Stato di emergenza prolungato fino al 31 marzo, questa la scelta del Governo (almeno stando a quanto in mio possesso come informazione, al momento di inviare l’articolo). Insomma, diciamo che la variante Omicron pare destinata ad avere vita breve, visto che siamo già a metà dicembre ed entro tre mesi tutto sarà finito. Quantomeno, a livello di struttura commissariale. Perché, ovviamente, lo stato di emergenza serve soltanto a quello: garantire una catena di comando e operatività snella al generale Figliuolo. In compenso, viene da riflettere. Perché se il 31 marzo è scadenza che blinda un arco temporale perfettamente congruo con la chiusura della pratica Quirinale, dall’altro coincide anche alla perfezione con la fine del Pepp, il programma anti-pandemico della Bce. Tradotto, lo scudo anti-spread. Ovviamente, solo una coincidenza. Però, bella grossa. Nel momento in cui l’Eurotower si trova costretta a prendere tempo rispetto a decisioni definitive legate agli acquisti strutturali di bond, il Governo italiano sembra volersi cautelare.
Le voci circolano e quella più insistente è che una parola definitiva su tempi, modi e controvalori si avranno soltanto al board del 2-3 febbraio, il tutto in ossequio a una situazione inflazionistica che nessuno più ha il coraggio di definire transitoria. Insomma, ok non alzare i tassi ma nemmeno annunciare un bazooka espansivo permanente, mentre le dinamiche dei prezzi sembrano non conoscere una pausa. Anzi, paradossalmente destinate a volare alle stelle da qui alle prossime settimane, stante la tensione fra Russia e Ucraina e l’ennesima uscita suicida di Josep Borrell rispetto alla necessità di ulteriori e più mirate sanzioni europee contro Mosca. Soltanto lunedì, il prezzo dei futures del gas europeo (Dutch) è salito dell’11%, sfondando ampiamente la quota psicologica di 100 euro per megawatt/ora (per l’esattezza, 117 euro). Ma non basta. In Germania il costo dell’elettricità ha sfondato per la prima volta in assoluto i 200 euro per magawatt/ora, mentre nella Francia del nucleare oltre 300 euro. Se per caso, l’Ue sarà così stupida da battere i tacchi ai desiderata di Washington, adottando una nuova politica sanzionatoria e magari bloccando del tutto Nord Stream 2, prepariamoci realmente ai rischi di black-out generalizzati a gennaio. E a un bolletta che obbligherà molti a vendere un rene per essere pagata, stante lo scarso successo del Governo nel raggranellare l’argent de poche per tamponare gli effetti più nefasti dell’inflazione che o non c’è o è transitoria.
Una situazione di quelle da tempesta perfetta, signori miei. Ma nessuno ne è conscio: perché c’è Omicron a monopolizzare tutto. E da qui al 31 marzo, prepariamoci a un’escalation, quantomeno stando alle dichiarazioni minacciose di Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute, il quale già utilizza toni millenaristici rispetto all’inverno e chiede una stretta ulteriore nei controlli sul green pass, soprattutto nei ristoranti. Non vi viene il dubbio, paradossale e quasi kafkiano, che dentro al Governo ci sia qualcuno che rema per azzoppare un pochino quel 6% di Pil con cui finora l’esecutivo si è pettinato l’ego? Basta sentire le parole di questi giorni dei responsabili del settore turistico-ricettivo, basta sentire il ministro del Turismo, Massimo Garavaglia, basta soprattutto leggere le cifre delle disdette e delle mancate prenotazioni per Natale, Capodanno e l’Epifania. Il minimo comun denominatore? Il panico mediatico, l’atmosfera ansiogena, il ritorno della percezione di emergenza. E del fantasma del lockdown, un qualcosa che gli inglesi conoscono bene: Boris Johnson ha parlato con tono grave alla nazione domenica sera e lunedì quella parola era l’hashtag di tendenza assoluta su Twitter nel Regno Unito. Ci vuole poco a passare dal liberi tutti e al tutti a casa. Non a caso, il conservatore Daily Telegraph titolava la sua edizione di lunedì End of freedom, fine della libertà. La stessa trionfalmente annunciata dal 10 di Downing Street solo il luglio scorso.
