L’attuale guerra in Ucraina non deve far dimenticare le enormi potenzialità che la Russia ha dispiegato ed è in grado di dispiegare nel settore della cyber warfare, come dimostrano le elezioni presidenziali americane del 2016 dove il ruolo degli hackers russi è stato fondamentale nel destabilizzare il quadro politico americano. Vediamo, seppure sinteticamente, attraverso quali tappe prese avvio la campagna di destabilizzazione russa nel 2016.
Nel giugno 2014, due agenti russe, Aleksandra Y. Krylova e Anna V. Bogacheva, vennero inviate negli Stati Uniti per una missione di tre settimane. Durante la loro visita in nove Stati, tra cui California, New York e Texas, raccolsero informazioni rilevanti sulla politica americana. A San Pietroburgo, l’Internet Research Agency (IRA), guidata da Yevgeny Prigozhin, ex cuoco di Putin, iniziò una campagna di disinformazione. Con un budget multimilionario, l’IRA reclutò giornalisti e specialisti SEO, pagandoli ben oltre la media del settore. L’IRA creò account falsi su Facebook e Twitter, usati per diffondere propaganda e disinformazione. Tra le azioni più note, la creazione di gruppi su Facebook come “Heart of Texas” e “United Muslims of America”, che promuovevano eventi contrapposti, causando tensioni reali. In particolare, a Houston, manifestanti di queste due fazioni si trovarono faccia a faccia in un duello stradale, orchestrato dai troll russi. L’IRA usò anche identità rubate di cittadini americani per apparire più credibile e interagì con volontari e gruppi di sostegno a Trump. Pubblicò annunci pro-Trump e anti-Clinton e diffuse meme razzisti e xenofobi con l’obiettivo di danneggiare Hillary Clinton e favorire Donald Trump e Bernie Sanders. Inoltre, creò pagine dedicate a movimenti come Black Lives Matter e account Instagram per influenzare l’elettorato afroamericano, un target chiave per Clinton, cercando di convincerli a non votare.
La seconda tappa si concentra in Florida dove l’IRA pagò un ignaro sostenitore di Trump per costruire una gabbia sul retro di un autocarro, con un’attrice impersonante Hillary Clinton al suo interno, evocando scene di contestazione durante le manifestazioni. Questa tattica, parte di una più ampia operazione di disinformazione, si estese a stati chiave come Pennsylvania, New York e California. La portata di questa campagna di disinformazione è stata enormemente vasta: i troll dell’IRA hanno raggiunto 126 milioni di utenti su Facebook e hanno generato 288 milioni di interazioni su Twitter. Numeri significativi, specialmente considerando che negli Stati Uniti ci sono solo 200 milioni di elettori registrati, e che solo 139 milioni hanno votato nel 2016.
L’aspetto più inquietante di queste operazioni non era tanto la loro visibilità, quanto le azioni più oscure e nascoste. A partire dal 2014, hackers russi iniziarono a indagare sui sistemi di registrazione degli elettori degli Stati Uniti, penetrando in Stati come Arizona e Illinois e cancellando dati elettorali. È evidente che queste incursioni nel sistema elettorale americano rappresentano una minaccia diretta all’integrità delle procedure democratiche.
In parallelo, avveniva un altro episodio di hacking che avrebbe avuto ripercussioni ancora più gravi. Il giorno dopo la notizia di un attacco informatico al Comitato nazionale democratico (DNC), apparve su Twitter una figura enigmatica conosciuta come Guccifer 2.0. Questo personaggio, rivendicando l’hacking come opera di un “hacker solitario”, mise in dubbio le affermazioni di CrowdStrike, la società di sicurezza informatica che aveva identificato gruppi hacker sofisticati dietro all’attacco.
