In attesa di capire cosa si inventerà questo Paese per distrarre l’opinione pubblica dalla repentina china di tracollo economico intrapresa – essendo ormai Omicron poco appetibile e terminata la versione canora de Il vizietto – meglio focalizzarsi sulla carriera da Dottor Stranamore 2.0 di Joe Biden. A nessuno sarà sfuggito come, di colpo, gli Usa si siano ricordati della presenza dell’Isis in Siria, eliminandone il capo in un blitz da film di Netflix. «Ora il mondo è più sicuro. Si è fatto esplodere come un vigliacco, uccidendo tutti i suoi famigliari. Questo è un avviso a tutti quanti, vi troveremo», ha commentato serafico e fiero il Commander-in-chief, forse pensando di essere impersonato da Bruce Willis.



Lungi da me piangere per la morte di un estremista sunnita, occorre però stare attenti a certi segnali. Nella fattispecie, quello riprodotto in questo grafico: ciò che conta nell’immediato è la linea rossa, quella del prezzo del petrolio.

Se la prima banda spartiacque nei trend è rappresentata dalla contemporaneità di suicida messa in campo delle riserve strategiche di greggio con l’esplosione di Omicron, la seconda è più recente. E chiara: warmongering. Tradotto, guerrafondaio. In parole povere, l’approccio maccartista verso la Russia sulla questione Ucraina ha messo le ali alle valutazioni dell’oro nero. Di fatto, un’alternativa all’Opec e alla sua fallimentare politica di taglia-e-cuci con la produzione. Ma una scorciatoia decisamente pericolosa. In primis, perché se le correlazioni hanno un senso, nell’arco di poche settimane i prezzi alla pompa del carburante negli Usa andranno in re-couple con quelli del petrolio. Per somma gioia dell’americano medio.



Forse si sta cercando di dare una silenziosa mano a Tesla e all’auto elettrica? O forse occorre paradossalmente spingere la Fed ad agire più in fretta con il suo clamoroso policy error legato ai tassi per arginare l’inflazione? Perché è chiaro che se la componente maggiore del paniere CPI vola alle stelle a causa del clima di contrapposizione bellica, il 7% registrato il mese scorso – massimo dal 1982, quando ET telefonava a casa – pare destinato a non sgonfiarsi in tempi brevi. Anzi. Unite a tutto questo la guerra dei fertilizzanti mossa da Mosca e con possibili ricadute nel prossimo trimestre sull’indice dei prezzi alimentari globale ed ecco che il proverbiale chiodo è stato piantato sulla bara della transitorietà del fenomeno inflattivo. Detto fatto, Jerome Powell non avrebbe più scuse. E il giorno di San Patrizio (17 marzo) potrebbe davvero tradursi nell’annuncio che tutti attendono/temono: il primo rialzo dei tassi negli Usa.



E in quali condizioni avverrebbe? Insomma, stando ai risultati di Facebook/Meta non delle migliori. Soltanto giovedì, la creatura di Mark Zuckerberg ha perso 250 miliardi di capitalizzazione a causa di numeri disastrosi. E questi due grafici mettono la questione in prospettiva: il primo mostra come il tonfo di Facebook/Meta abbia immediatamente contagiato tutti gli indici equities. Per riuscire a trovare un minimo di sostegno è stato necessario il +20% after-hours di Amazon, trionfatore assoluto della pandemia.

Il secondo grafico appare ancora più interessante: i social networks hanno fatto il loro tempo? Apparentemente, sì. Il 2019 e 2020, quest’ultimo l’annus horribilis della pandemia e dell’isolamento forzato dei lockdown, paiono infatti aver segnato il picco a livello di connessione globale con i suoi 145 minuti al giorno di media: lo scorso anno, si è scesi a 142. Il giochino si è rotto? Esattamente come pare in dirittura d’arrivo la narrativa emergenziale del Covid-19, tanto da aver costretto la Casa Bianca a ricorrere al vecchio ma sempre infallibile strumento del warfare, il moltiplicatore magico di ogni Pil in crisi? Perché non occorre scordare cosa ci ha detto solo venerdì scorso il GDPNow della Fed di Atlanta: nel primo trimestre di quest’anno, la crescita economica Usa è fissata allo 0,1% dal 5,6% di metà gennaio. Praticamente, contrazione conclamata a fronte del 7% di inflazione: tradotto, stagflazione.

Come si è esce? Con il combinato classico: rialzo dei tassi e guerra, il primo destinato a un effetto placebo sui prezzi più soggetti a speculazione pura nel breve periodo, la seconda a operare appunto da denominatore. Il complesso bellico-industriale macina Pil e la Fed vende al mondo la favola della normalizzazione del costo del denaro.

E se qualcosa andasse fuori giri? Qualcosa deve andare fuori giri. È messo in conto. E, anzi, è necessario. Perché in Ucraina non si può arrivare alla guerra reale. Soprattutto dopo che Vladimir Putin, alla vigilia della visita a Pechino da Xi Jinping per l’inaugurazione delle Olimpiadi invernali, ha definito la Cina «un alleato contro le sanzioni unilaterali». Tradotto, il Dragone potrebbe essere tentato di usare il proxy russo per mostrare a Washington cosa accadrebbe in caso di ingerenze su Taiwan. Una cosa è il profilo da duro del warmongering quando si ammazza un estremista islamico con i droni e senza boots on the ground, un’altra è essere così pazzo da sfidare Cina e Russia in una guerra vera, ancorché ibrida.

Insomma, signori, di fronte a noi stanno aprendosi scenari da mondo nuovo. E quel dato sui social network deve far riflettere. Molto profondamente. Perché se è esistito uno strumento di propaganda politica e ideologica degno del Goebbles più ispirato, questi sono stati proprio i vari Facebook. E per quanto si possa pensare che abbia operato solo in favore di derive LGBT o altre amenità di genere, la realtà è un altra: i social sono stati il veleno inoculato nel buon senso del padre di famiglia dal crollo Lehman in poi per far passare la mentalità malata del debito inesistente. Anzi, addirittura benigno e necessario come strumento di lotta alle diseguaglianze. Dove ci abbia portato un decennio di Qe strutturali e globali in tal senso è sotto gli occhi di tutti, quanto danno supplementare abbia arrecato poi al sistema la retorica green subentrata nell’ultimo triennio lo stiamo pagando caro in questi giorni. Ma era tutto strumentale: i nuovi ordini possono nascere solo dal caos. E attenzione, perché quello in lavorazione in queste settimane pare destinato ai libri di storia.

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