Mi scuserete se mi disinteresso totalmente della questione Colle. A occhio e croce, troverete comunque abbondanti commenti e analisi al riguardo. Quindi, inutile unire al coro quelli di uno che – come il sottoscritto – di politica capisce poco o niente. In subordine, l’argomento non è affatto nelle mie corde: per il semplice fatto che non cambia una virgola ai destini del Paese. È solo lotta fra bande politiche. Il futuro dell’Italia e delle politiche economiche che la contraddistingueranno si decidono fra Bruxelles e Francoforte, come proprio il precedente inquilino del Quirinale ha fatto paradossalmente e abbondantemente intendere con il blitz che ha insediato Mario Draghi a palazzo Chigi.
Ora, mentre in Italia è tutto un fiorire di nomi e ipotesi, altrove si scorgono i prodromi di una silenziosa messa in discussione degli equilibri. Non a caso, oscurata dai grandi media. Cominciamo da questo tweet, postato domenica del presidente di El Salvador, Nayib Bukele, l’uomo che ha aperto alla rivoluzione cripto, adottando Bitcoin come valuta. E, di fatto, inimicandosi ogni istituzione monetaria al mondo. Rilanciando un video di RussiaToday, il numero uno del Paese latino-americano si chiede come l’Europa osi definire la sua nazione una dittatura quando nel centro amministrativo dell’Ue si registrano scene simili. Si tratta degli scontri esplosi domenica a Bruxelles nel corso di una grande manifestazione contro le restrizioni per il Covid. Scene di guerriglia e repressione. Debitamente omesse dai tg, salvo rarissime eccezioni. E purgando con sapienza i frames più crudi.
Ora, premesso che se fossi Bukele impiegherei il mio tempo per trovare un modo che eviti o rimandi il default dei miei bond e per tamponare una situazione che ha visto l’universo cripto perdere un trilione di market cap in un battito d’ali, resta un fatto: l’Europa ormai è un’entropia a responsabilità limitata. E se nella sua capitale si scorgono scene degne di Belfast sul finire degli anni Settanta, altrove la questione si fa potenzialmente ancora più pericolosa. Attenzione infatti a sottovalutare il terremoto politico che comincia a essere segnalato dai sismografi più sensibili in Germania. Per una volta, la scena non è appannaggio dei falchi del rigore economico, bensì di un militare. Un alto militare, il capo della Marina, vice-ammiraglio Kay-Achim Schönbach. Il quale nel breve lasso di tempo di 72 ore ha terremotato gli equilibri Nato del suo Paese, in piena crisi dell’Ucraina e si è dimesso. Al centro dell’affaire, le dichiarazioni rilasciate dal militare il 21 gennaio nel corso di un intervento a un evento organizzato dal think tank indiano di difesa Manohar Parrikar Institute for Defence Studies and Analyses di Mumbai, dove Schönbach si trovava per il contemporaneo attracco della fregata tedesca Bayern.
Tre i punti fermi: primo, la Crimea ormai va ritenuta come parte della Russia, per quanto l’Ucraina continui a rivendicarne la sovranità. Due, Vladimir Putin merita il rispetto che pretende dall’Occidente e il fatto che metta pressione all’Europa dipende dal fatto che l’opinione pubblica è divisa al riguardo, garantendogli una leva politica. Terzo e fondamentale, la Cina è una potenza egemonica che arma dittatori e killers solo per ottenere diritti sulle risorse dei Paesi governati da quelle persone. Di più, si comporta da Paese nemico con un’agenda nascosta, mostrandosi tutt’altro che il Paese gentile che pensavamo fosse. Il caso della Kuka (azienda tedesca di robotica comprata dai cinesi, ndr) ci mostra quale sia il livello di capacità aggressiva di Pechino nel carpire tecnologie e know-how. Boom! Il giorno seguente il tabloid Bild racconta l’accaduto, sottolineando l’imbarazzato silenzio al riguardo dell’ambasciatore tedesco in India. E soprattutto una frase: «Le sanzioni europee stanno solo spingendo Mosca sempre più fra le braccia della Cina, un errore madornale». Il tutto alla vigilia proprio del vertice Ue di ieri sul capitolo Ucraina. Detto fatto, nell’arco di 24 ore il vice-ammiraglio ha presentato le proprie dimissioni con effetto immediato nelle mani del ministro della Difesa, Christine Lambrecht, la quale le ha immediatamente accettate.
