Due elementi principali hanno permesso ad Hamas di portare a termine la sua offensiva contro Israele: una festa religiosa ebraica (la Simha Torah) e una negligenza del governo israeliano che non avrebbe tenuto conto degli avvertimenti contro possibili attacchi al Paese da parte della intelligence israeliana. Questo, in sintesi, quanto emerge da fonti anonime dell’intelligence francese. Ma andiamo più nel dettaglio.



Da quando Hamas ha lanciato la sua offensiva sul territorio israeliano sabato 7 ottobre da Gaza, i servizi di intelligence israeliani sono stati oggetto di durissimi attacchi. A lungo considerati tra i migliori al mondo, sono stati infatti accusati di essere responsabili della attuale offensiva di Hamas. E invece fonti dell’intelligence francese sottolineano come sia il governo israeliano che il capo di Stato maggiore dell’esercito fossero stati avvertiti di un possibile attacco e non una volta ma più volte.



Siamo alla fine di luglio quando l’ex capo dell’aeronautica Eitan Ben Eliyahu avverte la possibilità che si verifichi un disastro, in un momento in cui i riservisti israeliani vanno in sciopero e si rifiutano di servire a causa della riforma della giustizia del Governo Netanyahu. Allo stesso modo, alla fine di agosto, un ex consigliere per l’antiterrorismo di due ex primi ministri israeliani, Yitzhak Shamir e Yitzhak Rabin, pubblica un rapporto in cui avverte una possibile offensiva da parte di Hamas o di Hezbollah contro Israele, specificando che l’offensiva posta in essere si potrebbe svolgere fra ottobre e novembre. Anche i servizi di intelligence e più in particolare Aman (direzione dell’intelligence militare israeliana) avrebbero, da parte loro, inviato note al governo israeliano, per avvertirlo di un’operazione in preparazione.



A tutti questi avvertimenti, il governo israeliano e il capo di stato maggiore dell’esercito, il generale Herzi Halevi, hanno fatto orecchio da mercante.

Il fallimento dell’analisi degli eventi da parte dei funzionari israeliani è, inoltre, un elemento da ricordare per comprendere l’effetto sorpresa causato dall’offensiva del 7 ottobre. Anche gli incidenti degli ultimi mesi al confine libanese tra Hezbollah e israeliani non sono banali. In questo contesto, l’installazione di tende nella regione contestata delle frazioni di Chebaa, lo smantellamento delle telecamere di sorveglianza lungo la barriera di confine vicino alla porta di Fatima o il lancio di un missile anticarro su Israele erano segnali che non potevano essere sottovalutati.

I leader israeliani hanno, inoltre, minimizzato l’importanza delle riunioni tenute a Beirut dal ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir Abdollahian, dal capo della Jihad islamica palestinese Ziad Nakhalé e dal capo dell’ufficio politico del movimento islamico palestinese Hamas, Saleh al-Arouri. Hanno anche ignorato quelli del segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah, con Ziad Nakhalé e Saleh al-Arouri, per valutare la situazione in Cisgiordania e le minacce israeliane.

Un altro passo falso dei funzionari israeliani è stato quello di non aver preso in considerazione la portata delle parole del capo dell’ufficio politico di Hamas che, in un’intervista rilasciata ad agosto, al canale al-Mayadeen, ha minacciato di intensificare il confronto con Israele, evocando una guerra contro lo Stato ebraico.

Ma esiste anche il fattore religioso. Infatti l’offensiva di Hamas ha avuto luogo un sabato, mentre le persone di fede ebraica sono in pieno Shabbat. Quel giorno, il Paese celebrava anche una festa ebraica, la Simha Torah. Questa festa ha certamente facilitato la mobilitazione di Hamas.

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