Di colpo, la Cina accerchia Taiwan. Esercitazioni di invasione. E voci – più o meno interessate ad attivare l’ennesimo focolaio di destabilizzazione – parlano di un passaggio dalla teoria alla pratica già a inizio giugno.

In effetti, Ucraina e Gaza cominciavano a essere il corrispettivo di un film d’essai per un pubblico amante dei cinepanettoni. Poco veicolabili. E ancora meno utilizzabili per far salire la cortina fumogena. Ora, al netto degli hashtag che sorgeranno spontanei in difesa della libertà e della democrazia, cosa conta davvero di Taiwan? TSMC. Ovvero, l’azienda leader nella produzione di microchip. Al mondo. La quale entro fine 2025 dovrebbe aprire due stabilimenti in Arizona, al fine di offrire maggior autonomia nel mercato dei semiconduttori agli Stati Uniti.



Xi Jinping non pare molto d’accordo. Soprattutto alla luce di questo: i fondi speculativi Usa non erano così esposti al rialzo sul settore in questione da 14 anni a questa parte.

E vogliamo parlare dei conti astronomici di Nvidia, resi noti mercoledì sera a Borsa chiusa? Manca ancora un 17% di market cap e l’azienda leader della rivoluzione AI sarà la più grande al mondo. In assoluto. Già oggi, da sola, vale il mercato azionario italiano e quello australiano. Messi insieme. D’altronde, quando l’aumento delle revenues su base annua vola a +262%, difficile che qualcuno possa ignorarti. Casualmente, la Cina decide che è ora di accerchiare Taiwan. Come dire, proprio sicuri che il vostro all-in sui semiconduttori sia una mossa particolarmente intelligente? Anche perché mentre Wall Street spediva il titolo Nvidia alle stelle, garantendogli 200 miliardi di market cap in due minuti di orologio, a Shanghai qualcuno metteva le mani avanti. E non un qualcuno a caso. Bensì, Jamie Dimon, il numero uno di JP Morgan. Il quale, dopo aver lasciato tutti di stucco anticipando il suo addio in tempi ormai non più lunghissimi e indeterminati, ha preso la parola al Global China Summit e detto chiaro e tondo che l’economia americana potrebbe dover affrontare un hard landing. E non è possibile escludere nemmeno lo scenario peggiore in assoluto. Ovvero, la stagflazione.



Scusate, ma non ci avevano detto che, al massimo e nella peggiore delle ipotesi, quei fenomeni d’Oltreoceano avrebbero vissuto un morbido soft landing? D’altronde, quando a colpi di revisioni a comando del tasso di disoccupazione e degli up and down dell’inflazione riesci a manipolare ogni lettura macro che il Signore mandi in terra, la narrativa pare già cotta e servita. Guarda caso, proprio ora e proprio a poche ore dalla comunicazione del suo abbandono della nave, il vero Presidente degli Stati Uniti riporta tutti alla realtà. Mentre i medesimi hedge funds che stanno ammassando posizioni rialziste sui semiconduttori, dall’altro capo del trade si lanciano in shorts contro le equities cinesi come mai dal 2018.



Ricapitolando: il capo di JP Morgan va nella tana del lupo a sputtanare l’economia del suo Paese, mentre il mercato finanziario Usa scommette che tutto andrà benissimo. Al centro della disputa, l’AI. Nvidia. La bolla tech. E i microchip. E il prezzo del rame spinto alle stelle dagli acquisti cinesi. Ciliegina sulla torta, Pechino decide di accerchiare Taiwan. Proprio ora. Proprio per vedere l’effetto che fa. Perché se si riesce a montare bene la panna della prossima emergenza geopolitica, il terrore immediato sarà quello di una scarsità di semiconduttori. Quantomeno a disposizione dell’Occidente, divenendo TMSC di fatto un’azienda di Stato cinese. E proprio ora che Nvidia decide uno split azionario 10:1 che decuplica i titoli. E quindi anche la possibile tentazione di una qualche incursione speculativa al ribasso. E sapete chi detiene ognuno il 20% di Nvidia, rispettivamente? Vanguard, BlackRock e State Street. Praticamente il Governo Usa. Quello vero.

Non vi pare che il mercato stia vagamente sottovalutando la possibilità di un crash controllato all’orizzonte, stante un Vix – l’indice di volatilità – a quota di minimo storico di 11, mentre fuori dalla finestra il mondo è apparentemente in fiamme? In compenso, il rendimento del decennale giapponese sale sopra l’1% per la prima volta da un decennio a questa parte. Ma tranquilli, poco ancora e la Fed taglierà i tassi. D’altronde, proprio il Giappone ci insegna che basta monetizzare il debito per farlo sparire, no?

Forse no. E forse questo grafico ci mostra come, se davvero Jerome Powell decidesse per un taglio a breve, lo farebbe proprio per scatenare il crash controllato necessario a resettare tutto.

Perché l’andamento della massa monetaria M2 sconsiglierebbe un ulteriore ammorbidimento delle condizioni finanziarie e di liquidità. Quantomeno se si è ancora dotati di un minimo sindacale di buon senso. Ma se vivi in un mondo in bolla, l’unica priorità è quella di fare in modo che questa non scoppi in maniera disordinata e improvvisa. Perché l’economia Usa, quella che Jamie Dimon teme potrebbe sbattere il muso contro il sedile davanti durante l’atterraggio, dipende sì in grandissima parte da una voce manipolabile come i consumi personali, stante l’abuso di credito al consumo e indebitamento su carta, ma oggi la quota parte di spesa pubblica federale sta diventando strutturale. Basti vedere il numero di aste di Treasuries e il loro controvalore, a fronte di tassi di mercato che certamente non invogliano a correre al rifinanziamento. Soprattutto se fosse vera la prospettiva di un loro taglio così imminente.

Signore e signori, c’è aria di sorpresona estiva. Prospettiva poco incoraggiante in un Paese che ha appena regalato al mercato l’edificante capitolo del Redditometro, come ultima mossa di politica economica. Fate una cosa, a scanso di equivoci. Allacciate le cinture. E anche il casco.

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