdegno per la decisione di Mosca, aver sbandierato ragioni legali di violazione contrattuale ed essersi fatti scudo con il no del G7, alla fine hanno alzato la cornetta e chiamato con la coda fra le gambe la loro scomoda utility del gas. Chiedendo di poter pagare in euro e accettando di buon grado (o giocoforza, fate voi ma cambia poco) l’umiliante alternativa offertagli dal Cremlino: ok, pagate in euro. Ma Gazprombank, la banca legata al gigante petrolifero che ipocritamente proprio voi avete esentato dalle sanzioni, poi convertirà quella valuta in rubli. Della serie, il nostro backing della moneta tramite ancoraggio a commodity fisiche prosegue. E il rublo nella medesima giornata ha ufficialmente azzerato tutte le perdite belliche patite nel cambio sul dollaro, chiudendo a 74. L’8 marzo era a 140. Vi pare una sconfitta del Cremlino, questa?
Il fatto che il tronfio Olaf Scholz chieda informazioni scritte sulla procedura per capirla meglio, cosa vi dice della sua reale posizione nel confronto? Di forza? E poi, Mario Draghi non era il politico che, a botta calda, aveva detto che di pagamenti in rubli non se ne parlava nemmeno, stante i contratti? Perché ne ha parlato, quindi? Certo, i giornaloni vi dicono che i 45 minuti di chiamata con Putin sono stati incentrati sulla richiesta di cessate-il-fuoco e solo parzialmente sul gas. Credeteci, se volete. La realtà è altra. Ovvero, l’attivazione delle procedure di emergenza da parte proprio di Germania e Austria, contemplanti razionamenti dell’energia per evitare distacchi e blackout, in vista della deadline del Cremlino del 1 aprile, ha costretto Mr. Whatever it takes a un bel bagno di umiltà e realismo.
Per carità, io sarò di parte, ma se devo vedere chi ha il coltello dalla parte del manico, propenderei per Vladimir Putin. E signori, vi invito a pensare anche ad altro. Oggi, 1 aprile, non inizia soltanto la nuova era post-green pass e post-restrizioni. Finisce anche il Pepp, il programma anti-pandemico della Bce che per due anni ha tenuto sotto controllo i nostri costi di finanziamento del debito. Si passa all’App per controvalori minimi e che termineranno del tutto il 30 giugno, salvo cambiamenti ulteriori da parte di Christine Lagarde. La quale, però, ora deve fare i conti con una realtà devastante.
Nel medesimo giorno dei telefoni roventi con il Cremlino, il tasso di inflazione tedesco per il mese di marzo saliva al massimo dal 1981, qualcosa come il 7,3%. Per capirci, l’ultima volta che aveva toccato quel livello, la Bundesbank (all’epoca non c’era ovviamente la Bce, né l’euro ma il marco) aveva un tasso di riferimento all’11,4%. Oggi deve fare i conti con quello fissato da Francoforte allo 0%. Quanto spazio pensate che possa avere l’ala delle colombe in seno alla Bce per ottenere un altro strapuntino di Qe, agitando lo spauracchio del fallout ucraino sulla crescita economica? Ben poco. Perché ora il fantasma di Weimar comincia ad aleggiare non solo sui tabloid più sguaiati e popolari, bensì anche negli editoriali colti dei quotidiani autorevoli e nei talk-show più istituzionali in Germania. E attenzione, il fatto che proprio Germania e Austria abbiano per prime rotto gli indugi e attivato le procedure di emergenza sul gas appare un altro chiaro segnale di crescente tensione interna. Un po’ come in Spagna, dove sempre nel mese di marzo il tasso di inflazione si è fermato sulla soglia della doppia cifra: +9.8%, il massimo dal 1985. Ma non basta: a febbraio si era registrato un già allarmante +7,6%, quindi il balzo su base mensile sfonda un ulteriore primato. Non a caso, le catene di supermercati iberici hanno ottenuto il via libera dalle autorità per applicare politiche di razionamento logistico dei beni. Tradotto, cari lettori, significa che in Spagna i supermercati possono applicare limiti all’acquisto di generi ritenuti a rischio di reperimento. Volete 5 confezioni di quel determinato bene? Magari, domattina scoprirete di poterne comprare solo 2. E non manca molto prima che questo accada anche in Italia, basta parlare con i responsabili acquisti delle aziende e delle grandi catene.
Siamo sicuri che a doversi preoccupare e a dover ammettere la sconfitta sia soltanto la Russia, la quale ha comunque fatto pagare ai sanzionatori il costo delle medesime sanzioni, quantomeno a livello di cambio del rublo? Siamo sicuri che aver alzato i tassi in tempo e legare la moneta a oro e gas, magari tenendo in caldo l’arma finale di petrolio e grano, sia motivo di debolezza, rispetto a un euro che ha come unico backing il Qe perenne, ovvero la monetizzazione del debito tramite un impulso elettronico che si traduce in deficit? Siamo sicuri, davvero davvero?
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