Sabino Cassese è senz’altro uno dei più bravi giuristi italiani e da qualche anno assume un’importanza sempre più decisiva, anche nel mondo dei media, nell’esprimere giudizi e analisi su quello che è accaduto in Italia: sulle riforme ipotizzate, su quelle che si dovevano realizzare e poi non sono state fatte, su quelle pensate e su quelle immaginarie.



Per trovare una sintesi dei suoi consigli, dei suoi scritti e delle sue analisi, si può usare il titolo di una sua lunga intervista raccolta in un libro recente: Cassese appare come il più accreditato giurista per illustrare le attuali “strutture del potere” in Italia. Insomma, il suo curriculum lo pone al vertice dei “grandi saggi” di questa cosiddetta seconda repubblica.



Giurista e docente di grande prestigio in diverse università, Cassese arriva al Governo di Carlo Azeglio Ciampi come ministro della Funzione pubblica nel 1993. Quell’incarico lo ricoprì per l’esattezza dal 29 aprile 1993 all’11 maggio 1994. In definitiva fu uno dei protagonisti del secondo governo dell’XI legislatura, che alcuni storici immaginifici, pensando forse di vivere in Francia, pongono come spartiacque tra la prima e la seconda repubblica. Difficile che sia così, senza autentiche riforme costituzionali.

Di quel periodo si ricorda sinora invece, soprattutto e molto bene, la grande manovra di “Tangentopoli”, guidata dalla Procura di Milano e dal pool di Mani Pulite che riuscì alla fine a cancellare dalla geografia politica italiana ben cinque partiti democratici.



In più, mentre il Governo Ciampi chiudeva la legislatura, con una decisione su Infostrada che diventerà Omnitel e porterà molto “fortuna” all’ingegner Carlo De Benedetti, si dice a mezza voce che per fondare una nuova “etica politica”, il capo del pool di Mani Pulite, Francesco Saverio Borrelli, attendesse dal nuovo presidente Oscar Luigi Scalfaro un incarico per Palazzo Chigi. È una voce insistente ma non confermata. Chissà se un giorno salterà fuori da qualche dichiarazione anche questo.

Ma intanto, a sorpresa, arriva un’autentica novità, un’altra “perla” di quel periodo che conferma le convinzioni negative di alcuni e lascia comunque perplessi molti osservatori politici che o non ne parlano, o cercano di rimettere in discussione molte cose.

Qual è la novità? In un’intervista di Tommaso Labate sul Corriere della Sera, datata 23 gennaio 2024, a un certo punto Cassese dice: “Le racconto questa cosa: vista la dimensione che emergeva dalle malversazioni che via via emergevano dalle carte delle inchieste dei giudici milanesi, decidemmo di scorporare il costo della corruzione dal bilancio dello Stato e quindi toglierlo dalla legge finanziaria. Serviva un lavoro preciso, fatto bene, che tra l’altro aveva iniziato anche l’Ufficio studi della Banca d’Italia. D’accordo con Ciampi, presi contatto con il pool di Milano e il dottor Davigo viene in gran segreto a Roma a lavorare sulle cifre con me. A Roma, nessuno, a parte noi due e il presidente del Consiglio, sapeva di questi incontri. Anzi, solo un quarto, che mantenne il segreto”.

Si viene poi a sapere che il quarto era Cesare Geronzi, che “casualmente” sostituì il delfino di Enrico Cuccia a Mediobanca, cioè Vincenzo Maranghi dopo un ginepraio finanziario, per usare un termine cortese.

Ora, alla faccia della democrazia con la separazione dei poteri, si viene a sapere, dopo più di trent’anni, che i magistrati partecipavano alla stesura della Finanziaria. L’intervistatore non sembra che abbia dato molto peso alla vicenda. Anche chi ha intervistato Cassese in un libro recente, forse per non mettere in imbarazzo il suo editore televisivo, non fa neppure un cenno a Piercamillo Davigo. Verosimilmente queste cose non interessano a chi apprezzava acriticamente il lavoro del pool di “Mani Pulite”.

C’è invece chi è rimasto esterrefatto. In tanti stimano Sabino Cassese, che è stato anche giudice della Corte Costituzionale, ma Paolo Cirino Pomicino ha dichiarato: “Sull’autonomia il mio amico Cassese ha commesso un errore”. Più duro Piero Sansonetti, direttore de l’Unità, che ha titolato il suo pezzo senza mezzi termini: “Sì, nel ’93 fu golpe. Cassese rivela un segreto clamoroso”. Con questo sottotitolo: “Così nel 1993 il pool di Mani Pulite sostituì il ministro dell’Economia”. Poi Filippo Facci: “I giudici scrivevano persino la Finanziaria. L’ex ministro Cassese rivela: nel ’93 il pool fece riunioni col Governo. Quante pressioni dai pm”. E ancora su Il Tempo: “L’ennesima (clamorosa) conferma della sudditanza della politica ai pm”.

Non pare, leggendo i “resti” della stampa italiana e ascoltando le trasmissioni televisive, che sia nato un dibattito dopo una scoperta veramente clamorosa, la quale sancisce definitivamente l’invadenza della magistratura per un trentennio che potrebbe essere finalmente ribattezzato il “trentennio giudiziario” e che, probabilmente, se qualcuno fa certe rivelazioni, sembra sul viale del tramonto.

A scanso di equivoci e per essere precisi, non risulta nessuna inchiesta sulla “valanga caritatevole in dollari” (scambiati quasi sempre da un cassiere dello IOR in Vaticano), che arrivavano dall’URSS al PCI e anche dopo la caduta del Muro di Berlino dalla Russia a dei personaggi che si rifacevano all’agglomerato post-comunista.

Che dire di fronte a tali rivelazioni? Restare esterrefatti è poca cosa. Il problema è che in tempi dove si predica il desiderio di “chiarezza”, “trasparenza” ed “etica politica”, ci vorrebbe quanto meno una seria ricerca storica di quello che è avvenuto in questi trent’anni e che ha contribuito a portare l’Italia nelle attuali condizioni.

Ci si permetta solo un appunto personale: ma un uomo come il grande giurista Sabino Cassese, che viene interpellato come si faceva un tempo con i grandi giuristi italiani, non ha mai sentito il desiderio, in trent’anni, di rivelare un simile (mis)fatto?

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