Fino a qualche tempo fa, l’appuntamento con il simposio dei banchieri centrali organizzato ogni anno dalla Fed a Jackson Hole segnava un evento spartiacque: ciò che emergeva dal meeting fra le montagne del Wyoming segnava l’indirizzo del mercato in maniera chiara, veniva letto dai gestori di fondi come dai Ceo delle aziende come un barometro, una bussola sulla cui indicazione regolare le proprie mosse. Oggi, quella riunione appare utile quanto una conferenza stampa del ministro Azzolina. Forse meno, se umanamente possibile.



“Il mercato attende indicazioni soprattutto sull’inflazione”, rendeva noto ieri mattina un noto canale all news, presentando l’avvenimento. Tradotto: la Fed renderà noto come sopprimerà ogni possibile rigurgito di normali e funzionali dinamiche macro per i prossimi dieci anni almeno. Magari, flirtando anche con una bella versione a stelle e strisce del delirio nipponico di controllo diretto della curva dei rendimenti. Tradotto ulteriormente: visto che il Qe nasce statutariamente come strumento per combattere il rischio deflattivo, l’incubo della lost decade giapponese, ma in realtà si è tradotto unicamente in un boost senza precedenti per il mercato azionario, ora l’unico modo per proseguire con lo stimolo e gli acquisti senza che la gente monti ghigliottine in piazza è proprio quello di constatare il livello di inflazione – e i suoi breakevens – ancora troppo basso. E richiamarsi, tanto ipocritamente quanto con disperato ricorso al raschiamento terminale del barile, proprio al mandato originario.



Signori, Wall Street è troppo grande e malata perché la Fed possa operare liberamente. Il vero, originario concetto di too big to fail è davanti ai nostri occhi. La Banca centrale americana, la stessa che ha rivendicato per decenni la sua indipendenza di giudizio e azione, è totalmente schiava del mercato equity più dopato della Storia. E, colmo della delirante situazione in cui viviamo, il tutto proprio a causa del suo interventismo criminale. Non ci credete? Oggi mi tolgo qualche sassolino dalla scarpa, tanto ormai non vale più la pena di porre in essere patetici richiami al buonsenso dell’approccio dubitativo.



Guardate questo grafico.

Ci mostra plasticamente in quale ambientazione di mercato Jerome Powell ha inscenato la sua pantomima: siamo o non siamo dentro la più grande bolla debitoria di tutti i tempi? E cosa volete che dicesse il banchiere centrale chiamato a rivendicare la bontà della stessa azione che dal 2008 in poi ha reso possibile questo abominio della realtà economica? Che ammettesse di essere totalmente con le spalle al muro, obbligato a continuare con gli acquisti, altrimenti l’intero castello di carte crollerebbe, tramutando il fallimento Lehman in una festa di compleanno delle scuole elementari?

Forse non vi è ancora chiaro il livello di ipoteca del futuro in cui siamo precipitati: siamo schiavi, definitivamente. Non se ne esce, nemmeno facendo ricorso alla buonanima di Schumpeter e alla distruzione creativa. Quando sentite dire che le crisi sono anche delle opportunità, mostrate all’ottimista di turno quel grafico: e intimategli, per favore, di tacere.

Signori, alla vigilia del discorso di Jerome Powell sia il Nasdaq che lo Standard&Poor’s 500 hanno sfondato l’ennesimo record, ormai un appuntamento bisettimanale. Il tutto, mentre il mondo pare alle prese con la seconda ondata di Covid e l’intero castello delle scommesse di mercato si basa sulla chimera del vaccino. Ma non basta.

Restando strettamente legati alla realtà americana, ecco che mentre in Wyoming si stiravano le tovaglie e si sistemavano i tappeti agli ingressi, il Wisconsin – un tempo noto solo perché teatro delle gesta di Fonzie, Ricky e degli altri protagonisti di Happy Days – mandava in onda h 24 il trailer della Seconda guerra civile americana, quella genialmente preconizzata da Joe Dante nel lontano 1997. Certo, l’adagio vuole che quando scorre il sangue nelle strade, allora è il momento di comprare in Borsa, ma qui la questione è davvero più seria.

Avete notato come, di colpo, da almeno una settimana nessun tg dia più notizie sul Covid in America? Fino a Ferragosto eravamo di fronte a un bollettino di guerra quotidiano, il professor Fauci imperversava come nemmeno Chiara Ferragni sui social, mentre ora pare che gli Usa siano di nuovo sotto scacco unicamente dell’emergenza razzismo (con l’aiuto supplementare, involontario e ciclico di madre natura, visto che agli incendi in California ora andrà a unirsi anche l’uragano Laura). La solita, ritrita sceneggiatura. Di crisi in crisi, in modo che l’opinione pubblica non capisca di essere dentro un enorme Truman show. E stranamente, le rivolte a sfondo razziale esplodono dopo la convention democratica che ha incoronato Kamala Harris come nuova icona pop e nel pieno di quella Repubblicana, dipinta da tutti i media come una sorta di rimpatriata del Ku Klux Klan sotto mentite spoglie, un raduno fuori tempo massimo dei nazisti dell’Illinois dei Blues Brothers.

L’americano medio? In modalità rana bollita, quasi Noam Chomsky avesse davvero avuto la sfera di cristallo. Con il coté molto pop – e ampiamente sperimentato nella sua efficacia – dello sciopero dello sport professionistico (Nba, Mla, Msl) per protesta contro quanto accaduto a Kenosha: leva a uno statunitense le partite di basket e baseball e avrai ottenuto la sua attenzione, pronto a qualsiasi mutamento di schieramento politico pur di riavere il suo panem et circenses. Signori, la via d’uscita non esiste. Quantomeno, non indolore.

