Un Paese spaccato, con i giovani (il 40% della popolazione) che sono lontani dalle idee del regime, ma che non hanno la forza per cambiare la situazione. La conclusione delle votazioni in Iran, con la scontata vittoria dei conservatori al ballottaggio (dopo il primo turno del 1 marzo) in un sistema in cui i candidati vengono scremati prima del voto dal Consiglio dei Guardiani, conferma che il potere è saldamente in mano alla guida suprema Khamenei, anche se la sua successione (ha 85 anni ed è malato) potrebbe essere occasione di qualche scontro interno: nessuno ha il potere di scalzarlo, soprattutto ora, osserva Rony Hamaui, docente di scienze bancarie nell’Università Cattolica di Milano ed esperto di economia e finanza islamica, che l’isolamento internazionale di Teheran è finito. I rapporti con Cina e Russia, l’entrata nei Brics, la sostanziale inefficacia delle sanzioni economiche nei suoi confronti, mettono l’Iran e il suo regime al riparo anche da eventuali pericoli interni e gli permettono di sfruttare la guerra a Gaza per sostenere le posizioni antioccidentali tornate alla ribalta anche nella stessa opinione pubblica dell’Occidente.
Il secondo turno delle elezioni in Iran ha sancito la vittoria dei conservatori, che hanno ottenuto 239 seggi su 290. Questa classe politica quanto è invisa a un elettorato che per la maggior parte non è andato a votare?
Si tratta di una vittoria in continuità con quello che è successo negli ultimi anni e mesi. L’Iran è meno isolato politicamente ed economicamente di quanto lo fosse tre o quattro anni fa. È più impegnato nello scacchiere mediorientale e alla fine è il grande regista di tutta la guerra, sicuramente con Hezbollah e gli Houthi in Libano e nel Mar Rosso, ma indirettamente anche a Gaza. È malvisto dal resto del mondo arabo sunnita, mentre il rapporto con la popolazione è sempre lo stesso: c’è una società civile molto più avanti rispetto al regime, che però non molla, non è né politicamente né economicamente più in difficoltà di quanto lo fosse prima. La guerra in Ucraina, l’appoggio indiretto cinese, l’entrata nei Brics e la guerra di Hamas sono elementi che lo hanno rafforzato. In queste condizioni la popolazione interna non ha la forza di rovesciare il regime.
L’astensione è aumentata: ha votato il 41%, mentre nel 2016 era andato alle urne il 60% degli aventi diritto. È un continuo erodersi del consenso.
Sì, certamente, è più che evidente. Si vede nelle piazze, nel modo in cui veste la gente: l’intolleranza nei confronti del regime è molto forte, ma non abbastanza da metterlo in difficoltà. La situazione internazionale sta aiutando molto il regime: ai colloqui sul nucleare qualche anno fa, accanto agli USA, sedevano anche la Cina e la Russia, oggi no. Il mondo è spaccato in due, fra pro-occidentali e antioccidentali. E l’Iran sta molto bene con questi ultimi, anzi, è uno dei leader di questo fronte.
Teheran non sente il peso delle sanzioni contro il Paese?
Se tutti i Paesi del mondo sanzionano un unico Paese, quelle sanzioni sono molto efficaci. Ma se un solo Paese sanziona un altro Paese e gli altri no, quelle sanzioni non valgono niente. Oggi siamo in una situazione in cui molti Paesi non sanzionano più l’Iran.
C’è una spaccatura all’interno del regime fra l’ala militare e quella religiosa e politica, fra pasdaran e ayatollah?
Forse c’è. La pensano anche diversamente, però alla fine trovano ancora un punto di incontro per non litigare troppo. Sono divergenze alle quali non attribuirei un grosso significato, sicuramente non al punto da causare una caduta del regime o chissà quale cambiamento della situazione.
Neanche la successione della guida suprema del Paese, Ali Khamenei, che ha 85 anni e qualche problema di salute, può essere un’occasione di divisione?
Potrebbe essere un fattore di rottura perché questi regimi sono molto accentratori. Se Khamenei dovesse morire o fosse obbligato a rinunciare al suo ruolo, non mi sembra che ci sia un candidato evidente alla successione. E questo potrebbe essere un elemento importante, che incide.
Dal punto di vista economico e della tenuta sociale, l’Iran che Paese è?
Soffre un’inflazione alta ma ha una sua vitalità. Dal punto di vista tecnologico non è così arretrato, riesce a vendere armi ai russi, a vendere petrolio alla Cina. Ha una società civile articolata e ricca, con un livello di istruzione molto alto. Una società articolata che ha dietro una cultura millenaria. Ora soffre ma non è al collasso.
Al di là delle proteste per il velo, delle quali ora in Occidente non si sente che una flebile eco, non c’è una questione sociale che cova come il fuoco sotto la cenere?
La moneta, il riyal, si è molto deprezzata e l’inflazione è intorno al 40%. Qualche problemino, insomma, ce l’hanno: non sono tutte rose e fiori. Hanno un tasso di disoccupazione alto, intorno all’8%, che supera il 20% per i giovani dai 15 ai 24 anni. Però hanno un indebitamento molto contenuto e crescono decentemente, intorno al 4-5%: non stanno affogando. Il FMI per loro prevede quest’anno una crescita del 3,8%, non disprezzabile.
Il ministro degli Esteri, Hossein Amirabdollahian, ha rilasciato delle dichiarazioni nelle quali si dice che Teheran è pronta a collaborare con l’Europa, che invita però ad alzare la voce in relazione alla guerra a Gaza. Che significato ha questa presa di posizione: vogliono spaccare il fronte occidentale o l’Europa resta comunque un punto di riferimento anche per l’Iran?
La guerra a Gaza sta provocando nell’Occidente reazioni che favoriscono moltissimo l’Iran. Continuo a credere che l’Iran sia la vera anima nera di quello che sta succedendo in Medio Oriente. Le manifestazioni, negli USA come in Europa, non distinguono molto tra palestinesi e iraniani, quindi Teheran sta cercando di cavalcarle, dal suo punto di vista giustamente.
Dunque l’Iran asseconda l’antioccidentalismo che prende piede dentro l’Occidente?
Dietro la protesta pro-palestinesi c’è un antioccidentalismo e un antiamericanismo forte, anche in Europa. Non c’è nessuno che manifesta per l’Ucraina o per la Georgia. Non che in Ucraina muoiano di meno, e lo fanno per mano di un dittatore che è ben peggio di Israele dal punto di vista dei diritti democratici. Eppure non c’è uno studente che si ponga il dubbio. Non credo che l’Iran pensi veramente di riuscire a spaccare l’Occidente, ma credo che questa guerra gli faccia molto comodo.
(Paolo Rossetti)
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