RIALZO SPREAD, AVVISAGLIE SUL MES ALL’ITALIA?
Come ben sapete, non credo alle coincidenze. Mai. Tantomeno, quando in ballo ci sono soldi o decisioni politiche. E nel caso in questione, ci sono entrambe. Ma partiamo per gradi. Martedì scorso, la Bce ha pubblicato con un giorno di ritardo rispetto al solito – causa festività pasquali – il resoconto sugli acquisti della settimana precedente in seno ai programmi di stimolo. Nella fattispecie, il Pepp attivo da circa 20 giorni e designato appunto per sostenere i debiti – sovrani e corporate – a rischio di essere travolti dalla pandemia di Covid-19. Il risultato è ottimamente sintetizzato da questo grafico: gli acquisti relativi al Pepp hanno toccato un nuovo massimo storico di 20,6 miliardi la scorsa settimana, di fatto un ritmo quotidiano implicito di 4,1 miliardi di euro. Non male.
Ma il dato assoluto appare ancora più interessante, perché unendo a quella cifra anche gli acquisti operati in differenti schemi di intervento – ad esempio, quelli legati ai covered bonds – la scorsa settimana la Bce ha acquistato un controvalore di obbligazioni di varia natura pari a 36,8 miliardi di euro, il record assoluto. Insomma, l’Eurotower sta picchiando duro sul mercato secondario. Nonostante le panzane degli Italexiteers nostrani. Attenzione però a questo secondo grafico, relativo all’andamento del nostro Btp decennale nello stesso giorno, ovvero martedì 14 aprile. Fino alle 15.00, nulla di eclatante. Poi uno strano e continuo aumento, ancorché non certo incontrollato, fino ad arrivare a chiudere la sessione in area 216 punti base. A Bankitalia hanno prolungato la pennichella, dimenticandosi di andare in operatività front-load alla Bce?
Intendiamoci, nulla di preoccupante. Ma di simbolico, sì. Per almeno un paio di motivi. Si trattava della prima sessione di trading dopo quattro giorni di chiusura dei mercati e, soprattutto, quell’andamento era contemporaneo proprio alla pubblicazione dei dati relativi agli acquisti della Bce, di fatto chiamati a confermare esplicitamente l’impegno con cui Francoforte sta difendendo l’euro-sistema da eventuali scossoni o attacchi speculativi. Insomma, la prova provata che chi attacca l’Europa in questo momento lo fa in malafede rispetto alla realtà delle dinamiche operative.
Qualcuno ci ha attaccato, mostrando i profili della pazzia tipici di chi sfida il backstop di una Banca centrale? Se così fosse, il nostro ardimentoso non si sarebbe limitato a una mossa simile, platealmente simbolica, appunto. Sarebbe andato all-in fino a stimolare, quasi obbligare, l’intervento dell’artiglieria pesante di Francoforte: se devo operare in modalità d blitz, tanto vale puntare al bersaglio grosso. Soprattutto, se ho parecchio da scaricare. E poco da perdere, di fatto conoscendo le tempistiche di intervento e i controvalori quotidiani. No, a mio avviso c’è dell’altro. Ma occorre andare indietro nel tempo, per intravedere il rischio di una dinamica che – se confermata – non va assolutamente sottovalutata. Anzi.
Nel maggio del 2018, la Bce diede infatti vita al reinvestimento massiccio dei titoli che aveva in detenzione e scelse di puntare sui Bund, a discapito dei nostri Btp. L’esatto contrario di quanto sta facendo oggi, ancorché in contesti totalmente differenti. Di fatto, all’epoca si trattò di un aggiustamento meramente tecnico. Il quale, però, si palesò nel suo massimo di clamore proprio nel corso dello showdown sulle nomine del nascente Governo giallo-verde, quello creato quasi in provetta dopo l’impasse del voto del 4 marzo. Nella fattispecie, eravamo nel pieno dello scontro fra Lega e M5S con il Quirinale riguardo la scelta del professor Paolo Savona per il ruolo di ministro delle Finanze, prima dell’esilio ai Rapporti con l’Ue e all’attuale pensionamento d’oro alla Consob. Un segnale chiaro, anche all’epoca: attenzione a quali fili toccate, perché certi equilibri sono come i cavi dell’alta tensione vicino ai binari del treno.
Una nomina come quella, infatti, era vista come un palese atto di rottura nei confronti di Bruxelles e di una messa in discussione della stessa permanenza italiana nell’area euro: il tutto, in pieno bailamme sul Brexit ancora in atto. Stranamente, casualità volle che le necessità temporali di rifinanziamento dei bond in detenzione alla Bce portarono a una deviazione netta in favore del Bund, con l’ovvia conseguenza di riverberarsi automaticamente a sfavore dei nostri Btp. Effetto scenico perfetto: nessuna conseguenza reale di lungo termine, nessun attacco speculativo all’Italia, ma l’attenzione dei tg su quella quotidiana anomalia del nostro differenziale di rendimento era mediaticamente garantita, così come la sottolineatura implicita della sua causa politica. Un ricatto, parliamoci chiaro. E non facciamo le verginelle, funziona così da sempre.
