Il 10 febbraio 1995, il ministro dell’Interno francese annunciò l’espulsione di cinque americani che lavoravano all’ambasciata degli Stati Uniti. Queste espulsioni erano solo le conseguenze di un caso di intelligence economica tra la Francia e gli Stati Uniti nel 1993: il caso Baumgartner. Gli anni 90 sono stati inizialmente segnati dal ciclo di negoziati dell’Uruguay presso il GATT (General Agreement on Tarifs and Trade). Attraverso queste discussioni, gli Stati Uniti avevano l’obiettivo di imporre una mercificazione della cultura, in particolare del settore audiovisivo, al fine di privilegiare l’esportazione di prodotti americani.
Questi negoziati incontrarono tuttavia una forte opposizione in Francia. Molti attori dell’audiovisivo francese infatti presero la parola per difendere quello che designavano come una “eccezione culturale”. Questa importante nozione permette di concepire la cultura non come un semplice prodotto industriale ma come un elemento non-commerciabile. Tuttavia, l’obiettivo degli Stati Uniti era quello di esportare massicciamente prodotti americani, o più in generale un certo “American Way of Life”. Il caso si trova quindi tinto di una questione di soft power, una nozione tuttavia poco appresa in Francia in quel periodo.
Per perseguire questo obiettivo gli Stati Uniti dispiegarono importanti mezzi, tra cui una rete di agenti della CIA a Parigi. Sotto la copertura del Dallas Market Center, questa rete era incaricata di ottenere informazioni sull’argomento che il governo francese intendeva presentare contro la liberalizzazione dell’audiovisivo. Il successo di questa missione avrebbe dovuto permettere agli Stati Uniti di annientare gli argomenti francesi durante la chiusura dei negoziati.
È in questa prospettiva di ricerca di risultati che nel 1993, Mary-Ann Baumgartner, a capo della rete della CIA, si avvicinò con successo al responsabile degli affari culturali di Matignon: Henri Plagnol. Tuttavia, quest’ultimo venne rapidamente contattato dalla Direzione della Sorveglianza del Territorio che lo incaricò di “intossicare” gli Stati Uniti. Dopo alcuni mesi di operazione, l’intossicazione si rivelò un successo. Gli agenti statunitensi scrissero un rapporto che affermava che la Francia sarebbe rimasta sulle sue posizioni e avrebbe impedito qualsiasi tentativo di liberalizzazione del settore della cultura. Secondo la CIA, gli argomenti francesi sarebbero stati così fondati da risultare impossibili da contrastare. Il caso si sarebbe concluso con l’espulsione di cinque “diplomatici” americani il 10 febbraio 1995.
Tuttavia non dimentichiamo che il caso Baumgartner era stato preceduto qualche anno prima da una rete di spionaggio molto importante della DGSE che spiava le aziende americane sul territorio americano. Il giornalista Jean Lesieur de L’Express raccontò questo caso il 6 maggio 1993 in un lungo articolo intitolato “CIA-DGSE: la divertente guerra”. Nel 1990, l’FBI smantellò una rete francese di una cinquantina di agenti, che lavoravano da otto anni in 49 aziende americane. Le più note erano IBM, Texas Instruments e Hewlett Packard. A quel tempo, le aziende oltre Atlantico specializzate nel campo dei microprocessori a lettura molto rapida furono prese di mira dalla DGSE date le sfide che rappresentavano le tecnologie dell’informazione. La stampa americana non diede praticamente conto di questa crisi passeggera tra Parigi e Washington. Solo The Washington Post (“Resentement over US-French spy flap could last years”, marzo 1995) la evocò affrontando le conseguenze politiche dannose che il caso ebbe su Balladur in Francia. La stampa britannica volentieri considerò il caso un successo americano piuttosto che un successo francese, titolando ad esempio “French minister gave secrets to CIA” o “Ex French minister paid for secrets by CIA woman spy” (The Guardian, “French minister gave secrets to CIA”, 4 settembre 2003).
Queste espulsioni evidenziano il carattere politico e diplomatico del caso. Questo caso sarà presto presentato dalla stampa francese come un successo dei servizi di controspionaggio. In realtà, il successo della DST va oltre il semplice campo del controspionaggio. Va innanzitutto sottolineato che il caso dimostrò l’esistenza di una certa sinergia in Francia. La difesa dell’audiovisivo francese e di questa concezione francese della cultura ha infatti impegnato sia i professionisti dell’audiovisivo, l’opinione pubblica, la stampa e il governo francese, sia i servizi di controspionaggio. Tale sinergia si tradusse in particolare nell’istituzione di un sistema di tassazione dei biglietti del cinema, sistema che consentì al Centre National du Cinéma (CNC) di finanziare l’audiovisivo francese a partire dai successi di Hollywood proiettati in Francia.
Il governo e l’azione della DST contribuirono a proteggere questo meccanismo così come i professionisti dell’audiovisivo francese. La cooperazione tra la DST e Henri Plagnol permise agli agenti francesi di essere sensibilizzati sulle questioni del soft power riguardanti la cultura e il cinema francese. Inoltre, la reazione della DST e del governo francese permise anche di proteggere in modo sostenibile l’audiovisivo francese. In effetti, diversi tentativi di destabilizzazione americana sono stati sventati in seguito.
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