Dopo lo stallo demografico, ecco un’altra tegola sulla Germania: la “fuga dei cervelli”. Come riportato da Handelsblatt, ogni anno circa 210.000 persone con cittadinanza tedesca di età compresa tra i 20 ei 40 anni (il 75% dei quali in possesso di una laurea) lasciano il Paese, tendenza in aumento. Questo dicono i dati dell’Ufficio federale di statistica e dell’Istituto federale per la ricerca sulla popolazione (BiB). Il brain drain acuisce la carenza di manodopera altamente qualificata, di cui la Germania avrebbe bisogno. In un intervento presso l’IWP (Istituto Svizzero per la Politica Economica) l’economista Hans-Werner Sinn ha dichiarato che, mentre la Svizzera importa lavoratori altamente qualificati, la Germania li esporta (anche in Svizzera).
La notizia fa scopa con il peggioramento del sentiment economico registrato nel mese di agosto. L’indice IFO, il più importante barometro dell’economia tedesca ottenuto intervistando circa 9mila manager, è sceso a 86,6 punti dagli 87,0 del mese precedente, come ha riferito lunedì l’Istituto di Monaco. Si tratta del terzo calo consecutivo, anche se gli esperti si aspettavano un valore inferiore. Le aziende valutano la situazione attuale in modo negativo e sono pessimiste riguardo alle prospettive per i prossimi mesi. Nel secondo trimestre il PIL ha registrato una diminuzione dello 0,1%.
“La crisi dell’economia tedesca si aggrava”, ha affermato il presidente dell’IFO Clemens Fuest, secondo cui i settori particolarmente in sofferenza sono rappresentati dall’industria e dal settore immobiliare. Le cause sono riconducibili a fattori congiunturali e strutturali. I fattori congiunturali sono principalmente legati alle tensioni geopolitiche internazionali, che hanno un pesante impatto sulla Germania, il cui modello economico è basato sul commercio internazionale.
Uno dei fattori strutturali proviene invece dall’Estremo Oriente. Come riportato da Handelsblatt, la pressione della concorrenza cinese sulle aziende tedesche diventa sempre più forte nel mercato globale. Mentre la quota delle esportazioni cinesi in molti settori è in costante aumento da anni, le esportazioni tedesche sono stagnanti o addirittura in calo. Gli economisti avvertono che questa tendenza potrebbe peggiorare. Rolf Langhammer del Kiel Institute for the World Economy (IfW) afferma: “Siamo preoccupati per il modello di esportazione tedesco: non si può escludere che questo modello, così come lo conosciamo, cesserà di esistere nei prossimi anni”.
Secondo molti osservatori, tra cui Alberto Forchielli sul canale Youtube “Inglorious Globastards”, la Cina sta perseguendo una strategia aggressiva per trasformare le aziende dei settori chiave in leader del mercato globale. A tal fine, alcuni settori sono sostenuti dal governo con investimenti pubblici, generando un eccesso di capacità produttiva, che consente di immettere sul mercato mondiale prodotti a prezzi particolarmente bassi. Una strategia non nuova, che fino a pochi anni fa aveva colpito soprattutto i settori a basso valore aggiunto, erodendo quote di mercato dei Paesi produttori (come l’Italia). Ma adesso l’industria cinese è in grado di competere anche nei settori ad alta tecnologia.
La situazione appare particolarmente sfidante nel settore automotive. Il mercato cinese (che rappresenta circa un terzo del mercato mondiale) sta rapidamente virando verso l’elettrico, settore in cui i produttori europei sono poco presenti (per usare un eufemismo). Se questo trend si estenderà ad altri mercati, per i produttori europei potrebbe essere un problema (per usare un altro eufemismo). La risposta dell’Occidente per il momento si impernia sul protezionismo, con dazi del 100% in USA, fino al 25% in UE: una strategia che presenta molti svantaggi e non potrà funzionare a lungo.
La minaccia che incombe sull’automotive del Vecchio Continente sta generando una sorta di rigetto in alcuni strati della società tedesca (ed europea) che guarda con nostalgia al motore a scoppio: una tendenza che il partito liberale (FDP) sta provando a cavalcare. “Non esiste una mobilità buona o cattiva”, ha dichiarato il segretario Bijan Djir-Sarai presentando il “Piano Auto”. La FDP vuole consentire la forma di mobilità che i cittadini preferiscono e intende inviare a Bruxelles un segnale chiaro contro la dismissione delle auto diesel. “Solo in Germania sarebbero interessati 4,3 milioni di veicoli Euro 5 e forse 3,9 milioni Euro 6. La dismissione di milioni di veicoli non solo è completamente sbagliata e pericolosa, ma è anche praticamente inattuabile”, si legge nel piano.
Un messaggio che appare in contrasto con la strategia ecologica della coalizione governativa semaforica (Verdi in primis), a guida Scholz, il cui orizzonte politico sembra peraltro ormai di breve durata. Le elezioni regionali in Sassonia e Turingia di ieri saranno un test importante per capire in quale direzione sta andando il Paese.
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