Resta il precedente, però. Enorme. Uno dei militari più in vista delle Forze armate tedesche non solo smonta completamente l’approccio del suo Governo e dell’Ue verso la Russia in uno dei momenti bilateralmente più delicati dalla caduta del Muro, ma, soprattutto, smonta completamente l’approccio di appeseament verso Pechino che ha caratterizzato la leadership degli ultimi anni di Angela Merkel. La quale, non a caso, accelerò a dismisura i tempi per la sigla del memorandum di collaborazione fra Unione europea e Cina, al fine di garantirne l’accadimento entro il 31 dicembre 2020, data finale del semestre di presidenza tedesco di turno. E così fu, scatenando le ire del Dipartimento di Stato.
Il problema è che Berlino sta vacillando. Se da un lato Olaf Scholz ha sottolineato come bloccherà del tutto Nord Stream 2 in caso di invasione russa dell’Ucraina, dall’altro la Germania ha detto no al trasferimento di armamenti verso Kiev, attività invece apertamente rivendicata da Usa e Gran Bretagna nei giorni scorsi. E questa volta con i carichi giunti di giorno e in favore di telecamere e non con il favore delle tenebre in uno scalo militare nascosto a occhi indiscreti. Sta accedendo di tutto, sotto traccia. E non ne abbiamo trovata menzione sui grandi media. I quali si occupano unicamente di contabilità dei contagi e liste dei divieti legati al green pass, oltre ovviamente ai bizantinismi rituali legati all’elezione del nuovo capo dello Stato e alla messa in onda di servizi preconfezionati di propaganda anti-russa sull’Ucraina.
Nella stessa Germania che ha visto il Governo scosso da un intervento di quella magnitudo, nell’ultimo weekend sono scese in piazza 200.000 persone contro le restrizioni anti-Covid. Non tantissime, a fronte della popolazione tedesca. Ma contemporaneamente. E in 100 città. E con un tasso di inflazione che in Europa è al 5% e in costante prospettiva di aumento, l’idea di un muro contro muro definitivo con Mosca appare folle. Gazprom ha già comunicato di non aver prenotato alcuna extra-capacity verso Mallnow per tutto il mese di febbraio, ribadendo il nuovo approccio verso l’Ue. La quale, dopo aver preso atto dell’assoluta insostenibilità dell’alternativa americana via tanker al gas russo, ora sarebbe addirittura ridotta al ruolo di osservatore del proprio destino, poiché il Dipartimento di Stato starebbe trattando per suo conto con il Qatar per garantire forniture al fine di spezzare la dipendenza energetica da Mosca. Follia assoluta. Quantomeno in punta di coerenza, poiché se il problema dei rapporti con la Russia starebbe nel mancato rispetto delle libertà individuali e dei diritti umani e civili, difficilmente si può spacciare il Qatar della sharia come principale fonte del diritto come un’alternativa credibile. O forse c’è dell’altro?
Come dell’altro c’è chiaramente dietro la politica di restrizioni e controlli sempre più incrociati legati al Covid, i quali infatti in molte nazioni stanno cadendo rapidamente, esattamente come la curva dei contagi. Molte nazioni hanno capito che la corda era tirata al massimo e stava per rompersi, come testimoniato dalle scene vissute domenica a Bruxelles. In Italia, invece, no. Si va nella direzione opposta, nonostante il calo dei contagi e della pressione sugli ospedali. Sempre più restrizioni e con sempre meno indicazioni temporali rispetto alla loro eliminazione. Mentre i prezzi salgono, l’economia stagna, il commercio annaspa e il turismo è ormai in coma vigile. Tutto normale, a vostro modo di vedere? Ma si sa, l’importante è appassionarsi per la corsa al Colle. E poi c’è Sanremo, fino al 6 febbraio siamo tranquilli. Poi qualcosa accadrà. Attenti che non sia troppo tardi per accorgersene, però.
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