Qualcosa si sta sfarinando. Come un iceberg che comincia a perdere pezzi. Sempre più grandi, tanto che l’eco di ogni tonfo nell’acqua si risente a miglia di distanza. Alle 19 di domenica, in Lombardia l’affluenza alle regionali è stata del 26,93% contro il 60,14% del 2018. Nel Lazio del 24,19% contro il 52,47% di cinque anni fa. Una Caporetto, comunque vada a finire a livello di vincitori e vinti. Nel frattempo, Silvio Berlusconi lanciava una granata nello stagno: Fossi stato premier non avrei parlato con Zelensky, non doveva attaccare le repubbliche filo-russe del Donbass. Boom! Demenza senile? Ritorno di fiamma con Putin? No. Probabilmente, la sortita del Cavaliere è meno folle di quanto sembri. Quantomeno, se traslata in un contesto di realpolitik da finale di partita.
Domenica non si votava solo in Lombardia e Lazio. Si votava anche a Berlino. E non per il Land o per l’amministrazione comunale. Suppletive del voto politico del 2021, rese necessarie da una serie di disguidi che hanno spinto la Corte costituzionale a ordinare il ritorno alle urne. Ha stravinto la Cdu. Ovvero, l’opposizione conservatrice. Per la prima volta dal 1999 trionfante nella capitale, storicamente roccaforte rossa. La stessa opposizione conservatrice più tiepida sulla questione ucraina (Merkel docet) e, soprattutto, più oltranzista in sede europea. Bce in testa. Nel 2021, si fermò al 18%. Oggi è al 28%.
Il quadro generale ci è offerto da questi due grafici, il primo con i risultati del voto di 48 ore fa e l’altro che compara il risultato del 2021 e le intenzioni di voto fino a sabato scorso. La Spd del Cancelliere, invece, non solo è calata dal 21% di un anno e mezzo fa, ma oggi è in perfetta parità con gli alleati Verdi.
In aumento anche Alternative fur Deutscheland che passa dal 7% del 2021 al 9,1% attuale, presumibilmente rosicchiando voti ai Liberali che scendono dal 7% al 4,6%. Ovvero, fuori dai giochi. Perché al di sotto della soglia di sbarramento del 5%. Stare in un Governo forzatamente europeista non fa bene all’Fdp, storicamente la più falco in temi di politiche monetarie. E ora? Ora Olaf Scholz potrebbe ulteriormente cambiare marcia. Dopo aver riattivato in grande stile l’asse renano con la Francia e aver ottenuto il via libera per aiuti di Stato senza vincoli europei fino al 2025, ora potrebbe cercare di tamponare il fall-out elettorale schierandosi in maniera drastica al fianco della Bundesbank. A sua volta partita lancia in resta contro le detenzioni di debito ancora a bilancio Bce, dopo lo sconfortante dato sull’inflazione di gennaio.
Insomma, Silvio Berlusconi – più per istinto di sopravvivenza politica che per altro – potrebbe aver fiutato l’aria. Magari, dopo una telefonata con il Cremlino di cui nessuno è a conoscenza. Smarcarsi in maniera così drastica dalla linea filo-Kiev di Giorgia Meloni, addirittura sposando in pieno la tesi russa dell’intervento reso necessario dalle violenze ucraine nel Donbass, equivale a sconfessare non solo palazzo Chigi, ma anche e soprattutto il ministro degli Esteri. Ovvero, il numero due di Forza Italia stessa. E al netto dei comunicati di rito e delle rassicurazioni più o meno raffazzonate, il clima è di quelli tutt’altro che rassicuranti. A testimoniarlo, il silenzio tombale che il frastuono del Festival con le sue polemiche da avanspettacolo ha fatto calare sul voto di oltre 12 milioni di italiani. Certi rinnovi di Cda aziendali godono di maggiore eco mediatica. E, infatti, praticamente nessuno ha votato.
Non è un bel segnale. Anzi, decisamente pessimo. Quando il rumore di fondo prevale, significa che qualcosa sta andando fuori controllo. Esattamente quanto è accaduto a stretto giro di posta con il Consiglio Ue della scorsa settimana. Di fatto, due soli gli argomenti di dibattito hanno interessato media e social. L’ennesima promessa di cooperazione sull’immigrazione. E lo scontro fra Italia e Francia, questa volta con nodo del contendere la questione ucraina. Non a caso, scelto da Silvio Berlusconi per minare il tavolo del Governo. Ma in realtà, a Bruxelles è stato deciso molto di più. Germania e Francia hanno ottenuto mano libera sugli aiuti di Stato alle loro aziende fino al 2025. Paesi che, nel caso della Germania, ha già stanziato 200 miliardi di sostegni a imprese e famiglie. E con riferimento a Parigi, da sempre vede il Governo bypssare norme e vincoli in difesa dell’interesse nazionale. L’Italia non ha detto nulla. Nessuna opposizione. Nessun veto. Nessuna scarpa sul tavolo o borsetta roteante in stile Margaret Thatcher a Fontainebleau. Forse perché anche Giorgia Meloni, esattamente come la Lady di Ferro, ha ottenuto in cambio il suo rebate, nel più classico dei do ut des?<
Se così vogliamo dire. Perché in concreto, l’Italia ha ottenuto solo vaga flessibilità sui fondi del Pnrr. Tradotto, qualche occhio socchiuso da parte della Commissione sui ritardi cronici. Ma quei ritardi sono enormi. E già oggi, numeri della Corte dei Conti alla mano, spesso incolmabili. Di fatto, abbiamo solo ottenuto una deroga formale su un fallimento ex ante. Forse dal tavolo cadrà qualche briciola, insomma. Inutile, però, vendere come oro ciò che non è nemmeno placcato, perché già spunta il verderame. Dopo sole 36 ore. In compenso, Germania e Francia che possono utilizzare a piacimento il doping di Stato, cosa metteranno in campo a livello di concorrenza industriale, bancaria e commerciale?
Siamo certi che il denaro su cui Bruxelles chiuderà un occhio fino al 2025 non servirà a finanziare vere e proprie scalate ostili di ciò che è rimasto di concorrenziale ed eccellente in Italia dopo il primo sacco del 1992? Davvero possiamo dirci soddisfatti, quando l’Ue ha appena autorizzato leverage buyouts da parte dei due soci maggioritari? Fossi Finmeccanica o le sue controllate, dormirei preoccupata. Fossi un player dell’agro-alimentare, pure. Dovessi gestire il post-Gazprom, essendo utility energetica, anche. Mentre noi attenderemo i bandi di gara per i progetti del Pnrr, sperando di aprire i cantieri in tempo per rispettare almeno le tempistiche dilatate e flessibili che stiamo festeggiando come il Mundial del 1982, francesi e tedeschi rinunceranno a questa occasione senza precedenti – e con poche speranze di replica – di operare un biennio in regime di dumping autorizzato?
Attenzione quindi a derubricare l’uscita di Silvio Berlusconi come delirio o mera tattica per oscurare i risultati da eutanasia politica di Forza Italia. In ballo c’è molto di più. E il Cavaliere pare aver fiutato l’aria per primo. Come al solito.
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