La rivoluzione dell’informazione ha sconvolto tutto nell’universo dell’intelligence. La digitalizzazione generale del mondo e la sua messa in rete integrale, o in via di realizzazione, consentono ai servizi di intelligence degli Stati, delle imprese, dei criminali compresi i terroristi, dei pirati informatici e altri, di sperare di privare tutti i cittadini del mondo della loro intimità. Con tanto più facilità quanto più gli interessati espongono la loro vita, le loro relazioni, le loro reti di amicizie e professionali, i loro amori e odi, i loro consumi e i loro svaghi, le loro opinioni politiche e tutto il resto sui social network digitali. È manna dal cielo per coloro dei servizi di intelligence che hanno la capacità tecnica di intercettare e poi archiviare tutto ciò che passa attraverso le reti cablate terrestri e sottomarine e attraverso lo spazio. Da un lato, le nostre vite e le nostre relazioni con il mondo esterno. A meno di vivere come Neandertaliani nelle loro caverne. E dall’altro, l’osservazione da parte delle spie da cui nulla può proteggerci, se non la massa dei dati prodotti, la crittografia o la legge. Quest’ultima è allo stesso tempo garante del rispetto delle nostre libertà e delle condizioni della nostra sicurezza. Da questo punto di vista, la Francia non è la peggiore sul pianeta, malgrado i critici. Il legislatore ha previsto degli equilibri e delle salvaguardie.



Uno di questi organismi è certamente la Commissione nazionale di controllo delle tecniche di intelligence (CNCTR), organo di controllo tecnico consultivo istituito dalla legge sull’intelligence del 24 luglio 2015, che svolge un ruolo chiave. Il presidente di quest’organo è nominato dal presidente della Repubblica e questa commissione è composta da quattro parlamentari, un membro del Consiglio di Stato e due magistrati designati dalla Corte di cassazione, ai quali si aggiunge una personalità qualificata per la sua conoscenza in materia di comunicazioni elettroniche e nominata dal presidente della Repubblica su proposta dell’ARCEP (Autorità di regolazione delle comunicazioni elettroniche e delle poste). In supporto, nove incaricati di missione (magistrati e ingegneri) assistono i membri della commissione. Sono loro che, più spesso, esercitano i controlli multi-settimanali sui documenti.



Il ruolo della CNCTR è essenziale: è in qualche modo la torre di controllo di tutti i dispositivi di ascolto e di intelligence tecnica che i servizi sono in grado di attuare in Francia. La CNCTR deve assicurarsi che le pratiche della DGSE siano conformi alla legge del 2015. Per esempio, rispetta le condizioni di sorveglianza delle connessioni digitalizzate che passano attraverso gli operatori di telecomunicazioni? Possiede solo un punto d’ingresso: la sorveglianza algoritmica, unica possibilità offerta alla intelligence di penetrare la rete Internet francese. Ma attenzione: senza raccogliere l’informazione…



In realtà, se grazie ai dispositivi installati presso gli operatori e soprannominati “scatole nere”, gli agenti ritengono di avere un “hit” (un “colpo”), presentano una nuova richiesta alla CNCTR che può allora autorizzare (o meno) la revoca dell’anonimato della linea interessata e il trasferimento dei dati. Secondo un praticante delle intercettazioni, è una “vera e propria macchina infernale”. Per la sorveglianza delle comunicazioni che passano attraverso i cavi sottomarini che transitano per il suolo francese, o quando gli operatori stranieri vengono “collegati”, la DGSE gestisce la piattaforma tecnica condivisa, uno strumento interministeriale costoso che opera a beneficio dei sei servizi principali, detti del “primo cerchio”.

Due altri mezzi interministeriali sono a disposizione della intelligence per trattare i risultati delle intercettazioni: il primo è il Polo nazionale di crittografia e decodifica. Il secondo è uno strumento poco conosciuto, perché coperto da un segreto assoluto, incaricato di archiviare e trattare l’insieme dei dati raccolti dai principali servizi di intelligence francesi. Infatti la capacità di gestire il big data rimane un segreto ben custodito (cinesi permettendo!). Le Monde stima che questo prezioso strumento di intelligence operi in totale illegalità, il che non è in realtà del tutto esatto. Certamente l’organismo di controllo cui abbiamo fatto riferimento dovrebbe avere un accesso permanente, completo e diretto ai dati, che fino a questo momento non c’è. Non dimentichiamoci che i dati raccolti spesso vengono scambiati con i servizi stranieri, i famosi terzi servizi, e l’organismo di controllo non esercita il minimo controllo su questa pratica perché non esistono norme che inquadrano tutto ciò. In altri termini nessun organismo giuridico e tantomeno politico potrebbe avere accesso alle comunicazioni segrete tra i servizi di sicurezza alleati.

