Il modello di propaganda messo in atto dalla Russia ha origini storiche che precedono l’epoca sovietica. Le abilità sovietiche e russe nelle operazioni di influenza e disinformazione si estendono fino al periodo zarista, rivelando importanti connessioni con l’eredità della Ceka e dell’Okhrana risalente al diciannovesimo secolo. Le pratiche di sorveglianza politica erano già diffuse in Moscovia e nell’Impero Russo, delineando un apparato di polizia avanzato che prevedeva l’isolamento degli stranieri e punizioni rigorose. Le osservazioni del marchese de Custine nel 1839 e di Paolo di Aleppo nel 1654 evidenziano una lunga tradizione di operazioni di influenza, nonostante il termine sia stato coniato solo nel XX secolo. La nostra attenzione sarà tuttavia rivolta alle strutture di sicurezza sovietiche e post-sovietiche, dalla Ceka al KGB, fino agli attuali SVR, FSB, e GRU.
L’unificazione dei mezzi di comunicazione da parte dei bolscevichi nel 1918 ha permesso loro di creare un modello distintivo di comunicazione politica che integrava l’ideologia marxista, la teoria leninista sulla stampa e le esperienze sia della polizia zarista che del mondo criminale bolscevico. L’accento veniva posto sull’organizzazione, e il Dipartimento per l’Agitazione e la Propaganda che fu istituito all’interno del Comitato Centrale del PCUS nei primi anni 20. Il concetto di “misure attive” è stato però elaborato solo dopo la morte di Stalin, includendo disinformazione, propaganda, falsificazioni e talvolta assassinii. Il Dipartimento D della Prima Direzione Principale del KGB, responsabile di queste operazioni, utilizzava metodi quali documenti contraffatti e la diffusione di notizie false o ingannevoli attraverso la stampa estera. Un esempio emblematico è l’Operazione Infektion, che diffuse la falsa notizia della creazione dell’HIV in un laboratorio USA attraverso un articolo su un giornale indiano nel 1983.
Obiettivi esteri
L’ideologia che stava dietro la propaganda sovietica era fondata sul marxismo-leninismo, puntando a indebolire i Paesi capitalisti per rafforzare le nazioni socialiste e le forze progressiste, inquadrando la politica internazionale come un confronto a somma zero. La propaganda non agiva isolatamente ma era integrata con le “misure attive”, mirate a sostenere gli obiettivi esteri sovietici attraverso un’azione offensiva degli apparati di intelligence. La conoscenza approfondita del contesto locale era essenziale prima di qualsiasi operazione, enfatizzando l’importanza dell’informazione raccolta dagli agenti del KGB e l’osservazione dei media locali per pianificare efficacemente le azioni.
Il personale del KGB, agenti reclutati e individui fidati, spesso senza la loro conoscenza, eseguivano la propaganda. Al comando delle misure attive, il Servizio A coordinava gli sforzi di vari dipartimenti, utilizzando organizzazioni sovietiche ufficiali e coperture per operare all’estero, enfatizzando l’importanza del ruolo ufficiale del propagandista nel facilitare le operazioni sotto la facciata di legittimità.
Le operazioni di propaganda organizzate prevedevano un approccio multidisciplinare, unendo diverse tattiche verso un obiettivo unitario. Queste iniziative iniziavano identificando con precisione il problema per poi stabilire l’obiettivo e selezionare le strategie adeguate. Il lavoro informativo e mediatico veniva condotto attraverso due canali: uno “chiuso”, dove il KGB operava sotto copertura, e uno “aperto”, tramite istituzioni ufficiali che agivano pubblicamente. Le organizzazioni e i media sovietici, seguendo le proprie funzioni, partecipavano alla propaganda esterna in parallelo alle “misure attive” del KGB, che non duplicava ma piuttosto estendeva e intensificava i messaggi attraverso le sue operazioni sotto copertura.
Il reclutamento
Il KGB mirava a individui come studenti, ricercatori, professionisti dei media, militari e funzionari con esperienze in URSS, visti non solo come fonti di informazione ma anche come influenzatori nei loro Paesi. Particolare attenzione veniva rivolta a coloro che avevano legami con l’URSS, seguendo una strategia simile a quella dell’Okhrana. Secondo il KGB, i dodici milioni di sovietici residenti all’estero, soprattutto nei Paesi capitalisti, erano considerati potenziali elementi per una quinta colonna. Contro gli emigranti anti-sovietici venivano proposti la disinformazione e l’utilizzo di materiale compromettente, mentre si cercava di sfruttare gruppi e individui pro-sovietici per operazioni mirate nei Paesi ospitanti. Gli emigrati dalle repubbliche baltiche e dall’Ucraina, attivi politicamente, erano bersagli principali per azioni volte a sminuirne l’influenza. Il KGB poneva particolare interesse nei centri degli emigrati in USA, in Canada e in America Latina, identificando 150 centri anti-sovietici di una certa rilevanza, responsabili della pubblicazione di 78 periodici. Veniva promosso l’impiego delle risorse propagandistiche di organizzazioni emigranti progressiste e pro-sovietiche per contrastare l’influenza della diaspora anti-sovietica. Queste ultime, sebbene meno numerose, con solo 55 organizzazioni e 27 pubblicazioni, erano considerate cruciali nella lotta per l’influenza nei Paesi occidentali, secondo una strategia che mirava a bilanciare l’impatto di questi due “campi” in ciascun Paese.
