Il cancelliere tedesco Olaf Scholz non ha avuto il tempo di festeggiare il pareggio con AfD – non certo una vittoria – domenica scorsa nel voto in Brandenburgo. Lunedì, con le valige in mano per l’Assemblea generale Onu a New York, Scholz è dovuto intervenire personalmente a gamba molto tesa per frenare l’iniziativa di UniCredit su Commerzbank. Un passo falso quanto obbligato: la pressione dei sindacati (non solo quelli bancari) era troppo forte per essere ignorata dal leader Spd, ormai in campagna elettorale per il 2025. Ma ciò che ha costretto il premier del maggior Paese Ue a un’uscita “scorrettissima” rispetto alle normative Ue e alla separazione fra politica e mercato, è stato il silenzio del suo ministro delle Finanze Christian Lindner, a sua volta leader di Fdp, i liberal-democratici dal 2021 partner di maggioranza con socialdemocratici e verdi.



Lindner – che ha presieduto il processo di vendita a UniCredit del 4,5% di Commerz da parte dello Stato – ha d’altronde atteso il “no a braccio” di Scholz per rettificarlo meno di ventiquattr’ore dopo. Il governo tedesco – che ha promosso l’avvio della ri-privatizzazione di Commerz, fallita e salvata dallo Stato nel 2009 – può al massimo congelare la vendita della quota residua: non può, invece bloccare in alcun modo le iniziative di mercato da parte di una banca basata in un altro Paese dell’Unione. Per quanto importante e coerente con l’approccio liberal-mercatista di Lindner, la querelle su UniCredit si presenta evidentemente strumentale per Lindner: da un lato come responsabile della manovra di bilancio per il prossimo anno elettorale, dall’altro come leader di un partito che corre seriamente il rischio di non raggiungere la soglia del 5% necessaria a rientrare al Bundestag fra un anno.



UniCredit (chiaramente pronta a rilevare il restante 12% statale di Commerzbank) può far affluire entro fine anno nelle casse pubbliche di Berlino fino a 2 miliardi oltre ai 700 milioni già versati. Non si tratterebbe di risorse insignificanti, allorché il governo tedesco deve fare i conti con il vincolo costituzionale di pareggio (peraltro rispettato dal rigorista Lindner). Tanto più quando Scholz sembra intenzionato a giocare la campagna elettorale con un programma aggressivo di interventi pubblici, ad esempio per far fronte ai licenziamenti annunciato da grandi gruppi come Volkswagen o alle richieste pressanti di nuovi sussidi alle imprese contro il caro-energia.



L’escalation-Commerzbank sul lato destro della maggioranza rossoverde ha inevitabilmente alzato la tensione anche sul lato sinistro, dove ieri è giunto – non del tutto inatteso – l’annuncio delle dimissioni dei due co-leader dei verdi, Omid Nouripour e Ricarda Lang. I Grünen per primi riconoscono di essere un partito “in crisi profonda”. Perdenti in tutti gli ultimi voti nei Land e alle europee di giugno, i verdi viaggiano oggi nei polls nazionali a mala pena sulla soglia del 10%, due terzi dei voti che nel 2021 hanno garantito loro il vicecancellierato per Habeck e il ministero degli Esteri per Annalena Baerbock.

Centrati in pieno dall’onda di riflusso provocata dalla guerra russo-ucraina sulla transizione energetica (passata di moda perfino nella nuova Commissione Ue), i verdi vogliono rilanciare facendosi assegnare 10 miliardi di euro: quelli accantonati per il progetto dell’americana Intel per una di gigafactory di microchip. Il progetto è però stato congelato da Intel, presumibilmente in attesa degli sviluppi politici negli Usa e anche in Germania. Ciò ha liberato un “tesoro” che i ora verdi pretendono anche per quasi esplicite ragioni politiche: lo sbarco di Intel era chiaramente collegato alla strategia di nuova difesa Ue, concorrente con la “vecchia” transizione verde (recuperata nel Recovery Plan post-Covid). Ma – non sorprendentemente – il ministro delle Finanze liberale si oppone, invocando quei miliardi tout court a un bilancio statale di indubbia emergenza.

Se e come se la caverà Scholz – dentro la sua maggioranza, in Germania e in Europa – sarà ora da vedere giorno per giorno. La sortita su UniCredit ha fatto trasparire un’insofferenza “sovranista” per le regole Ue: ciò che sul versante dei conti pubblici potrebbe tradursi nella richiesta di deroghe per circostanze eccezionali (il protrarsi della guerra in Ucraina). Un argomento che potrebbe essere accolto sia dalla Corte Suprema tedesca che dalla Commissone Ue.

Nel frattempo, UniCredit attende un verdetto ad un tempo tecnico e politico: l’autorizzazione della Bce a salire fino al 29,9% di Commerz. Ma il momento della verità è probabilmente fissato per metà dicembre, quando scadrà il blocco contrattuale alla vendita della restante partecipazione statale in Commerz dopo il primo collocamento. Chissà quale sarà allora la situazione politica in Germania.

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