Se fosse vera – c’è un processo in corso, è tutto da appurare – la notizia dell’inchiesta su un pezzo pregiato dell’eredità di Casa Agnelli occultato fisco per non pagare tasse su gioielli e altri preziosi sarebbe devastante per l’immagine della dinastia industriale almeno quanto per l’immagine del Paese che aveva eletto l’Avvocato Gianni, scomparso nel lontano 2003, a proprio ambasciatore nel mondo.
La Fiat è stata per molti anni l’azienda simbolo dell’Italia, nel bene e nel male. Quello che andava bene per l’una, si diceva, andava bene anche per l’altra tanto stretto era il vincolo tra le due realtà entrate insieme nell’era della modernità a bordo del sogno di tante generazioni: le quattro ruote a motore simbolo di emancipazione e di libertà.
Anche se da tempo il gruppo di Torino guarda in altra direzione (tecnologia, salute, media) e ha fuso il ramo dell’auto con la francese Peugeot dando vita al polo Stellantis guidato dal portoghese Carlo Tavares – tra l’altro in procinto di lasciare il comando -, i fatti di famiglia hanno sempre interessato l’opinione pubblica nazionale come accade oltre Manica per le gesta dei reali d’Inghilterra.
E i fatti oggi sotto i riflettori della magistratura non sono affatto lusinghieri come non lo furono quelli relativi alla gestione del fiore all’occhiello di sempre, l’amatissima e odiatissima (a seconda dei casi) Juventus che per rigenerarsi ha dovuto rinunciare alla guida dell’unico rampollo che porta ancora il cognome del capostipite. Insomma, uno smacco che difficilmente si potrà dimenticare.
Ora sono in ballo spille, orecchini, collane, bracciali e opere d’arte che figurano come donazioni in vita dalla nonna Marella ai nipoti John, Lapo e Ginevra scavalcando la figlia e madre Margherita che nel frattempo ha avuto altri cinque figli da un secondo matrimonio e non crede giusto penalizzare la seconda tornata a vantaggio della prima imboccando la via giudiziaria per avere ragione.
Poi c’è la rendita vitalizia accordata a nonna Marella (moglie di Gianni) che con sotterfugi, dice l’accusa, viene fatta apparire come residente in Svizzera mentre invece consumava in Piemonte la sua esistenza. Uno scherzetto che sembra essere costato all’erario come mancati introiti per la successione almeno 40 milioni che sommati al resto fanno almeno il doppio.
E infatti la Procura ha disposto il sequestro preventivo (in attesa del giudizio) di 74,8 milioni di euro che naturalmente i diretti interessati e i loro avvocati assicurano non essere in alcun modo dovuti avendo sempre e comunque rispettato la legge. Comunque sia, siamo alla definitiva caduta degli dei. Se il patrimonio è salvo, contenziosi a parte, la reputazione è persa.
Ed è un peccato perché volente o nolente gli Agnelli, o come si chiamano ora, hanno davvero rappresentato il volto internazionale e nobile di un Paese che con ingegno e sacrificio ha saputo venir fuori da guerre sanguinose e da macerie e da una condizione di povertà contadina riuscendo a diventare la settima potenza economica del globo, la seconda manifattura d’Europa.
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