Nell’approccio del KGB verso i media, l’idea di una stampa indipendente era assente, considerando i media esteri come veicoli di “propaganda borghese”. Questa visione si allineava con la teoria leninista originale sulla stampa, che negava l’esistenza di media neutrali, interpretandoli unicamente come strumenti di propaganda. In pratica, il KGB aveva successo nel fondare entità mediatiche e partiti politici che, pur presentandosi come indipendenti e critici, specialmente nel denunciare la corruzione, erano in realtà finanziati e controllati segretamente. Iniziative come il Comitato Sovietico per le Relazioni con i Compatrioti all’Estero erano incaricate di gestire trasmissioni radiofoniche e di esportare materiali mediatici vari, tra cui libri e giornali. Anche l’arte e i prodotti culturali sovietici venivano utilizzati come strumenti di propaganda.
Conferenze stampa
Le conferenze stampa erano considerate un mezzo efficace di influenza, percepite nei Paesi capitalisti come espressioni di democrazia e quindi particolarmente affidabili, soprattutto quando le dichiarazioni venivano trasmesse via radio da voci riconosciute. Un caso notevole fu l’uso di una conferenza stampa per amplificare la defezione di un alto funzionario dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini, causando danni significativi alla reputazione dell’organizzazione. Il KGB distingueva tra “informazione diretta”, veritiera ma potenzialmente incompleta o distorta, e “disinformazione”, definita come la diffusione di false informazioni per ingannare e influenzare decisioni favorevoli all’URSS. La strategia di disinformazione si è evoluta dall’ingannare gruppi ristretti a tentativi di manipolare intere società. Un obiettivo chiave della disinformazione era creare divisioni e disorganizzazione, influenzando negativamente le decisioni e le politiche avversarie, inclusi gli aspetti economici per trarre vantaggi nelle trattative.
Le misure attive comprendevano anche l’esposizione di crimini e complotti segreti per compromettere nemici e istituzioni, utilizzando un’ampia gamma di canali, da conversazioni personali a media tradizionali e incontri pubblici. Materiali compromettenti dovevano essere credibili per essere efficaci. Agenti influenti venivano reclutati in vari ambiti, inclusi giornalisti ed editori ritenuti capaci di influenzare leader politici.
Un aspetto curioso era l’uso di necrologi elogiativi per far credere che individui deceduti fossero stati agenti del KGB, parte di un più ampio sforzo di discredito dei circoli emigrati, specialmente durante celebrazioni nazionali. La critica nei media affiliati, l’accusa di collusione con l’intelligence occidentale e la corruzione erano tattiche comuni. Documenti falsificati dovevano essere “legalizzati” in Occidente per essere utilizzati efficacemente. La combinazione di corruzione, appropriazione indebita, e lavoro operativo mirava a disorientare e discreditare, come nel caso di figure del Consiglio Nazionale Estone, accusate di collaborare con l’intelligence americana attraverso pubblicazioni e diffusione mediatica, nonostante l’efficacia limitata di tali accuse nel lungo termine. I manuali del KGB delineavano strategie sofisticate per ottimizzare l’impatto della propaganda. La tattica consisteva nel far sì che le tesi elaborate venissero introdotte in modo graduale e da più fonti, alcune ufficialmente legate all’URSS e altre apparentemente indipendenti, sia singolarmente sia in gruppo. Ciò mirava a far percepire le informazioni come scoperte personali del destinatario. I supporti mediatici venivano utilizzati per rafforzare queste tesi, funzionando da preludio e rinforzo, inducendo il destinatario a giungere alle conclusioni desiderate dal KGB seguendo un processo di pensiero apparentemente autonomo.
Le fonti
Per accrescere l’autenticità delle informazioni così diffuse, era cruciale essere preparati a rispondere a domande sulla loro origine, utilizzando fonti di informazione pubbliche o locali per confermare la propria credibilità. La disinformazione si avvaleva di tattiche simili, includendo la divulgazione di conversazioni intenzionalmente condotte in presenza di dispositivi di intercettazione scoperti o la diffusione di documenti falsi preparati per essere “trovati”. Queste azioni miravano a incrementare la verosimiglianza delle false narrazioni.
L’idea di creare molteplici fonti per rafforzare la credibilità di una notizia falsa o di un documento falsificato, come visto nell’Operazione Infektion, è stata definita “lavaggio della fonte”, una tecnica per conferire legittimità e plausibilità a informazioni altrimenti inverosimili. Un’altra preoccupazione era la contropropaganda, volta a smascherare i piani e gli agenti dei servizi segreti stranieri, diffondendo documenti espositivi in vari formati per massimizzarne l’impatto.
Per quanto riguarda la reazione del pubblico, il materiale del KGB metteva in luce l’importanza di anticipare e gestire le risposte alle operazioni condotte, suggerendo l’uso di tecniche operative e intercettazioni per valutare l’impatto delle azioni intraprese. Questo approccio mirava a ottenere il controllo narrativo e a costringere l’avversario a giustificarsi, mantenendo l’iniziativa strategica. La capacità di valutare la reazione del pubblico era considerata un componente essenziale nel modellare efficacemente le misure attive nell’ambito mediatico.
(1 – continua)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.