Ora, l’impennata del nostro differenziale con il Bund dell’altro giorno, ha forse a che fare con un messaggio in codice verso Roma, affinché il prossimo 23 aprile accetti l’attivazione del Mes senza condizionalità e abbandoni la chimera di eurobond o simili? Da più parti, infatti, si fa notare come a capo delle operazioni di mercato della Bce ci sia Isabel Schnabel, economista tedesca con master alla Sorbona e a Berkeley e, di fatto, almeno a parole sostenitrice di una qualche forma di emissione comune per fronteggiare la crisi da pandemia, oltre che dell’unione bancaria. Formalmente, un’alleata dell’Italia. Perché ho usato quel formalmente, però? Perché nelle segrete stanze, si fa notare come ci sarebbe stata proprio lei dietro il famoso “Non è compito della Bce quello di tappare gli spread” pronunciato incautamente da Christine Lagarde nell’ultima conferenza stampa post-board, salvo poi cambiare repentinamente direzione nell’arco di un battito d’ali e sfoderare il bazooka che Mario Draghi ha elaborato nelle forme attuali.
Qualcuno ha voluto mandare un segnale, quindi? Totalmente innocuo all’atto pratico, ma molto chiaro, stante la contemporaneità con la pubblicazione dei dati relativi agli acquisti settimanali dell’Eurotower. Dobbiamo leggere qualcosa di sottinteso, quindi, nelle dichiarazioni di due ex competitor con propensione alla postura da padre della Patria come Romano Prodi e Silvio Berlusconi, i quali nel medesimo giorno hanno ribadito come sia inconcepibile non firmare un Mes senza condizioni che ci garantirebbe 36 miliardi per le spese dirette e indirette in sanità, oltre che la possibilità di usufruire del programma Omt della stessa Bce, quello che prevede l’acquisto illimitato di titoli di debito a breve scadenza? Una cosa è certa: in periodi di snodo epocale come quello che stiamo vivendo, nulla accade a caso. Tutto ha un senso, più o meno palese. Non a caso, oggi lo scontro sull’utilizzo o meno del Mes nella sua nuova formula “sterilizzata” sta dilaniando lo stesso esecutivo e non solo acuendo le differenze in seno all’opposizione: è l’argomento principale, la pietra angolare di una scelta che non sortirà effetti limitati al tempo della pandemia e dell’emergenza. Ma andrà oltre. E potrebbe seppellire anticipatamente il Governo giallo-rosso. Di fatto, ricorrere al Mes aprirà una strada da cui non c’è ritorno. Se non accidentato e traumatico.
Qualcuno vuole quindi bloccare l’utilizzo del Fondo salva-Stati per rimandare il più possibile l’opzione di un Governo Draghi, anteponendo il proprio interesse di parte al bene del Paese (magari in buonafede, non ritenendo il Mes uno strumento atto a quella finalità)? Oppure in Europa si è saldata una santa alleanza per creare un invisibile ma solidissimo cordone sanitario preventivo attorno all’Italia del post-Covid 19 e alle scelte che questa potrebbe fare (al netto della messe di denaro cui potrebbe accedere), una volta ripartita l’attività economica e sociale? Lo snodo, ripeto, è di quelli epocali. Sbagliare scelta oggi potrebbe significare ipotecare il futuro. Ma anche non averne uno, nello scenario peggiore ma non certo più peregrino. Il nostro sistema bancario, già alle prese con la gestione funambolica degli anticipi richiesti dal Governo, deve sì fare il buon viso del patriottismo a cattivo gioco, ma è debole. Molto più debole di altri, nonostante sia meno esposto verso schifezze esotiche nei bilanci. La politica, poi, va da sé che sia entrata in una fase terminale di quel processo di follia collettiva palesatosi con il voto del 4 marzo di due anni fa, quello che doveva ribaltare l’Ue e le sue logiche come un calzino e, invece, paradossalmente le ha rafforzate, stimolando cambi di strategia ed equilibri.
Siamo a un bivio e quel movimento anomalo dello spread, lo certifica. Per ora, ancora con le buone maniere. Non so quanto durerà però il ricorso al galateo, prima che gli scossoni si facciano davvero tellurici. Paghiamo il conto di un pranzo in gran parte consumato da altri e cominciato molte, molte portate fa: piaccia o meno, parlano i numeri dei conti pubblici, inutile attaccarsi a infantilismi sui regimi fiscali altrui. A chi ci governa e a chi rappresenta l’opposizione, l’onere adesso di giocarsi le proprie carte. Scoperte, questa volta.