In compenso, domani la Bank of England potrà affrontare con spirito più leggero il suo board, soprattutto alla luce del clamoroso errore sui tassi del 4 novembre, quando dopo settimane di annunci rispetto a una normalizzazione più spedita del costo del denaro per frenare l’inflazione, decise a sorpresa di mantenere il riferimento allo 0,1%. È bastato che Boris Johnson parlasse per sei minuti alla nazione per ottenere due risultati: caos nella gestione degli hub vaccinali per la somministrazione della terza dose in tutta la Gran Bretagna e azzeramento delle scommesse dei traders sul tasso benchmark che arrivi all’1% nel dicembre 2022. Di fatto, la Bank of England può tranquillamente calciare il barattolo almeno per un altro paio di riunioni. Come, d’altronde, pare intenzionata a fare la Bce. E tutto attorno, nel frattempo, cosa accade? Il solito. Ovvero, il Far West che nessuno vuole vedere.
Guardate questi due grafici, i quali ci mostrano su quale colossale schema Ponzi si stiano basando in mercati in attesa dell’ennesima decisione che la Fed comunicherà (forse) questa sera rispetto alle tempistiche del taper: nel solo mese di novembre, gli insiders della grandi corporations americane – CeO, CfO e alti dirigenti – hanno collettivamente scaricato titoli azionari delle aziende per cui lavorano per un controvalore record di 15,59 miliardi di dollari. Primato storico assoluto.
E chi compra ciò che gli insiders vendono? Da un lato la clientela retail, ormai onnivora, ma dall’altro, soprattutto, le stesse aziende guidate da quei manager e dirigenti, visto che l’area verde della seconda immagine ci mostra il volume di buybacks in atto negli ultimi due mesi a Wall Street: il 40% di tutto il mercato del toro cui stiamo assistendo è garantito da riacquisto di titoli, dati ufficiali della Pavillon Global Markets. E attenzione, perché se i buybacks garantiscono il 40,5% dei rialzi, l’espansione dei multipli pesa per un altro 21%. Praticamente, una bolla in espansione terminale che cerca disperatamente una valvola di sfogo. E cosa c’è di meglio di una perpetuazione dell’emergenza sanitaria, quantomeno stando ai risultati ottenuti negli ultimi 18 mesi?
Qui non è in discussione la pericolosità del virus o, peggio, la sua stessa esistenza. Ci mancherebbe altro. Occorre però rendersi conto che, al netto della privazione dolosa di libertà fondamentali dei cittadini, qui stiamo assistendo al morphing del paradigma economico-finanziario: la politica monetaria non è più basata su concetti desueti come la stabilità dei prezzi, bensì sulle necessità del mercato azionario e sulla tenuta di quello obbligazionario sovrano come detonatore potenziale delle crisi debitorie degli Stati. Insomma, stiamo avvicinandoci a grandi passi a uno scenario strutturale in cui la scelta sarà fra virus (o guerra, terrorismo, corsa al nucleare, cambiamento climatico, Russiagate) o Troika. Cioè, tra emergenza collettiva o default sui conti.
Sicuramente la data del 31 marzo è stata presa in considerazione senza pensare alla scadenza del Pepp. E altrettanto sicuramente gli appelli a nuove restrizioni draconiane hanno a che fare unicamente con la tutela della salute collettiva e non con un auto-sabotaggio dell’economia che si riverberi in rinnovata fragilità e quindi necessità di una Bce in versione badante ancora per un po’. Ma, oggettivamente, stiamo spingendoci verso territori inesplorati. E, piaccia o meno, distopici.
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