Durante gli anni Settanta il direttore dell’intelligence francese Alexandre de Marenches era molto preoccupato della capacità di penetrazione del comunismo in Italia ed espresse un profondo scetticismo sull’euro comunismo.

Infatti, un altro paese lo tormenta al massimo grado, l’Italia, teatro di quella che presenta come una nuova “manovra di grande portata”, da parte russa, la quale non fa che confermare la sua convinzione che il gioco internazionale sia dominato dalla strategia sovietica e che l’arma principale di quest’ultima, nella fase attuale, sia la disinformazione.



Il suo timore era che i sovietici acquisissero, una tale superiorità che potessero finire per annientare la libertà di giudizio, libertà essenziale da cui dipendono tutte le altre e che è la condizione preliminare per qualsiasi politica di indipendenza. Certo, per chi ha seguito con regolarità e Costanza il suo percorso all’interno dei servizi e le sue riflessioni, Marenches ha già annunciato più volte la fine della civiltà occidentale. Ma questa volta, non prevede nulla di meno che la scomparsa del libero arbitrio. L’oggetto delle sue angosce: l’eurocomunismo.



Teorizzato dal leader del PC spagnolo, Santiago Carrillo, ha sedotto il francese Georges Marchais e l’italiano Enrico Berlinguer. No, tuona Marenches, il vertice dei diciannove partiti comunisti europei a Berlino Est nel giugno 1976 non ha sancito “la fine della supremazia del PC dell’URSS“, come ha preteso la stampa. La rinuncia alla dittatura del proletariato annunciata da Marchais nel 1976? Fumo negli occhi. Così come l’audace discorso di Berlinguer davanti al XXV congresso del PCUS a Mosca lo stesso anno.

Marenches osserva, al contrario, un’intensificazione delle relazioni tra i partiti sovietico e italiano. E sottolinea l’assenza di rinnovamento ai vertici di queste organizzazioni. Come credere che, per una metamorfosi improvvisa, sincrona e globale, gli stessi uomini che sono stati selezionati, da quarant’anni, in funzione prima di tutto della loro sottomissione all’ortodossia, cadano improvvisamente, nello stesso tempo, e in blocco, nello scisma, se non nell’eresia? E come accettare che questo incredibile ribaltamento riguardi non uno, ma tre partiti comunisti?



Questa favola forse è stata immaginata e suggerita dal partito comunista italiano, ma decisa da Mosca e messa a punto con Mosca. Con quale scopo? Abbassare la guardia dell’Occidente di fronte ai PC nazionali che serviranno da cavallo di Troia per i sovietici, ma anche aiutare l’URSS, alle prese con dissensi potenzialmente mortali che cercano di recuperare le forze della rivoluzione mondiale permanente, cioè i trotzkisti.

Marenches cade allora nel catastrofismo. Questo “recupero” è altrettanto grave per il Mondo libero perché, se le tensioni nazionali e sociali a Est non sperano più di trovare sbocco che in una ‘seconda rivoluzione’, si teme che l’Impero sovietico minacciato cerchi in azioni esterne la soluzione dei suoi conflitti interni. Non si può ammettere che, disponendo di una formidabile potenza militare, attenda la sua ‘caduta finale’ che alcuni profetizzano imprudentemente. Nulla da allora è venuto a confermare questa tesi.

Certo, il PCF rompe l’Unione della sinistra nel 1977 e si riposiziona su una linea “bolscevica”, ma è soprattutto perché cerca di arginare la fuga del suo elettorato verso il Partito socialista. Santiago Carrillo, dal canto suo, ha sostenuto l’instaurazione della monarchia parlamentare, favorendo la transizione democratica in Spagna. Quanto a Berlinguer, romperà definitivamente con Mosca negli anni Ottanta, denunciando in particolare il sostegno dei paesi socialisti alle Brigate rosse. Marenches non ha finito con l’Italia che è, secondo lui, allo stesso tempo l’anello più debole della catena atlantica e la chiave del Mediterraneo.

Quando Aldo Moro viene rapito e assassinato il 9 maggio 1978 rifiuta la versione più diffusa secondo cui le Brigate rosse avrebbero cercato di minare l’accordo di governo tra il Partito comunista e la Democrazia cristiana (DC). No, sostiene il 12 maggio, Moro non era l’uomo del “compromesso storico”, ma un realista che da anni conduceva una lotta di contenimento infinitamente flessibile contro l’avanzata comunista.

Era su questo terreno l’unico stratega intelligente della DC e di conseguenza il principale ostacolo alla spinta del PCI. Secondo Marenches, si tratta di un capolavoro di disinformazione, nascondendo la manipolazione delle Brigate rosse da parte di Mosca anche se i loro membri non ne erano consapevoli. Anche il KGB, sostiene, prende precauzioni straordinarie di compartimentazione poiché delega il lavoro terroristico ai servizi del StB ceco e della Stasi della Germania dell’Est che hanno preso il posto, verso il 1975, della DGI cubana. Solo i servizi di intelligence italiani potrebbero mettere in luce questi legami, ma sono stati smantellati nel 1973 e 1975, a causa delle accuse lanciate dal PCI di “complotti contro l’ordine democratico”.

Ogni sera, verso le 19, il segretario generale dell’Eliseo, Jacques Wahl, porta al presidente i dossier urgenti, le note che ha richiesto e le informative dei servizi.  Il Quai d’Orsay si mostra ancora meno accondiscendente. Il suo titolare a partire da novembre 1978, Jean François-Poncet, dice al direttore di gabinetto di Marenches che le note del SDECE, spesso, non valgono una copia di Sciences-Po (Istituto di studi politici di Parigi ndr). Abbastanza per meritare il soprannome che il direttore generale gli ha affibbiato malignamente a causa della sua altezza: “il Pigmeo bianco”. In apparenza, l’aumento costante del budget del SDECE durante il settennato di Giscard è una manifestazione della soddisfazione del potere. Ma dalla nomina di Raymond Barre a Matignon, Marenches ritiene che sia quasi una formalità. Di fatto, il nuovo Primo ministro apprezza la sua prosa audace e ricca di geopolitica.

Nessuna preoccupazione nemmeno nei confronti del presidente della camera della Corte dei conti che vigila sull’impiego dei fondi segreti. Marenches deve comunque rassegnarsi: il boulevard Mortier è per lui un vicolo cieco. Non otterrà mai la fusione dei servizi di controspionaggio che propone da una decina d’anni, e ancora meno ciò che comunque non ha mai richiesto, contrariamente alle affermazioni della stampa, l’assorbimento totale della DST con la creazione di una “agenzia centrale di intelligence e sorveglianza”.

Anni dopo, rimpiangerà la mancata realizzazione sul modello americano di un consiglio di sicurezza nazionale. Era infatti per una democrazia che fosse un po’ più muscolosa in alcuni settori, spiegherà, ma solo in alcuni settori. Ci vuole un settore riservato in cui persone del tutto responsabili e completamente apolitiche formino una sorta di scudo permanente grazie al quale la democrazia liberale – che ha comunque difeso fin dal 1939 in funzione antifascista e anti nazista – possa sempre giocare i suoi giochi deliziosi, come amava esprimersi il direttore.

 

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