Jerome Powell ha mentito. E, francamente, lo capisco. La disputa storiografica ancora non ha sciolto il dubbio riguardo la paternità della frase, ma sia che l’abbia pronunciata Alan Greenspan, sia che a farlo sia stato Jean-Claude Trichet, resta valida. E sacrosanta: “Quando la situazione diventa veramente seria, l’obbligo di un banchiere centrale è quello di mentire”. In questo periodo si fa un gran parlare di impeachment e, restando nel nostro contesto più provinciale, addirittura di alto tradimento: parole a vuoto, degne di miglior causa e gravità. Donald Trump ha cercato di fare pressione sull’Ucraina, affinché screditassero Joe Biden? Lo hanno sempre fatto tutti in politica, anche a livelli più infimi: l’unica colpa del Presidente Usa, se venisse riconosciuto colpevole, sarebbe quella di essersi fatto beccare come un pollo. Per far capitolare Richard Nixon, ci volle ben altro. Giuseppe Conte avrebbe dato un tacito assenso al Mes in sede europea, ovviamente per via informale, pur di restare in sella a palazzo Chigi e superare la crisi del Papeete? Beh, diciamo che se così fosse, a complotti in Europa sono messi male, visto che tutto è stato rimandato al marzo prossimo.
Scusate, ma non c’erano le banche tedesche e francesi da salvare, forse? Possono aspettare altri tre, quattro mesi, ratifiche incluse, mentre nel frattempo il ministro Di Maio e qualche pensatoio M5S fanno le pulci alle carte e scoprono se c’è l’inganno nascosto, come nelle polizze assicurative? O, magari, mettono tutto ai voti sulla piattaforma Rousseau e chi si è visto, si è visto? Vi rendete conto che non sta insieme nemmeno con la colla, una storia simile? E poi, se il Mes è talmente importante da far evocare addirittura l’alto tradimento e l’allontanamento in ceppi del presidente del Consiglio, come mai mercoledì mattina alla Camera erano presenti quattro gatti all’informativa di quest’ultimo, in vista del Consiglio europeo chiamato a discutere – fra l’altro – proprio del fondo salva-Stati? Avevano pilates, forse, a quell’ora? Appuntamento dal barbiere?
La butto sull’ironia, perché altrimenti ci sarebbe davvero da piangere. Perché quando sento una persona istruita e spesso e volentieri lungimirante come l’ex ministro Giulio Tremonti sostenere che la questione del Mes è riconducibile, nella sua inderogabile necessità di opposizione, solamente al fatto che con la Brexit si creerebbe un vulnus relativamente alla denominazione dei contratti derivati per centinaia di miliardi che nella City londinese ancora europea oggi hanno la loro clearing house, mi cascano le braccia. Perché il professor Tremonti sa che il Mes, a livello di fondi, è una pistola ad acqua. E, soprattutto, che ha appena vissuto un rinvio di tre, quattro mesi prima del suo via libera operativo. E, altresì, sa che se dovesse davvero partire una mega-margin call legata alla catena di controparte dei soli contratti derivati – anche solo gli swaps valutari – trattati a Londra, la palla di neve diventerebbe valanga nell’arco di un giorno, massimo due. I tempi biblici del Mes servirebbero solo per constatare i danni e stanziare un obolo per scavare sotto le macerie. Tant’è, tutta ideologia e poca sostanza. Da un fronte come dall’altro, in maniera desolantemente bipartisan.
Ma, come anticipato, queste sono appendici provinciali di un problema più serio. Mercoledì sera nel corso della conferenza stampa seguita al Fomc della Fed, Jerome Powell ha negato qualsiasi tipo di rischio legato al mercato repo, pur ammettendo che in vista delle scadenze di fine anno, la Banca centrale Usa potrebbe ampliare anche ai coupon la platea di collaterale eligibile per ottenere liquidità alle aste quotidiane e a quelle term settimanali. Insomma, una smentita che sa di implicita e ipocrita conferma. Ma è la questione generale che deve farci preoccupare: ovvero, la decisione rispetto ai tassi di interesse statunitensi. I quali sono visti dal Comitato monetario come fermi al livello attuale per l’intero 2020: Wall Street ha timidamente festeggiato, quantomeno scontando il fatto che sia stato tolta dal tavolo con largo anticipo l’incognita di incauti rialzi nei mesi che porteranno al voto di novembre. Ma la Fed, appunto, deve mentire. Per obbligo, affinché la gente non si preoccupi e le teste pensanti della Banca centrale possano lavorare senza stress – e, magari, code agli sportelli bancari o tumulti per strada – al fine di tamponare la situazione. Ma anche per imposizione, perché il 2020 non sarà soltanto l’anno dei tassi bloccati nel range 1,5-1,75% per gli Usa, bensì anche e soprattutto quello delle elezioni presidenziali. Come arrivarci?