Guardate questi due grafici, nel caso il primo non fosse stato sufficiente.

Se visto attraverso il proxy dell’indice benchmark mondiale del Bloomberg Global Stocks, il mercato azionario oggi è al massimo assoluto della storia. Oltre 90 triliardi di market cap, praticamente il regno assoluto degli unicorni, la dittatura dei cieli azzurri. Ed ecco che la linea verde del proxy relativo alla liquidità globale messa in circolo ci mostra come, per ottenere questo risultato, siano bastati solo una decina di triliardi di dollari di free money (ovvero, a debito) iniettata nelle vene del sistema dai minimi di marzo ad oggi, operando di emergenza in emergenza. In compenso, la linea blu dei rendimenti obbligazionari langue. Anzi, finge di aver rialzato la testa nell’ultimo periodo, ma lo fa soltanto per “contratto”: occorreva infatti garantire un minimo di credibilità residua alle parole di Jerome Powell sull’inflazione, quindi operiamo in modo che la pantomima sia spendibile all’esterno.

E il secondo grafico, invece, cosa ci dice? Semplice, se il grado di fiducia di Wall Street viene interpretato attraverso i corsi da record dello Standard&Poor’s 500, quello della cosiddetta Main Street, l’economia reale o il 99% della società tagliato fuori dal grande circo della manipolazione, è espresso tramite l’indice di fiducia dei consumatori del Conference Board: cosa dite, è abbastanza chiaro in cosa siamo andati a infilarci, dopo circa 10 anni di Qe perenne e sistemico, di Sacro Graal della monetizzazione del debito come via per la salvezza e la redenzione?

E tanto per essere ancora più chiari, guardiamo con attenzione quella linea rossa: la quale ha vissuto sì una dinamica V-shaped, ma al contrario. Ovvero, una ripresa netta dallo sprofondo, legata direttamente all’erogazione dei programmi di sostegno federale del Tesoro legati all’emergenza Covid negli Usa ma di brevissimo respiro, poiché è ri-precipitata ai minimi da metà luglio in poi. Ovvero, da quando i percettori della pietà di Stato si sono resi conto che di lì a poche settimane, quegli stessi sussidi sarebbero andati a scadenza (1° agosto).

Bene, ora guardate questo ultimo grafico contenuto nel report di Bank of America relativo alle prospettive di prolungamento dei programmi di welfare emergenziale, in vista della battaglia del Congresso contro gli ordini esecutivi emanati in tal senso dalla Casa Bianca.

Ci mostra il tracollo dell’utilizzo delle carte di credito (quindi, nemmeno di denaro contante, ma di credito che già di suo esce dalle tasche con un mese di “moratoria” rispetto a un immediato impatto sul conto corrente) nel periodo seguito alla fine dello schema federale, quello dei 700 dollari a settimana, diviso per categorie di reddito. L’America, intesa come la Main Street che gli schieramenti politici cominciano a blandire in maniera indegna in vista del voto del 3 novembre, è totalmente schiava e dipendente dai prodromi di helicopter money del governo. Altrimenti, rischia di non riuscire a pagare – fin da ora – affitti, mutui, bollette, spesa alimentare. Ecco lo straordinario risultato di 8 anni abbondanti di Qe e di miraggio di denaro a pioggia e gratis per tutti: Wall Street e i cosiddetti banksters che sfondano due record di rialzi alla settimana, brindando con dividendi e bonus e Main Street che prega il governo federale di garantirle i soldi necessari a pagare la luce e comprare i corn flakes ai figli per la colazione.

Quanto può durare un inganno simile, pur meravigliosamente orchestrato grazie a un filotto senza soluzione di continuità di emergenze e paure collettive, prima che quelle rivolte a orologeria che vediamo al tg, divengano guerra civile reale? Certo, la massa è ontologicamente di natura ovina, quindi facilmente gestibile e indirizzabile. Certo, ci sarà sempre un Isis o un Covid che terrorizza più dello sfratto o del gas tagliato nei fornelli della cucina. Ma, non fosse altro per la legge dei grandi numeri applicata alla destabilizzazione sociale, arriva sempre il momento in cui la folla smette di ridire, quando qualcuno abbozza la battuta relativa all’adagio del mangino brioches.

Temo che qualcuno, stavolta, stia scherzando con il fuoco, dall’altra parte dell’Oceano. In maniera apparentemente voluta e controllata. Ma sempre più conscia dell’aver tirato la corda in maniera folle, a fronte del rischio esiziale di un sistema finanziario che crolla sotto il peso dei suoi stessi impicci e magheggi. Servirà, a breve, una bella testa da presentare all’opinione pubblica sul piatto d’argento, al fine di scongiurare l’avvento incontrollabile di brechtiani granelli di sabbia. Ma una testa davvero speciale, il solito capro espiatorio rischia davvero di non bastare stavolta. Da qui al 3 novembre, potrebbe davvero succedere l’incredibile. Ma se, come oggi, in gioco c’è la sopravvivenza del sistema, impossible is nothing. Come recitava il famoso spot.

Per questo, vi dico, quanto detto da Jerome Powell sarà soltanto acqua che scorre. L’evento di rottura sarà altro, preso atto che il reset di mercato di cui vi ho parlato per settimane appare ormai impossibile, stante le dimensioni assunte dal Leviatano di debito: opzione 1963?