L’annunciata invasione della Rai da parte del centrodestra sembra più una passeggiata di salute che una battaglia cruenta per il potere. Non solo il “ribaltone” era ampiamente atteso, ma tutto sommato si sta materializzando con i caratteri dell’assoluta normalità. I nomi sono quelli che girano da anni, si premia la fedeltà più che i nuovi acquisti. Del resto in Rai si conoscono tutti, regna da decenni il “consociativismo”, anche quando per molti questo modo democristiano di governare l’azienda era considerato uno scempio. Figurarsi se oggi spaventa qualcuno un ordinario cambio di posizioni, come se fossimo in una sorta di gioco di ruolo, dove chi è stato per anni all’opposizione oggi assapora la meritata promozione. Ma senza mettere in discussione la regola per cui “nessuno toglie il posto a nessuno”.
Certo, può capitare che la draghiana Maggioni passi da un ruolo stressante come dirigere il Tg1 a una più comoda poltrona di coordinamento dei contenuti informativi, o ad Andrea Vianello di passare dalla tolda di comando di Rai3 alla più piccola Rai di San Marino, ma nessuno ha rischiato realmente nel rimpasto generale di rimanere col “culo per terra”.
Se poi il discorso cade sulle trasmissioni di “massa”, quelle con più telespettatori di casa Rai, nessuno dei loro conduttori storici – parliamo di Fiorello, Amadeus, Vespa – è messo in discussione, tutti restano saldamente al proprio posto e nessuno si sogna di cacciarli.
Così dopo le tensioni accese qualche giorno fa dall’annuncio del trasloco di Che tempo che fa di Fabio Fazio su Discovery Channel – diciamo la verità, anche in questo caso nessuno li ha cacciati, se ne sono andati via da soli – sono arrivati solo segnali distensivi. Prima la conferma di Report – ed è tutto dire –, poi quella di Lucia Annunziata a Mezz’ora in più. Insomma non sembra proprio che in Rai sia in corso una decimazione di teste di sinistra.
In realtà pesano tra gli uomini (donne pochissime) del centrodestra sia la preoccupazione sullo stato reale dell’azienda, sia i numeri non sempre confortanti degli ascolti. Non sia mai – hanno pensato – che qualcuno possa addebitare a noi del “nuovo corso” un crollo improvviso dello share. E poi ci sono gli altri numeri, quelli dei conti, che restano impietosi e parlano di un’azienda “costosa” e con poche e confuse idee di sviluppo. Senza contare il pressing di Salvini che vuole abolire il canone tv. A quel punto alla tv di Stato servirebbe un concorso. Per trovare idee nuove.
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