E qui, subentra anche un po’ di dietrologia. Se, come sostiene fra il serio e il faceto lo stesso Donald Trump, davvero la Fed volesse sabotare la rielezione del Presidente, di fatto operando come braccio armato monetario/finanziario del Deep State, farebbe di tutto per lasciare andare le cose nel loro verso, evitando qualsiasi mossa che possa prevenire scossoni. Tipo, lasciare che l’ebollizione del mercato repo arrivi al suo acme, limitandosi all’ampliamento degli assets accettati come collaterale a ridosso di fine anno, ma guardandosi bene dal comunicare al mercato ciò che vorrebbe sentirsi dire e che già prezza: ovvero, le operazioni repo e term andranno avanti fin quando necessario, come il Qe annunciato da Mario Draghi. Il cosiddetto “fattore open-ended“. A quel punto, mercati e indicatori macro stapperebbero lo champagne e Donald Trump potrebbe già far riverniciare lo Studio Ovale del suo colore preferito. E il timore che qualcosa sia in arrivo, da qui a fine anno, c’è. È palpabile. E non solo dal continuo stillicidio di aumenti quotidiani dei tassi repo, un +5 punti base che non allarma e non fa notizia ma che continua a sommarsi, nonostante il supporto della Fed garantito fino al termine di gennaio. E non solo dal rischio di up-and-down strutturali legati alla guerra di veline e depistaggi sull’ormai mitologico accordo commerciale con la Cina, buono solo per far impazzire gli algoritimi e favorire short squeezes che mandano gli indici alle stelle.
No, c’è dell’altro. Per l’esattezza, c’è quanto contenuto in questi tre grafici, i quali senza bisogno di parole ci dicono e confermano chiaro e tondo che non solo Jerome Powell ha mentito mercoledì sera, rassicurando tutti rispetto al bassissimo livello di rischio, ma anche che la partita per le presidenziali rischia di giocarsi più a Wall Street che non nei dibattiti e nelle convention delle Primarie.
E cosa ci dicono quei grafici? Il primo fa riferimento a uno studio di Bloomberg, dal quale si evince quanto segue: “I trend storici ci dicono che quando notiamo un turnover di questo genere, l’espansione economica è quasi certamente entrata nella sua fase finale”. E di quale turnover si parla? Di amministratori delegati di grandi e medie aziende Usa che si sono dimessi nel corso di quest’anno, capitani che hanno abbandonato la nave, che si sono lanciati dall’aereo con il loro paracadute d’oro prima dello schianto. Un livello mai raggiunto, come potete notare. E, intuitivamente, tutti sanno che se c’è qualcuno che fiuta l’aria dell’economia in anticipo, questi è chi siede in un consiglio di amministrazione.
Come mai questo esodo di massa, se stiamo vivendo nella migliore stagione per l’economia dalla fine degli anni Sessanta, come va ripetendo Donald Trump e come ripete a pappagallo molta stampa? Tutti vogliosi di portare la moglie trascurata a fare la crociera che si rimanda da anni? O di andare a pesca e giocare a golf in Florida, al calduccio? O, forse, meglio prendere l’uscita di emergenza prima che si crei la calca da panico?
Il secondo grafico, contestualizza ancora meglio la faccenda. Mette infatti in correlazione il grado di fiducia delle aziende con quello dei consumatori. Una divergenza così ampia, uno spread così divaricato, non si era mai raggiunto: il capolavoro assoluto della campagna orwelliana in atto, un lavaggio del cervello collettivo a colpi di notizie strabilianti su Wall Street e ottimismo a oltranza da disperazione ormai malcelata. Anche in questo caso, chi sta – o stava, fino a poco tempo fa – nella stanza dei bottoni, vede nero. Mentre chi sta davanti al telegiornale o ai talk show, sta ancora chiedendosi se davvero stiamo vivendo gli anni economicamente più splendenti da decenni.
Infine, il terzo grafico. Il quale ci mostra come sia dalla bolla dot.com di fine anni Novanta che i cosiddetti insiders, ovvero dirigenti e alti funzionari di grandi aziende, non vendevano un controvalore simile di titoli azionari della corporation per cui lavorano. Sanno qualcosa o, come potrebbe azzardare qualche genio dell’analisi finanziaria, si lanciano soltanto in periodiche prese di beneficio di massa, quasi sincronizzate? Insomma, i medesimi CeO e CfO che si stanno dimettendo a ritmo degno di un’epidemia manzoniana e i cosiddetti C-Suite hanno talmente tanta fiducia nel futuro dell’economia e, soprattutto, nella veridicità di conti e bilanci della propria azienda, da venderne i titoli come se fossero vettori di contagio della peste bubbonica. Cosa dite, sanno qualcosa che noi comuni mortali – anche in questo caso – ancora ignoriamo? E che, grazie ai comportamenti alla Jerome Powell, continueremo a ignorare, come accaduto per Lehman Brothers, divenuta famosa solo la mattina del 15 settembre 2008, mentre già gli scatoloni venivano riempiti dai traders licenziati? Ragionate, quando gente di quel livello si comporta e pensa così, dietro l’angolo vede solo una cosa: una recessione.
Ancora preoccupati che attraverso il Mes vi taglieggino il conto corrente per salvare Deutsche Bank? Siete troppo intelligenti per crederlo. Ricordatevelo però, quando sarete in cabina elettorale.