Nelle stesse ore in cui il ministro dell’Interno, Lamorgese, riceveva a Roma il ministro degli Interni libico, Bashaga, concordando di “intensificare l’azione di contrasto alle reti dei trafficanti di esseri umani”, dalla Turchia è arrivato un nuovo schiaffo, sonoro, alla presenza e influenza italiana in Libia: Ankara ha infatti annunciato il controllo per l’addestramento e la formazione della Guardia costiera libica. Oltre al danno d’immagine, la beffa: gli istruttori di Erdogan useranno proprio le motovedette donate da Roma a Tripoli. Che cosa significa questa mossa della Turchia? Che incidenza avrà su flussi migratori e interessi energetici dell’Italia in Libia? E quali potrebbero essere le prossime mosse di Erdogan nel Mediterraneo occidentale? Ne abbiamo parlato con Mauro Indelicato, giornalista esperto di politiche migratorie e del Mediterraneo per ilgiornale.it e Insideover.



Le forze armate turche hanno cominciato l’addestramento della Guardia costiera libica. Un altro colpo alla nostra influenza su Tripoli? Italia sempre più marginale nella partita libica?

L’addestramento e la formazione della Guardia costiera libica è sempre stato un caposaldo della politica italiana in Libia. Questo già dai tempi di Gheddafi, tant’è vero che abbiamo donato alcune motovedette ai libici e i turchi faranno addestramenti a bordo dei mezzi arrivati dal nostro Paese. Dunque il fatto che adesso sia Ankara a gestire la formazione del corpo militare libico non è una buona notizia per Roma. E segna senza dubbio un ulteriore avanzamento dell’influenza turca a discapito nostro.



Come può influire questa scelta di Erdogan sui flussi migratori nel canale di Sicilia?

Probabilmente il presidente turco ha interesse, almeno in questo momento, a dare un’immagine della Turchia di garante contro i flussi migratori. Possibile quindi che Ankara faccia intervenire a più riprese la Guardia costiera libica contro barconi appena salpati dalle coste. Tuttavia questo, a lungo termine, darebbe a Erdogan le chiavi dell’equilibrio nel Mediterraneo centrale, al pari di come avviene già nel Mediterraneo orientale: quando avrà da attuare ricatti politici, non esiterà a usare l’arma dell’immigrazione.



E dal punto di vista degli interessi petroliferi italiani in quell’area?

Questo ha a che fare con la più generale influenza turca nel dossier libico. Se gli italiani indietreggeranno ancora dal punto di vista politico, chiaro che i futuri contratti potrebbero comportare maggiori vantaggi per Ankara.

Quali potranno essere le prossime mosse della Turchia?

Ritengo che in Libia la Turchia spenderà molte carte sul tavolo politico, visto che al momento sono in corso trattative per la formazione di un nuovo consiglio presidenziale e di un nuovo governo. Ankara proverà a piazzare uomini a sé più vicini. Sotto il profilo militare i turchi, per adesso, guardano altrove: al Caucaso, dove stanno aiutando l’Azerbaijan nel Nagorno-Karabakh, e in Siria. Qui potrebbe a breve partire una nuova operazione contro i curdi.

I 18 pescatori italiani sequestrati sono ancora prigionieri in Libia. Una vicenda che rischia ancor più di complicarsi?

È una vicenda delicata e lo si intuisce dal fatto che oramai i marinai, sia italiani che tunisini, sono a Bengasi da quasi due mesi. L’Italia non riesce a convincere Haftar ed è stata costretta a chiedere aiuto alla Francia e agli Emirati Arabi Uniti. Questo la dice lunga purtroppo sia sulle complicazioni del caso, sia sull’incidenza italiana nel Paese nordafricano.

Negli ultimi giorni si sono verificati diversi sbarchi di immigrati in Calabria. I trafficanti stanno scoprendo nuove rotte e nuove strategie?

In realtà gli sbarchi in Calabria ci sono sempre stati, oggi fanno ancora più notizia perché arrivano in un anno in cui il numero di migranti arrivati rispetto all’anno scorso si è quasi triplicato e perché all’emergenza immigrazione si sovrappone quella sanitaria legata al coronavirus. I barconi che giungono lungo le coste calabresi seguono la rotta turca: si parte da alcuni porti dell’Anatolia e le imbarcazioni più capienti invece di virare verso l’Egeo vanno verso l’Italia. È una rotta che coinvolge maggiormente bengalesi, iracheni, siriani e afghani.

(Marco Tedesco)