Il vero Guccifer era Marcel Lazar Lehel, un criminale informatico rumeno che si era fatto un nome hackerando membri di spicco della politica americana. Guccifer 2.0, tuttavia, era una creazione russa, parte di un’elaborata narrazione per mascherare il coinvolgimento del Cremlino. L’analisi dei metadati trafugati al DNC rivelò chiare tracce di origine russa, smentendo le affermazioni di Guccifer 2.0 di essere rumeno. Queste rivelazioni, insieme ad altre indagini, hanno esposto un vasto e complesso schema di interferenza russa, che si estendeva ben oltre la semplice propaganda online. Attraverso un mix di ingegneria sociale, hacking sofisticato e disinformazione strategica, la Russia ha non solo influenzato l’opinione pubblica ma anche minato la fiducia nelle istituzioni democratiche, lasciando una cicatrice permanente nel tessuto politico e sociale degli Stati Uniti.
La terza tappa posta in essere dai russi si può compendiare in un termine che viene usato proprio dallo spionaggio russo e cioè “kompromat”, un concetto radicato nella tradizione di spionaggio russa che si riferisce alla pratica di raccogliere e divulgare informazioni compromettenti per screditare nemici. Questa strategia fu al centro delle operazioni di interferenza russe nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti del 2016. Essa era in grado di mescolare abilmente verità e menzogna, mostrando in tal modo la sua efficacia nel manipolare l’opinione pubblica e nell’indebolire le istituzioni democratiche. La campagna iniziò con un attacco audace e sofisticato al DNC, perpetrato dallo stesso gruppo di hackers russi responsabili di incursioni nei sistemi elettorali ucraini. Tuttavia, la portata e le implicazioni di queste azioni furono inizialmente offuscate dal clamore mediatico che seguì. Il personaggio di Guccifer 2.0 emerse come un catalizzatore chiave, passando materiale trafugato a organi di stampa come Gawker e The Smoking Gun. La rivelazione di queste e-mail, che mostravano il DNC favorire Hillary Clinton rispetto a Bernie Sanders, generò un vortice mediatico, con siti come il Guardian, l’Intercept e il Washington Post che si affrettarono a coprire la storia.
In un momento cruciale, le e-mail più compromettenti furono rilasciate proprio prima della convention nazionale del Partito Democratico, esponendo discussioni interne su come screditare Sanders e rivelando commenti sprezzanti della presidente del DNC, Debbie Wasserman Schultz, su Sanders. Queste rivelazioni provocarono tumulto interno e pubblico dissenso, dimostrando l’efficacia del kompromat nel seminare discordia. Parallelamente, WikiLeaks iniziò a divulgare migliaia di e-mail e documenti, alimentando ulteriormente il fuoco. In un gioco astuto, gli hackers russi lanciarono anche il sito dcLeaks, con profili falsi su Facebook come “Katherine Fulton” e “Alice Donovan” per promuoverlo. Queste manovre dimostrano una pianificazione e una preparazione di mesi, se non anni. Il colpo di grazia arrivò con la pubblicazione delle e-mail personali di John Podesta, rivelando discorsi controversi tenuti da Clinton a Wall Street. Questi discorsi furono sfruttati per ritrarre Clinton come incoerente e non trasparente, influenzando l’opinione pubblica. Nel contesto di questa campagna, attivisti e sostenitori di Bernie Sanders su Facebook iniziarono a notare un’ondata di commenti e post ostili contro Clinton. Questa attività, come è emerso, era parte di un’operazione più ampia orchestrata dall’IRA russa, volta a dividere ulteriormente l’elettorato.
Questi eventi hanno lasciato un segno indelebile sul paesaggio politico americano, sollevando domande sul ruolo della disinformazione e dell’interferenza straniera nelle democrazie moderne. La vicenda dell’interferenza russa nelle elezioni del 2016 rimane un capitolo cruciale e inquietante nella storia delle relazioni internazionali e della politica americana, un esempio potente e preoccupante di come la tecnologia digitale possa essere sfruttata per manipolare gli eventi a un livello globale.
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