I benzinai revocano il secondo giorno di sciopero, ma il tema del prezzo del carburante alla pompa resta all’ordine del giorno. Tanto più che, dal momento in cui è stato tolto lo sconto sulle accise, ha continuato a salire. Il mercato internazionale del petrolio risente ancora dell’instabilità geopolitica e il futuro, da questo punto di vista, potrebbe essere foriero di altre brutte sorprese per i consumatori.



Come spiega Andrea Paltrinieri, professore associato in economia degli intermediari finanziari presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, siamo davanti ad un mercato che deve fare i conti con molte incognite.

Come viene fissato il prezzo del petrolio, chi lo stabilisce?

Il petrolio è una materia prima contrattata nei mercati finanziari internazionali. Ci sono due principali contratti: il contratto West Texas Intermediate (WTI), rappresentativo del petrolio americano, di qualità “migliore”, più leggera, e il contratto Brent, rappresentativo del petrolio del Mare del Nord, misto, di qualità complessivamente inferiore. Il prezzo è frutto delle contrattazioni in mercati quali New York Mercantile Exchange, Chicago Mercantile Exchange. Pertanto, nessuno lo fissa, ma è frutto della domanda e dell’offerta tipica dei mercati finanziari, non solo di materie prime.



Quali sono le variabili che influenzano le quotazioni in questo momento? Quanto pesa l’embargo sul petrolio russo?

Le variabili che impattano sulle quotazioni sono differenti: l’andamento delle scorte del petrolio, a livello globale e statunitense, la produzione a livello globale, la domanda di prodotti derivati dal petrolio quasi benzina e cherosene, l’andamento complessivo dei mercati finanziari, l’andamento delle valute di riferimento quali il dollaro, le situazioni di carattere geopolitico. Tra queste, considerando anche i relativi flussi, e la qualità “medium grade” del petrolio russo Ural, certamente l’embargo pesa sulle quotazioni, così come peserà l’embargo dei prodotti distillati quali il diesel.



Da dove importa il petrolio l’Italia e chi sono i maggiori esportatori sul mercato mondiale? La produzione è in aumento?

L’Italia importa il petrolio da diversi Paesi tra cui Azerbaijan, Libia, Arabia Saudita, Algeria, Iraq e Russia nel 2022. La produzione complessiva è in aumento negli Usa, ma tenuta sotto controllo dall’organizzazione dei Paesi produttori Opec.

Cosa dobbiamo aspettarci nell’immediato futuro, un altro aumento del prezzo al barile?

Non è semplice fare previsioni sul prezzo del petrolio. Come abbiamo visto prima ci sono diversi fattori che incidono. Per l’immediato futuro, certamente guarderei, oltre all’impatto del blocco delle esportazioni di diesel dalla Russia, la ripresa della domanda cinese dopo la fuoriuscita dalle politiche Covid, ma anche la minore probabilità di recessione europea e americana. Nel periodo estivo riprenderà anche la domanda americana di benzina (driving season). Dovessero queste componenti esser robuste, il prezzo dei contratti WTI e Brent tenderebbe ad essere più alto.

Negli ultimi anni, dalla pandemia in poi, il prezzo del petrolio ha conosciuto sbalzi notevoli; cosa dovrebbe succedere per ottenere una stabilizzazione?

Il periodo Covid ha provocato una distruzione di domanda, che poi si è ripresa con le riaperture globali. L’Opec ha cercato di controllare l’offerta, ma la produzione americana via shale non è controllabile se non dalla variabile “prezzo”. Pertanto, questi sbalzi delle materie prime quali il petrolio sono normali nel corso degli anni. La volatilità tenderà a rimanere. Certamente, se non si avrà una fetta del petrolio russo nel mercato, ciò impatterà sui prezzi. Si potrà avere stabilizzazione, ma con crescita economica e meno offerta, a livelli di prezzi più alti.

(Paolo Rossetti)

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