Niente della politica estera russa è casuale. Partiamo dal nome “Sputnik 5”. Il 4 ottobre del 1957 Mosca mandava nello spazio il primo satellite, dal nome evocativo “compagno di viaggio”. E oggi presenta al mondo il nuovo vaccino con lo stesso nome. Così Putin sottolinea d’un colpo la continuità d’azione tra la vecchia Unione Sovietica e la nuova Russia unite nella lotta per il progresso dell’umanità.
Perché l’importante è sempre solo essere i primi come sempre, dimostrare di essere i migliori, superare gli Stati Uniti, adesso tutto il mondo. La conquista del consenso, il soft power come si dice oggi a partire da quell’11 settembre – ma i sovietici ci erano arrivati prima a capirlo – non è un lavoro casuale e marginale. La ricerca di egemonia deve essere continua, la legittimazione spontanea dal basso, a casa e all’estero, è necessaria come il ricorso a qualsiasi mezzo di costrizione, si veda l’avvelenamento del dissidente Aleksej Navalnyj, con un agente nervino del tipo Novichok.
Ecco spiegate le mosse di Putin per fronteggiare la pandemia. All’inizio, mentre la Cina era sconvolta dalle morti, la dichiarazione assoluta: “La Russia è sicura, da noi non c’è nessun contagio, anzi non c’è nemmeno il virus”. Ritornello ripetuto come un mantra via via che venivano colpiti tutti i paesi. “La Russia ha un sistema sanitario e di controllo perfetto”. “Non solo, possiamo anche aiutare tutti i paesi colpiti”. E quindi ecco partire le unità di protezione batteriologica, chimica e radioattiva. Ancora abbiamo negli occhi i soldati in divisa scendere dai quindici aerei a marzo all’aeroporto di Ciampino sotto lo slogan “dalla Russia con amore”. E i camion con la bandiere russe mettersi in marcia verso Bergamo. Operazione di propaganda perfetta che solo un governo occidentale come quello italiano, senza aggettivi, poteva accettare, facendo dimenticare gli aiuti concreti e reali dei nostri alleati, dai tedeschi agli americani, alla Nato.
Ma ovviamente le parole non fermano la pandemia, e allora il Covid supera le frontiere, arriva in Russia, a Mosca, in Siberia, e purtroppo uccide. Ecco allora la fase due. “E’ vero il virus è arrivato, ma tutto funziona perfettamente”. Ovviamente non era vero niente, il servizio sanitario russo non funziona, la crisi economica aggravata dalle sanzioni e dalla caduta del prezzo del petrolio ha costretto a chiudere i rubinetti per il welfare. Anche se non c’è nessuna trasparenza sui dati, ad agosto per numero di contagi, 917mila, la Russia si colloca al quarto posto dopo Usa, Brasile e India, con 92mila ricoverati in ospedale e 2.900 in terapia intensiva.
A metà agosto si arriva alla terza fase. L‘istituto di ricerca Gamaleya di Mosca, in coordinamento con il ministero della Difesa russo, ha sviluppato un nuovo vaccino. La Russia è di nuovo prima sulla strada del progresso, ha superato tutti gli altri duecento gruppi che a livello mondiale, dagli Stati Uniti all’Europa, alla Corea, stanno cercando l’antidoto al coronavirus. E oggi Sputnik V è pronto per essere a disposizione dell’umanità, a riprova ben due studi sulla prestigiosa rivista scientifica Lancet. Infatti, come dichiarato dal capo del Fondo russo per gli investimenti diretti, Kirill Dmitriyev, “abbiamo accordi con l’India, il Brasile e molti altri Paesi, perché siamo veramente concentrati sulla possibilità di esportare questo vaccino … sui mercati esteri già a novembre”. Una produzione, ha aggiunto Dmitriyev, “grazie alla meravigliosa tecnologia sviluppata dal Gamaleya Institute”.
Non erano ancora finite di risuonare le parole di tripudio da Mosca, che subito si è avuta un’alzata di scudi da parte della comunità scientifica internazionale. Innanzitutto, il vaccino è stato sperimentato solo su un numero esiguo di persone, due gruppi di 20 individui, e manca quindi la fase 3, la più importante, il test su un campione molto più significativo. A sottolineare le criticità una lettera a Lancet ad opera di un gruppo di scienziati che sollevava le seguenti critiche: i livelli di anticorpi nei diversi soggetti risultano sempre identici, non si conosce lo stato di salute precedente e durante la convalescenza dei pazienti, non sono noti i dati sperimentali dei laboratori, e così via.
Le conseguenze, anche in Russia, non si sono fatte attendere: a parte le smentite sdegnate, in testa l’agenzia Sputnik – gli deve piacere il nome -, si è alzata la voce di protesta dei nuovi “volontari”, gli insegnanti, ai test. Un’associazione dei docenti russa, Uchitel, ha lanciato una petizione online contro la “sperimentazione” fino a quando non vi siano garanzie di sicurezza ed efficacia del vaccino.
A riprova della delicatezza del percorso per la scoperta del vaccino, il comportamento della società britannica-svedese AstraZeneca, che in collaborazione con l’Oxford Vaccine Group stava sperimentando un nuovo vaccino. Il gruppo infatti ha preso una pausa di riflessione perché, già nella fase 3, un paziente avrebbe dimostrato dei segni di reazione sospetti. Ma questa società, che ha firmato un accordo con i ministeri della Salute di Italia, Germania, Francia e Olanda, a differenza del centro di ricerca russo fa parte del pool di aziende e istituti scientifici che hanno approvato l’8 settembre un protocollo di comportamento deontologico per garantire la scientificità e sicurezza della ricerca. Un’alleanza di resistenza contro le pressioni del potere politico che spinge per una ricerca affrettata e un utilizzo strumentale delle scoperte.
Insomma, il 2020, che doveva essere l’anno che sanciva il successo di Putin, si sta rivelando un disastro. Crisi economica, crisi sociale, crisi sanitaria, con il suo primo ministro colpito da coronavirus, cancellate le manifestazioni internazionali per la celebrazioni della vittoria sul nazismo, nessun riconoscimento internazionale del suo vaccino, nel bel mezzo di una crisi diplomatica con l’Occidente, Germania in testa, per l’avvelenamento di Aleksej Navalnyj, la Russia rischia di perdere il ruolo di alleato proprio di quei paesi fuori dall’orbita americana o cinese, o che giocano su più tavoli come la Turchia, e di cui ha un bisogno disperato anche economico, perfino per produrre il suo vaccino.
Se qualcuno credeva che il coronavirus avrebbe reso i rapporti tra le potenze più facili verso una gestione condivisa della crisi sanitaria – colpa anche della perdita di prestigio dell’Oms – preludio a un nuovo ordine mondiale più sicuro, si è sbagliato di grosso.