La situazione di stallo che si è creata intorno a Conte e tra le forze che compongono la maggioranza di governo non può durare a lungo. Anzi, stando fermi le cose si deteriorano più rapidamente. Il fatto che il governo non abbia al momento alternative e che sia il Pd nel suo insieme che i capi storici dei 5 Stelle non abbiano alcuna intenzione di aprire una crisi, non significa che la lastra di ghiaccio su cui stanno camminando non incominci a farsi pericolosamente sottile.



Ci sono almeno tre temi su cui il Pd vuole fare sul serio e su cui – a prescindere da cosa farà Conte da grande – il Movimento non riesce a prendere decisioni.

Il primo, e forse il più urgente, è quello di stringere solide alleanze elettorali per le prossimi elezioni regionali e quelle amministrative successive. Molti nel Pd ritengono più decisive per il partito le elezioni nelle grandi città previste per la primavera prossima che la prossima tornata del 20 settembre. Dando per scontato che nulla è possibile cambiare in Campania e Puglia, dove De Luca ed Emiliano non sembrano preoccuparsi eccessivamente dei candidati espressi da altre forze della maggioranza, il Pd non riesce a capacitarsi del fatto che dove ci sono da proporre nuovi candidati non lo si faccia insieme a M5s. A dire il vero in Liguria è stato proprio il Pd a dividersi sul suo stesso candidato Sansa, che i 5 Stelle avevano alla fine accettato. Ma anche nelle Marche un’alleanza Pd-M5s metterebbe in sicurezza una regione dove il centrosinistra non ha brillato e che dal terremoto non riesce ad uscire da una condizione di marginalità.



Ma la partita vera il Pd vuole giocarla sui sindaci delle grandi città. In primavera infatti si voterà per eleggere i primi cittadini di Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, Firenze e moltissime altre. Sono tutti da scegliere, a meno che i 5 Stelle non approvino una norma salva-Raggi rendendo così impossibile qualsiasi accordo. Se Zingaretti riuscisse a trovare la quadra per riportare al Pd la guida di Roma o Napoli e conservare quella di Milano, vedrebbe consolidato il suo ruolo di capo del partito e diventerebbe una specie di salvatore della patria.

Il secondo tema è la riforma elettorale. Il referendum confermativo del taglio dei parlamentari si avvicina e il Pd non intende lasciar passare troppo tempo per riscuotere quanto dovuto. Il fatto che Renzi abbia deciso di sfilarsi dall’accordo per un sistema proporzionale con sbarramento al 5% era dato da tutti per scontato, visti i miseri risultati di cui è accreditato il suo partito.



La nuova legge rappresenta l’unica vera garanzia affinché il governo conduca fino alla fine la legislatura. Quale parlamento potrà mai sciogliersi da solo avendo la certezza di non vedersi riconfermato, almeno per i suoi 4/5?

Infine al Pd appare chiaro che se non bisogna cambiare premier urge un rafforzamento immediato del governo. Serve un atto di responsabilità da parte di tutti coloro che stanno fuori dall’esecutivo e che ora ci devono mettere la faccia. Un bel rimpasto. Fuori allora ministri e ministre che non hanno retto alla prova di questi mesi – e non serve fare nomi per quanto siano evidenti i punti di debolezza del governo – e dentro tutti quelli che contano, a cominciare da Zingaretti, a cui spetterebbe la casella del vice-premier, a finire con Di Battista.

Ma il governo ha bisogno innanzitutto di un rapporto forte con regioni e comuni. Qualche nome? Da Sala all’Appendino, da Bonaccini a De Caro, che, pur restando ai loro posti di comando, segnalerebbero con la loro presenza la straordinarietà di un governo chiamato a gestire mesi molto difficili.

E poi serve maggiore competenza ed esperienza in ministeri-chiave come le infrastrutture e i trasporti, le nuove tecnologie e la pubblica amministrazione, il coordinamento dei progetti per attivare l’enorme spesa dei fondi europei. E sono diversi i nomi di personalità che in questi mesi non hanno rifiutato il loro impegno accanto al governo.

Tutti i sondaggi danno ancora un consenso consistente per Conte e i dati per i partiti che lo hanno sostenuto non sono negativi.

L’Italia appare agli italiani un paese che alla fine ha gestito bene l’epidemia e – a quanto pare – ne sta uscendo prima di altri. Nessun governo della Repubblica ha potuto disporre di risorse così ingenti e – pur tra molte polemiche e gravi inefficienze della pubblica amministrazione – la stragrande maggioranza degli italiani ha ricevuto quanto promesso. Dal 1° luglio 16 milioni di lavoratori con un reddito fino a 40mila euro percepiranno un aumento in busta paga di 100 euro al mese.

L’Europa per la prima volta da anni non ha la faccia arcigna di chi vuole imporre regole e balzelli. Gli italiani non chiedono altri cambiamenti privi di garanzie e pericolose fughe in avanti. Di chi si dovrebbero fidare? Di un governo tecnico? Di Salvini e Berlusconi?

Quello che viene richiesto è la prudenza che è garanzia di stabilità, ma anche il coraggio di mettere mano a quello che palesemente non funziona.

Riuscirà il più esperto Pd a convincere anche questa volta i ragazzi di Grillo?