Accanto agli innumerevoli pericoli rappresentati dalla presenza delle potenze europee nel continente africano, un altro pericolo non meno insidioso e non meno destabilizzante fu il terrorismo all’interno della Francia. Incominciamo da quello rappresentato dai reduci dell’Algeria che si riunirono intorno alla organizzazione terroristica nota come OAS. L’Algeria e l’OAS avevano causato al paese una prima ondata di attentati (1954-1966). Ma questa era incommensurabile rispetto a quella che colpì la metropoli a partire dal 1972. La minaccia era multiforme, conosciuta nelle sue linee principali dal 1968, ed era già stata oggetto di copertura mediatica. Mentre lo SDECE (Servizio documentazione estera e controspionaggio, nda) accumulava scandali e discredito, i servizi di sicurezza francesi interni come la DST raccoglievano informazioni sui “movimenti rivoluzionari”, come veniva chiamata la nuova sezione degli RG (Renseignements généraux; giugno 1971); alla DST, venne istituito un servizio di centralizzazione della sorveglianza e dell’infiltrazione nei circoli di sinistra, il SUBAC.
Il ritorno alla normalità di questi servizi, dopo la fine del periodo coloniale, era segnato da un ritorno al loro tradizionale anticomunismo e alla sorveglianza dei movimenti trotzkisti, maoisti e anarchici. Attingendo dall’esperienza degli errori nella lotta contro il FLN, che aveva mirato a stigmatizzare un’intera popolazione piuttosto che i suoi attivisti, il ministro dell’Interno, Raymond Marcellin, decise di reintrodurre, già a novembre 1968, l’antico Ufficio di collegamento: l’intelligence spettava logicamente agli RG, con il sostegno di un’unità specializzata degli RGPP (Révision Générale des Politiques Publiques) e della DST, mentre la repressione era affidata alla sesta sezione della polizia giudiziaria (che divenne nel 1986 la Divisione nazionale antiterrorismo), rinforzata, a partire dal 1973, dall’antica polizia ferroviaria, ribattezzata Polizia dell’aria e delle frontiere (PAF) e distaccata dagli RG. Il 22 giugno 1976, l’Ufficio di collegamento divenne un Comitato permanente di coordinamento che si riuniva ogni quindici giorni. Da allora, accanto ai tre tradizionali poli di intelligence (esterna, controspionaggio, politica) se ne aggiunse un quarto, di sicurezza interna.
Questa organizzazione corrispondeva bene alle tradizionali minacce identificate: irredentisti (corsi, bretoni, baschi) e di sinistra. Tra il 1970 e il 1981, rappresentavano l’85% degli atti terroristici contro i beni e il 61% di quelli contro le persone. Per combatterli, RG e DST ricorrevano ai metodi classici della “alta polizia” e del controspionaggio: schedatura, intercettazioni telefoniche, infiltrazione. A partire dal massacro di undici atleti israeliani ai Giochi olimpici di Monaco (6 settembre 1972) da parte di attivisti palestinesi, la Francia scoprì le pene del terrorismo internazionale, che la indussero a un cambiamento nella lotta al terrorismo. Certo, l’irredentismo basco era solo l’aspetto francese di un conflitto che si svolgeva in Spagna, prima contro il franchismo (1959-1974), poi autonomista (1975-2011), che creò una “filiale” oltre i Pirenei. Ma coinvolse solo i legami della DST con la Segunda Bis, divenuta Servicio Central de Documentación il 22 gennaio 1972, dopo l’assassinio dell’ammiraglio Luis Carrero Blanco; l’ultimo atto fu compiuto dai servizi tecnici della DST e degli RG, in collaborazione con quelli della Guardia Civil, che ruppero le chiavi di cifratura in lingua basca dell’organizzazione militare indipendentista e marxista Euskadi Ta Askatasuna (ETA, Paese Basco e Libertà, 1959), portando all’indebolimento delle sue capacità operative e al suo rifiuto della violenza politica il 7 febbraio 2011.
