Nonostante l’opinione pubblica, almeno in linea di massima, non venga messa al corrente della decisione che i presidenti francesi hanno preso – e prendono – per eliminare i nemici della Francia, l’uccisione di quelli che vengono considerati dall’Eliseo pericolosi per la sicurezza nazionale del Paese è una procedura che è stata attuata molto spesso dell’amministrazione francese.
Uno di coloro che certamente ha fatto maggiormente uso della decisione di eliminare i nemici della Francia – prevalentemente terroristi islamici – è stato il presidente François Hollande che, data la delicatezza della decisione, ha condiviso la lista degli obiettivi da eliminare solo con un ristretto numero di consiglieri e fra questi: il suo capo di stato maggiore particolare, il generale Benoît Puga; il suo ministro della Difesa, Jean-Yves Le Drian; e il direttore della Dgse (Direction générale de la sécurité extérieure), il diplomatico Bernard Bajolet.
Quest’ultimo, dopo essere stato ambasciatore in Paesi sensibili come Giordania, Bosnia–Erzegovina, Iraq o Algeria, ha iniziato a svolgere la sua mansione di coordinatore dell’intelligence nazionale già sotto la direzione di Nicola Sarkozy nel 2008. Indubbiamente viene considerato un grande conoscitore del Medio oriente ed è stato nominato direttore del servizio francese da Hollande nell’aprile del 2013. Bajolet ha avuto la possibilità di avere un contatto diretto e senza filtri con l’Eliseo. È stato infatti lui che ha spiegato a Hollande cosa è in grado e cosa non è in grado di fare il servizio d’azione (SA), cioè l’unità speciale dei servizi francesi incaricata di eliminare i nemici della Francia.
È evidente che tale decisione non poteva non suscitare dibattiti accesi all’interno della cerchia ristretta del presidente francese ma grazie alle rivelazioni di molti giornalisti – e dello stesso presidente francese – sappiamo che Hollande ha deciso numerosi omicidi mirati in base a una “kill list” presentata dal direttore dei servizi di sicurezza. Rispetto ai suoi predecessori il presidente Hollande non avrà difficoltà a confidare a due giornalisti di Le Monde, e cioè a Fabrice Lhomme e Gérard Davet, di aver ordinato omicidi mirati.
Durante una delle loro interviste, che si svolge a metà del 2015, i giornalisti chiedono a François Hollande se ha ordinato misure di vendetta. “Sì”, risponde. L’esercito, la Dgse, hanno una lista di persone che si può pensare siano state responsabili di prese di ostaggi o di atti contro gli interessi francesi. In occasione di un altro scambio con i giornalisti, nell’ottobre 2015, precisa loro di aver autorizzato specificamente le operazioni Homo, gli omicidi della Dgse: “Ne ho deciso almeno quattro”, prima di aggiungere: “Ma altri presidenti hanno fatto di più”. Un modo per relativizzare il suo bilancio rispetto ad alcuni dei suoi predecessori, come de Gaulle, Giscard o Mitterrand, senza dubbio altrettanto implacabili, mentre Pompidou, Chirac e Sarkozy sono stati più timorati di lui. Il numero evocato – “quattro almeno” – è presentato come minimalista. Secondo Lhomme, durante questa intervista, Hollande si basava su un recente rapporto dei servizi segreti sull’argomento.
In realtà, François Hollande avrebbe già convalidato almeno una decina di operazioni Homo nel 2015. Il presidente spiega anche ai due giornalisti di aver emanato regole per dare permessi di uccidere in modo più generale: “Se è costoso e non è strategico, non c’è motivo di decidere un attacco o un intervento. Se è costoso, ma strategico, devi comunque farlo”. Infatti, mescolando insieme le operazioni Homo, i raid delle forze speciali e gli attacchi aerei mirati, il contrasto al terrorismo è risultato più efficace.
Tuttavia le operazioni Homo dal 2012 avevano già raggiunto la ragguardevole cifra di 40 obiettivi raggiunti. Non è questa la sede per discutere della legittimità giuridica – o morale – di questo modo di agire; rimane tuttavia il fatto, piaccia o no, che questo modus operandi è speculare a quello dei regimi cosiddetti autoritari. Pensiamo ad esempio alle eliminazioni mirate fatte dal servizio segreto sovietico nei confronti dei dissidenti. Il concetto di “amico” e di “nemico” non è oggettivo, come può essere un’equazione matematica, ma è strettamente legato al contesto storico di una nazione. Inoltre non dovremmo mai dimenticare che spesso per gli Stati gli amici di oggi sono i nemici di domani, e viceversa; e che gli Stati in passato hanno agito in modo analogo.
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