La DGSE intende quindi lottare affinché questa pratica non repertoriata, senza dubbio, ma di cruciale importanza, perduri. In nome della fiducia tra i servizi di intelligence di diversi Paesi, essa intende continuare a scambiare con loro tutte le informazioni necessarie utili. Non sorprende allora di sapere che anche gli altri servizi di sicurezza la penso esattamente nello stesso modo.

Ora, al di là della strategia della tensione e degli episodi che hanno coinvolto in Italia i servizi di sicurezza, rimane un dato di fatto: in Europa come negli altri Paesi esiste intrinsecamente un conflitto tra l’intelligence e la magistratura. Ad ogni modo quali sono adesso le priorità dell’intelligence francese? In primo luogo, queste sono integrate nel Piano nazionale di orientamento del renseignement (PNOR), definito nella struttura ad hoc presieduta dal presidente della Repubblica: il CNR. Le priorità di oggi non scompariranno, ma si intravedono le evoluzioni. La minaccia terroristica non può essere trascurata neanche per un secondo, così come la necessità di informare i diplomatici e l’intero esecutivo sulla situazione reale dei Paesi più seguiti dal governo francese: l’Africa francofona, il Maghreb, il Medio Oriente e l’insieme degli Stati arabo-musulmani.

Il percorso dei diplomatici al comando della DGSE è a questo riguardo illuminante: prima di prendere il loro posto in Boulevard Mortier, Jean-Claude Cousseran occupava l’ambasciata di Francia ad Ankara, prima di andare al Cairo dopo aver lasciato la DGSE; Bernard Bajolet era ambasciatore ad Algeri prima di diventare coordinatore nazionale del Renseignement, poi ha raggiunto Kabul e infine Parigi per prendere la guida della DGSE; quando François Sénémaud ha lasciato la Direzione del Renseignement a Mortier, è diventato ambasciatore in Iran.

Quando si evocano i problemi immensi di questa regione mediorientale dove le tensioni si accumulano, le preoccupazioni sono molteplici e ruotano anche intorno all’arma nucleare: il Pakistan con il suo esercito parzialmente radicalizzato e l’India, sempre sul punto di un confronto, sono entrambi dotati di armi nucleari e cercano di miniaturizzarle. L’accesso dell’Iran all’arma atomica rimane l’obiettivo dei mullah. Ma la DGSE teme anche l’informatizzazione generale delle società contemporanee, l’onnipresenza di Internet e le vulnerabilità evidenti di interi settori dell’economia, compresi i sistemi sanitari, di trasporto e di energia, tutti dipendenti dalla rete, tutti gestiti a distanza da sistemi di controllo e acquisizione dati (SCADA) di fragilità palese.

Le domande sul futuro sono numerose. Quanto alla Cina: il partito comunista, pur utilizzando tutti i mezzi moderni per controllare la sua popolazione, continuerà sulla stessa strada? Passerà a un sistema meno autoritario? E più semplicemente, sarà ancora al potere? E poi il cambiamento climatico: fino a che punto arriverà? Quali saranno i suoi effetti sul mondo? Le migrazioni continueranno e in quali condizioni? E Macron, in tutto questo? Tutti i servizi di intelligence europei sanno di essere alla mercé di un buco nella rete, di cui la ricomparsa degli aggressivi Black Blocs provenienti da tutta Europa, durante la crisi dei Gilet gialli, a partire dal novembre 2018, è un eloquente simbolo. Ecco perché sarebbe necessario un servizio di sicurezza europeo.

Un vero servizio di intelligence europeo vedrà la luce? Esistono due minuscole strutture: la divisione intelligence militare dello stato maggiore dell’Unione Europea, sotto perfusione degli Stati membri, che la alimentano, o no, di informazioni pertinenti. Altra struttura: l’IntCen (Intelligence Center), sotto l’egida dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

Tuttavia le strutture ufficiali non funzionano, i professionisti dell’intelligence hanno instaurato relazioni informali. Quando IntCen è diventato troppo efficace e ha dimostrato un’abilità nella cooperazione, è stato svuotato di tutta la sostanza, per decisione di attori principalmente politici. Con buona pace degli Stati Uniti, della Cina e naturalmente della Russia. Divide et impera.

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