Durante la guerra di Indocina ma soprattutto durante la guerra d’Algeria la Francia ebbe modo di porre in essere una strategia di contro-insurrezione contro i comunisti che si rivelerà decisiva anche nella formazione delle forze speciali americane – oltre che di quelle argentine e cilene – e che contribuirà a rinnovare profondamente il concetto di guerra contro-insurrezionale. Al di là delle valutazioni di ordine giuridico e di ordine morale, il contributo francese alla guerra rivoluzionaria -piaccia o non piaccia- è stato determinante.
In Indocina si aprì un vasto campo di sperimentazione per l’azione non convenzionale. Questa aveva come obiettivo la distruzione del potenziale nemico – non solo militare, ma anche psicologico, politico, sociale ed economico – che le forze classiche non potevano raggiungere. A seguito dell’esperienza acquisita con il sostegno dei movimenti di resistenza durante la Seconda guerra mondiale, l’idea di maquis era popolare tra gli ufficiali del SDECE. Anche il SA, sotto l’impulso del colonnello Roger Trinquier, raccomandò la creazione di gruppi di guerriglia nei territori occupati dal Viet Minh, al fine di condurre azioni di sabotaggio, realizzando reti di intelligence e di evasione. Nulla dimostra che il comando francese si sia mai interrogato sull’adeguatezza di questa soluzione alle realtà locali, né che abbia mai valutato l’efficacia dei maquis della Seconda guerra mondiale in Francia. Tuttavia, si sarebbe creato il Groupe de commandos mixtes aéroportés (GCMA) nel 1950.
Nonostante il suo carattere molto militare, il GCMA dipendeva sia dalla direzione del SA a Parigi, sia dal SDECE a Saigon. La sua missione era di diffondere l’insicurezza nella zona Viet Minh infiltrandosi nella giungla dove le unità classiche non potevano penetrare e distruggendo di sorpresa il potenziale avversario; provvedendo all’infiltrazione clandestina di agenti di intelligence, sabotatori e messaggeri incaricati di costituire reti anti-Viet Minh, e impiantando maquis all’interno di minoranze etniche o religiose. Questo ultimo aspetto rappresentava la sua attività principale.
Per creare questi maquis, il GCMA sfruttò l’antagonismo ancestrale esistente tra i popoli della Haute-Région (Thai, Man, Hmong, Nung) e i vietnamiti delle pianure, sia temuti che detestati, che erano sempre visti come invasori delle alte terre. La creazione di un maquis avveniva sempre nel quadro generale delle operazioni condotte dalle forze classiche. Bisognava quindi ottenere il via libera dal comando superiore prima di procedere alla sua creazione. In cambio, doveva essere sostenuto dagli eserciti, su piani logistico e sanitario. I maquis avevano lo scopo di distrarre le truppe Viet Minh; svolgevano missioni di intelligence, sabotaggio e sicurezza a beneficio delle forze convenzionali.
Essi non furono mai impiegati in azioni di forza, che non corrispondevano alla natura dei montanari, più adatti alle operazioni di guerriglia che alle azioni di combattimento.
Il GCMA realizzò anche numerosi sbarchi sulle coste di Annam, missioni che, sebbene li allontanassero dalla loro vocazione principale, avevano il compito di far riconoscere la loro utilità dalle autorità militari classiche. Ma a causa della loro esistenza, non cessarono mai di scontrarsi con problemi di ogni genere: difficoltà nell’ottenere materiali in quantità sufficiente; ostilità da parte della gerarchia militare nei confronti delle forme non ortodosse della guerra; carenza di ufficiali e di quadri dotati di una buona conoscenza delle etnie, delle lingue e della situazione indocinese. Non riusciranno mai a soddisfare il loro organico.
