Come da copione la partita sull’aumento degli stipendi di ITA si è conclusa con una spaccatura al l’interno del Cda dove due consiglieri su 5 si sono schierati contro gli aumenti salariali richiesti dai sindacati.
Ripercorriamo la giornata di martedì 21 febbraio. Il Cda di ITA è riunito per prendere le decisioni in merito all’aumento dei salari che il Ceo Fabio Lazzerini senza approvazione del Cda aveva già concordato con i sindacati la settimana scorsa. Dopo un’ampia esposizione delle cifre che andranno a impegnare ITA nei prossimi anni, il Cda viene sospeso poiché la consigliera indipendente Ousleey non è del tutto convinta di votare a favore degli aumenti e chiede tempo per ragionare sulla questione, ma poi alla fine voterà a favore dell’aumento.
Per il sì, quindi, ci sono stati i voti del Presidente Antonino Turicchi, dell’Ad Fabio Lazzerini, e infine quello della consigliera Frances Ousleey, che per l’appunto ha cambiato opinione nell’ultima ora. A votare no, invece, sono stati il professor Ugo Arrigo e Gabriella Alemanno. Si tratta dei due membri nominati in aerea Giorgia Meloni e che quindi segnalano un certo disagio che evidentemente si può intuire tra le decisioni intraprese dal Mef e quelle di palazzo Chigi.
ITA in una nota stampa definisce questo accordo un passo necessario perché l’azienda possa cogliere le opportunità di crescita del mercato. La manovra salariale è strutturale e permetterà alla compagnia di “valorizzare” il personale formato e potrà sostenere una campagna di assunzioni in un mercato fortemente competitivo.
Ma gli aumenti potrebbero non essere immediati. La delibera potrebbe anche essere contestata nei prossimi 90 giorni. Infatti, adesso la palla potrebbe essere tutta in mano ai due consiglieri contrari i quali potrebbero far valere la norma dell’art. 2388 c.c., il quale cita testualmente: “Le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate solo dal collegio sindacale e dagli amministratori assenti o dissenzienti entro novanta giorni dalla data della deliberazione”.
La deliberazione in quanto tale sarebbe stata presa senza avere una reale copertura finanziaria e quindi potrebbe essere contestabile. La società che nel bilancio 2022 dovrebbe portarsi dietro una perdita di circa 470 milioni di euro, sicuramente non dovrebbe ripianare le perdite attraverso un aumento di capitale, ma potrebbe andare a operare una riduzione, appunto “per perdite”.
Quindi, dagli attuali 720 milioni di capitale versato, ITA si ritroverebbe all’approvazione del bilancio con un capitale sociale di appena 250 milioni di euro. A rigor di logica una società attenta ai costi avrebbe atteso la trimestrale per verificare la reale situazione finanziaria, e se le voci fossero corrette, e cioè che ITA attualmente perderebbe circa 1,5 milioni al giorno, nella trimestrale ci si ritroverebbe un passivo di quasi 135 milioni di euro che andrebbero a impattare virtualmente per circa 540 milioni di euro l’anno.
Il Mef ha ben chiarito che l’ultima tranche da versare sarà quella concordata con l’Ue e cioè di 250 milioni di euro che sommati ai 250 rimasti non basterebbero a ripianare i debiti del 2023 se a queste cifre aggiungiamo circa una cinquantina di milioni di euro per effetto degli aumenti salariali proprio del 2023, di fatto ci ritroviamo un’azienda con un profilo tecnico da liquidazione.
Ma sulla questione anche il collegio sindacale potrebbe avere qualcosa da dire al riguardo, in quanto ogni delibera che impegna economicamente l’azienda in modo così significativo per gli anni futuri andrebbe ponderata e analizzata con un occhio più vigile e attento.
Una piccola curiosità: sarebbe interessante capire come mai essendo la proposta degli aumenti salariali una questione portata avanti da Lazzerini, che di fatto si era esposto senza avere un preventivo avvallo del Cda, lo stesso in una situazione dove lo vedeva direttamente coinvolto non si sia astenuto dal voto.
Tornando alla vicenda in tutta questa ricostruzione c’è un però e non di poco conto. Infatti, l’aumento di capitale riservato che Lufthansa avrebbe proposto al Mef, ben si inquadra per tirare fuori ITA dai guai. Della serie “è già stato tutto calcolato”.
Con molta probabilità la partita degli aumenti salariali si è giocata avendo anche la sponda diretta di Lufthansa che aveva in testa una cifra attorno ai 250 milioni di euro per acquisire il 30% di ITA. Lo si è capito quando la portavoce del ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti per sua interposta persona aveva comunicato al Cda di ITA il via libera del Mef all’aumento dei salari. Per questo motivo gli aumenti salariali si inquadrano perfettamente nell’ottica di consentire a Lufthansa un acquisto al ribasso, salvo poi andare a ritrattare con i sindacati le tabelle salariali (anche queste al ribasso) una volta che Lufthansa avrà in mano la cloche della compagnia e avrà verificato con attenzione tutti i conti.
La momentanea vittoria dei sindacati, quindi, è solo uno specchietto per le allodole, è una concessione, per non alimentare il malcontento tra i dipendenti e consentire a Lufthansa di entrare in ITA alle cifre che la stessa Lufthansa aveva in mente di sborsare, non un euro di più, e molto probabilmente è anche una concessione del Ministro Giorgetti ai sindacati per avere mano libera su altri dossier ancora aperti ed evidentemente molto più importanti della nostra compagnia di bandiera.
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