Dopo Monaco, la Francia istituì in tutta fretta una sezione specializzata nel terrorismo arabo che iniziò a sorvegliare la scena palestinese parigina, inclusa l’associazione France-Pays Arabes. In quel momento, si trattava solo di raccolta di documentazione in relazione alla minaccia di sinistra, con la Francia apparentemente protetta da questa ondata di terrorismo. Una serie di omicidi mirati di leader palestinesi da parte del Mossad (1972-1973) e l’arresto di un attivista giapponese dei loro alleati da parte della DST (luglio 1974) cambiarono le carte in tavola. Attentati contro giornali parigini (estate 1974) e il sequestro di personale dell’ambasciata francese all’Aia per ottenere la liberazione del giapponese (13 settembre 1974) precipitarono la Francia nel terrorismo internazionale. Con 37 morti e 147 feriti, rappresentò il 54% dei morti e il 47% dei mutilati negli attentati tra il 1970 e il 1981. Ciò rivelò anche la scarsa preparazione del dispositivo francese a questa nuova minaccia, come dimostrò l’assassinio di due ufficiali della DST, il 27 giugno 1975, da parte di quello che divenne per i ministri successivi dell’Interno il nemico pubblico numero 1, il venezuelano Ilich Ramírez Sánchez (Carlos). Fu consegnato alla DST solo 19 anni più tardi, dopo un delicato esercizio di diplomazia interservizi. La “prova irrefutabile” del suo soggiorno in Sudan fornita dalla CIA proveniva dall’Idarat al-Mukhabarat al-Jawiyya (Servizio di intelligence dell’aeronautica militare) siriano; confermava un video consegnato alla DST dal Gihaz al Mukhabārāt al ‘Āmah egiziano.
Mentre il ministro dell’Interno, Charles Pasqua (1993-1995), negoziava con le autorità governative nell’estate del 1994, DST e DGSE ricevevano i loro omologhi sudanesi, l’Al Amn al-Dakhili e l’Al Amn al-Kharaji. Carlos riassumeva da solo la complessità di questa nuova minaccia: individuato dal KGB, era al servizio dei palestinesi, che lottavano per una causa nazionale, ed era alleato dei movimenti di sinistra occidentali. Mostrava anche quanto la sua attività incitasse alla collaborazione dei servizi occidentali e quanto quelli legati al blocco dell’Est, in Medio Oriente e in Africa, si distanziassero da lui una volta terminata la Guerra fredda. Tra il 1982 e il 1984, i servizi alleati a Mosca (come la Stasi e il Komitet za darzhavna sigurnost, Comitato per la sicurezza di Stato bulgaro) che fino ad allora avevano supportato il terrorismo, interruppero tutti i loro legami con questi gruppuscoli. Questo sfondo costituiva un limite insormontabile fino all’estate del 1991 per tutte le indagini del controterrorismo francese a causa della mancanza di postazioni di intelligence esterna in questi Paesi e della mancanza di collaborazione con la parte avversa; numerose piste si aprirono quando, per un breve periodo di due anni prima di temere di “essere raggiunti dalla Storia”, i servizi dell’Est cercarono di “convincere l’Ovest della loro buona volontà e dare prova della loro sincerità”. Ovviamente, con i servizi alleati, anch’essi confrontati con questa minaccia, “la collaborazione funzionava molto bene”.
Essa era anche all’origine della creazione, nel 1971, a Berna, di una struttura informale di scambio tra i principali responsabili dei servizi di intelligence e di sicurezza dell’Europa occidentale e settentrionale, sotto il patrocinio degli Stati Uniti. Nel giugno 1976, a Lussemburgo, fu ripresa a livello politico dell’Europa in costruzione, sotto forma di un gruppo informale sul terrorismo, il radicalismo, l’estremismo e la violenza internazionale (TREVI). A livello dei ministri degli Interni e della Giustizia, aveva origine nell’assenza di considerazione da parte di Interpol della lotta antiterroristica. Questo gruppo ha giocato un ruolo essenziale in materia di sicurezza interna in quanto ne ha fatto una preoccupazione comune. È interessante notare che il secondo incontro politico si tenne solo a settembre 1986, a seguito degli attentati parigini; tuttavia, i responsabili dei servizi non avevano atteso questo evento per riprendere il percorso interalleato transatlantico (gruppo Kilowatt, 1977).