L’azione del GCMA sembrò aver dato i suoi frutti dal giugno 1952, data in cui il 148esimo Reggimento del Viet Minh, stanziato a Lao Kay sul fiume Rosso, fu violentemente malmenato dai partigiani hmong sotto comando francese, che dovette fare appello ai soccorsi. Quando la 302esima divisione cinese attraversò la frontiera vietnamita, alcune delle sue unità furono vittime di mine e di imboscate incessanti, alle quali solo gli aerei poterono porre fine. Ma il loro successo fu di breve durata: dal mese di agosto, i cinesi erano arrivati in forze per costringere i guerriglieri hmong a ritirarsi nelle caverne della giungla da dove avrebbero continuato le operazioni di guerriglia sotto la protezione delle famiglie. I Viet Minh si erano, nel frattempo, installati sui rilievi intorno al delta del Fiume Rosso per impedire alle colonne francesi di stabilire un contatto diretto con i guerriglieri, nonostante gli sforzi delle pattuglie di fanteria e le imboscate guidate dai battaglioni misti del GCMA.
Un rapporto del 1952 dimostrava che i modesti successi dei partigiani erano largamente compromessi dalle loro debolezze: addestramento e sicurezza mediocri, sistema di comunicazione radio inadatto, difficoltà di rifornimento in armi e viveri, mancanza di combattività, ecc. In realtà, i loro successi iniziali erano basati sulla sorpresa. Dopo diverse delusioni di fronte a forze più consistenti, il Viet Minh li schiacciava. Inoltre, secondo alcune fonti di informazione, il valore dei combattenti montagnard era considerato mediocre: analfabeti al 98%, erano incapaci di fornire informazioni precise. Ma nonostante i magri risultati ottenuti sul piano militare, il comando proseguì l’esperimento dei maquis. Il GCMA fu ribattezzato Groupe mixte d’intervention (GMI) nel 1953, svincolato dalle missioni di commando e con una dottrina più precisa. Fu incaricato di lavoro in profondità, mirato a creare, mantenere, poi generalizzare la resistenza autoctona per la sua piena autonomia metodologica delle tendenze minoritarie – basi religiose, etniche – o politiche… A tal fine, il GMI doveva “preparare, organizzare, mettere in atto e comandare le seguenti unità: realizzare maquis, guerriglie itineranti, missioni speciali (in particolare sabotaggi) da parte di individui o squadre molto leggere infiltrate clandestinamente, aprire filiere di evasione; partecipare, su ordine, a guerre psicologiche”.
Poteva inoltre essere richiesta “la raccolta di informazioni, resa possibile dal suo insediamento, ed eccezionalmente la partecipazione a certe azioni di forza, montate e condotte dalle unità regolari, sotto forma di specialisti messi a disposizione di queste ultime per un tempo determinato”.
Le missioni Action non potevano “in alcun modo essere confuse con le operazioni condotte dalle truppe di riserva generale o di settori, dalle unità di commando “aeroportate”, “marine” o “terrestri” e i quadri del GMI non potevano far parte degli stati maggiori operativi, combinati o meno”.
La loro azione fu di grande efficacia. Nel 1954, il GMI gestiva quasi 13mila partigiani distribuiti tra Haute-Région – da una parte e dall’altra del fiume Rosso – e il Nord Laos. Ma nel luglio 1954, l’alto comando ordinò la cessazione di tutte le attività umane del GMI. Un lungo insediamento umano fu bruscamente interrotto, a seguito degli accordi di Ginevra. Le guerriglie etniche, legate loro stesse alla causa dell’indipendenza del Vietnam, furono rapidamente sopraffatte dalle forze Viet Minh sostenute dai cinesi.
Stabilito troppo tardi, non avendo mai beneficiato di mezzi sufficienti in uomini e materiali, né del riconoscimento dello stato maggiore, il GCMA e poi il GMI, nonostante gli indubbi successi, non poterono mai pienamente misurarsi. Nonostante l’impegno totale del comando francese e delle minoranze etniche. Tuttavia, nessuno sembrò trarre la lezione che questo tipo di missione rientrava più nelle operazioni speciali che nell’azione clandestina e aveva più possibilità di successo se fosse stata pilotata dai servizi armati piuttosto che dai servizi speciali, che non disponevano né di risorse umane sufficienti, né di capacità logistiche per condurle a buon fine. A titolo di comparazione, è l’insegnamento a cui giunse la CIA, nel 1962, dopo il clamoroso fiasco della Baia dei porci.
(1 – continua)
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