Stairs up and elevator down. Si sa, i mercati prendono le scale per salire e l’ascensore per scendere. Almeno, così facevano quando non erano funzione dipendente delle manipolazioni delle Banche centrali. Resta il fatto che tra le 14.00 e le 16.00 della giornata di mercoledì scorso, lo S&P’s 500 ha bruciato circa 600 miliardi di capitalizzazione. Mettendo il numero in prospettiva, quella cifra è più o meno pari all’aumento registrato in tutta la settimana precedente. Insomma, l’indice in questione ha segnato chiusure positive per 10 trading days di fila ma ne ha bruciate 5 in sole 2 ore. Il Vix – l’indice della volatilità, il proxy della paura – in quelle due ore è aumentato di oltre il 10%. Certo, partendo da rasoterra.



Resta un fatto: davvero si può pensare di vivere in un mercato che va in rally solo perché la Fed dice ciò che vuole sentirsi dire? Viene da chiederselo soprattutto alla luce di questo grafico, il rendering dell’intera house of cards: ci mostra l’andamento dell’utilizzo combinato di Discount window e Btfp, il fondo di sostegno bancario della Fed.



Siamo ai massimi da aprile. Ovvero, da quando il Bank Term Funding Program fu attivato come risposta al default di Silicon Valley Bank. Oggi, mentre gli indici sfondano un record al giorno, i due principali veicoli di finanziamento sono strizzati come limoni. Non vi pare che ci sia il vaghissimo sentore di manipolazione strutturale delle equities? Il tutto, inoltre, alla luce dei continui massimi nei controvalori dei buybacks corporate, altro contrafforte divenuto ormai sistemico per abbassare il flottante, tenere alte le quotazioni ed elargire dividendi e bonus. E senza contare lo sprofondo dei dati macro, da una parte all’altra dell’Atlantico. E del Pacifico.



Sicuramente quanto avvenuto ieri rappresenta il classico caso di profit taking from big dogs. Ma non cambia il paradigma. E vale dappertutto, perché il Dax che vola ai massimi storici mentre l’economia tedesca flirta con performance post-pandemia e una deindustrializzazione ormai acclarata, mostra l’altra faccia di una medesima medaglia. Non caso, Cnbc si affretta a farci sapere che – già oggi – merci per 35 miliardi di valore stanno patendo criticità sulla supply chain globale a causa dell‘affaire Mar Rosso. Mentre Ikea, sfruttando l’iper-sensibilità natalizia, ha reso noto di essere già a corto di alcune componenti. E, soprattutto, prosegue in maniera ininterrotta il re-routing, poiché la coalizione a guida Usa che dovrebbe garantire la sicurezza marittima ha almeno 6-8 settimane di attesa prima di divenire realmente operativa.

Ora date un’occhiata a questo altro grafico: dove non arriva la Fed, ci pensano gli Houthi di turno. Come fu l’Isis. O Kim Yong-Un. O il Covid. O gli hacker russi.

E quest’anno negli Usa e nell’Ue si vota. Preparatevi a volare alto con la destabilizzazione. Ma ricordatevi: scale e ascensore. Attenzione a invertire l’ordine. Ma forse la domanda da porsi, è un’altra. E cioè: cosa è successo in ottobre?

I libri di storia, fra qualche anno, probabilmente ci diranno qualcosa in più. Per ora sappiamo che ottobre è stato un mese terribile per le equities Usa. Lo mostra questo grafico.

Nella fattispecie, lo mostra l’ovale rosso. Poi, due mesi di rally senza fiato. Un record dopo l’altro. Standard&Poor’s 500 e Nasdaq tramutate in altrettante macchine schianta-shorts. Cos’è successo a ottobre, tale da garantire un simile reverse? O, magari, meglio porsi un’altra domanda: cosa stava per accadere? Ora guardate questo altro grafico.

Una prima risposta arriva proprio da quello: stando agli ultimi dati Tic disponibili, quel mese ha registrato il secondo in assoluto nella serie storica per vendite estere di titoli azionari Usa. Un bagno di sangue. Una mozione di sfiducia del mondo nei confronti della Fed. E, forse, un grido del Re nudo rispetto alla narrativa del soft landing. E l’America, cosa ha fatto? Ha dimostrato a tutti come – Brics o non Brics, petrodollaro o meno – il centro del Sistema sia e resti Wall Street? Oppure è stato il disperato colpo di coda di un Sistema che stava per affrontare il cigno nero che non ti aspetti e, per evitarlo, ha messo in campo brick and mortar?

Bel dilemma. Esiziale. Perché non spiegherebbe solo il passato. Ci darebbe soprattutto elementi qualificanti per prevedere il futuro. Forse quest’ultimo grafico può sopperire a questo mistero che annebbia la prospettiva.

A postarlo è stato Scott Skyrm, più noto al mercato come il Repo Guru: ciò che accade dentro le mura della Fed di New York, per lui non ha segreti. Ebbene, a suo modo di vedere, questo sarebbe l’arco temporale più credibile di raggiungimento di quota 0 della facility di reverse repo della Fed, quella che proprio da inizio novembre ha garantito liquidità implicita e travisata al mercato, diminuendo in maniera drastica e costante. Troppo costante. Non vi pare? Stando alla simulazione, il drenaggio totale arriverà a fine marzo. Di fatto, in contemporanea con la chiusura – solo formale e statutaria – della facility di sostegno bancario della Fed attivata la scorsa primavera dopo il crollo di Svb. Per capirci, quella che la scorsa settimana ha garantito la cifra record di 124 miliardi solo per permettere alle filiali delle banche regionali di aprire i battenti. La stessa che combinata alla Discount Window ha appena segnato il record di utilizzo dai giorni caotici dello scorso aprile, quando tutto sembrava crollare da un momento all’altro.

Insomma, un bel pivot contrarian è stato telegrafato al mercato. Silenziosamente. Implicitamente. Se qualcuno avesse dubbi su una Fed che tagli emergenzialmente i tassi e ben oltre le prezzature dei nuovi dots, basta che guardi al marzo 2024 e alla potenziale emorragia di liquidità per il Sistema che si sostanzierà. Le Fed, a quel punto, dovrà tagliare. Per forza. E conoscere prima una data, aiuta. Molto. Basta vedere cos’è accaduto da novembre a oggi sul mercato Usa. Ma cos’è accaduto a ottobre, invece?

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