Nel marzo 1979, dopo l’assassinio dell’ambasciatore britannico nei Paesi Bassi, Sir Richard Dykes, si mise inoltre in atto un Police Working Group on Terrorism. La partecipazione della Francia era spiegata dal fatto che era diventata un bersaglio privilegiato del terrorismo internazionale. Con 254 attentati tra il 1970 e il 1981, questa ondata di violenza diminuì con solo 71 attacchi tra il 1982 e il 2000. Lontano dall’essere costante, conobbe picchi di intensità elevata (1975-1976, 1981-1982) e media (1977-1980, 1984-1986, 1992). Con 1.138 vittime, il terrorismo internazionale rappresentava solo il 19% degli atti terroristici che colpivano la Francia, con risultati più o meno gravi (1982-1983, 1986, 1995-1996, circa il 77% o meno gravi, 1974, 1979-1981, 1984-1985, circa il 22%). Questa differenza tra l’intensità degli atti e i loro risultati era dovuta alla natura del messaggio che i terroristi intendevano trasmettere. L’attacco irredentista ed estremista (sia di destra che di sinistra) si accomodava con danni materiali, mentre la minaccia internazionale mirava a fare il maggior numero di vittime, soprattutto feriti (40%, 1970-1981; 77%, 1982-2000), e sfruttava il potenziale mediatico dei suoi attacchi, come gli attentati parigini di Rue Copernic (3 ottobre 1980) o contro la metropolitana (luglio 1995, dicembre 1996).
Questa minaccia era la più difficile da identificare per i servizi di sicurezza, tanto più che le autorità politiche avevano spesso molti presupposti ideologici. Fu necessario l’intervento dello SDECE per far emergere, senza equivoci, che era opera di un’organizzazione palestinese e la caduta del muro di Berlino perché gli archivi della Stasi rivelassero i nomi degli autori. Le autorità politiche interferivano anche agendo attraverso le loro proprie reti, un po’ come de Gaulle gestì gli affari africani tramite Foccart. Così, il ministro delle Relazioni esterne Claude Cheysson (1981-1984), il capo dell’ufficio delle Affari riservati del ministero della Difesa, il comandante Jean Heinrich (1979-1983), il consigliere del presidente François Mitterrand, François de Grossouvre (1981-1984), Jean-Charles Marchiani, ex ufficiale dello SDECE e divenuto consigliere di Jacques Chirac (1986-1988), e persino Bitterlin (1987-1990) cercarono tutti di utilizzare i loro contatti nel mondo terroristico. Naturalmente, né i servizi né gli Affari esteri, tranne l’ufficio del ministro, erano a conoscenza di queste interferenze. Queste non prevennero gli attacchi in Francia, come nel 1982-1983, sul territorio nazionale, ma anche a Beirut (56 paracadutisti assassinati il 23 ottobre 1983 nell’esplosione del loro posto Drakkar).
Un caso molto interessante e certamente molto poco noto in Italia è quello libanese. La politica libanese sembrava aver inaugurato questa nuova tendenza. Il 4 settembre 1981, i siriani fecero assassinare l’ambasciatore Louis Delamarre. La situazione di guerra civile che regnava nel Paese dei Cedri dal 1975 permetteva a un terzo attore di giocare la sua parte contro la Francia, l’Iran. In questa occasione, si trattava meno di sostenere la fazione sciita che di far compiere a questa le sue sporche faccende. Con la complicità siriana, vari gruppuscoli gravitanti intorno al Vezarat-e Ettela’at va Amniyat-e Keshvar (ministero dell’Intelligence e della Sicurezza nazionale, Vevak) iraniano presero in ostaggio occidentali, inclusi 12 francesi tra febbraio 1984 e febbraio 1986. Il regime dei Mollah cercava di spingere il governo francese a rispettare i termini del contratto stipulato con il governo dello Shah, a dicembre 1974, relativo al prestito di un miliardo di dollari in cambio di un accesso al 10% dell’uranio arricchito prodotto nell’ambito del progetto Eurodif (European Gaseous Diffusion Uranium Enrichment Consortium). Le prese di ostaggi in Libano e le esplosioni in Francia del 1985-1986 seguivano le vicissitudini delle negoziazioni tra i due Paesi. Ogni irrigidimento francese si traduceva con una ritorsione del Vevak, ogni avanzamento con una liberazione.
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