Quando gli storici e i giornalisti di inchiesta si approcciano alla strategia della tensione non sottolineano a sufficienza il ruolo e l’importanza – a livello di strategia – che ebbe l’elaborazione teorica da parte dei militari francesi della guerra rivoluzionaria durante la guerra d’Algeria e di quella dei fondatori dell’Oas. Eppure basterebbe leggere il breve saggio di Clemente Graziani (uno dei massimi esponenti di Ordine Nuovo) dal titolo La guerra rivoluzionaria (Passaggio al Bosco, 2020) per avere la dimostrazione di come le riflessioni dei militari francesi costituirono il quadro teorico all’interno del quale maturò la riflessione in Italia della strategia della tensione. Come oramai ampiamente acclarato nel contesto della storiografia francese contemporanea, la riflessione strategica dei militari francesi impegnati durante la guerra d’Algeria fu profondamente debitrice delle riflessioni di Ho Chi Minh e di Mao Tse Tung e naturalmente dell’esperienza drammatica maturata durante la guerra d’Indocina. I principali esponenti della scuola strategica francese – se così possiamo definirla – elaborarono una loro riflessione proprio a partire dagli scritti e dalla prassi militare di questi autori utilizzandola e adattandola al contesto della guerra d’Algeria.



Clemente Graziani incomincia ad esporre le sue riflessioni partendo da quelle dello studioso francese Raoul Girardet che entrerà a far parte dell’Oas. Lo studioso francese – citato da Clemente Graziani – osserva come i comunisti in Indocina utilizzarono tecniche di grande efficacia come l’azione psicologica, il terrorismo sistematico e l’organizzazione delle gerarchie parallele, che si sostituiscono gradualmente a quelle legalmente esistenti inglobando la società civile in una rete dalle maglie sempre più strette. Uno dei capitoli più interessanti è certamente quello relativo al terrorismo. L’uso del terrorismo è fondamentale per determinare tra le masse un senso di impotenza e quindi un senso di acquiescenza assoluta; inoltre l’uso del terrorismo sistematico costringe l’avversario ad azioni di rappresaglia sempre più odiose e impopolari presso la società civile. Il terrorismo indiscriminato implica la possibilità di uccidere vecchi, donne e bambini e viene utilizzato all’interno della guerra rivoluzionaria che sovverte sia i principi morali che quelli umanitari.



Non a caso Clemente Graziani cita in termini positivi l’esperienza dell’Oas in Algeria proprio in relazione all’uso del terrorismo: servendosi dei criteri della guerra rivoluzionaria, quest’organizzazione riuscì a bloccare l’intera popolazione musulmana nei suoi quartieri. Tuttavia – ed è questo un aspetto molto spesso dimenticato dagli storici e dai giornalisti militanti – l’esperienza maturata dall’Oas fu la conseguenza della riflessione sulle tecniche utilizzate dal Fronte di scioglimento nazionale algerino, il quale si serviva proprio della guerra rivoluzionaria – e quindi anche del terrorismo – per contrastare la presenza francese. Omettere questo particolare equivale ad avere una visione distorta della realtà e fortemente ideologica. Dal punto di vista strettamente operativo fu proprio l’Esercito di liberazione nazionale – il braccio armato del Fronte di liberazione nazionale – a servirsi della guerra rivoluzionaria per contrastare i militari francesi. Pur riconoscendo l’importanza che ha avuto l’esperienza dell’Oas, Graziani opportunamente ricorda come la disfatta dell’azione controrivoluzionaria intrapresa dall’Oas fallì a causa di una mancanza di congiuntura favorevole da parte della politica internazionale.



Ma è nel capitolo successivo a quello della gerarchie parallele, intitolato “Le forze rivoluzionarie in America e in Europa” che l’autore ricostruisce la genesi storica della dottrina della scuola francese, a cominciare da quella del colonnello Charles Larechoy. Due particolari sono di estremo interesse nella riflessione dell’autore: il primo risale all’anno nel quale il colonnello francese elaborò la sua riflessione (1954); secondo dato importante è quello relativo al fatto che il colonnello non solo espose le sue riflessioni in ambito Nato, ma tenne in Italia un ciclo di conferenze riservate agli ufficiali dello stato maggiore dell’esercito italiano. Fra gli altri esponenti francesi che cita l’autore vi è non solo Jean Lartéguy -autore dei Centurioni – ma anche Salan, Zeller, Argoud e Godard.

Ma la riflessione dei militari francesi – e della sua determinante influenza su alcune fra le più importanti dittature militari del 900 – è stata oggetto di un ampio e documentato saggio da parte di una delle più note giornaliste francesi e cioè di Marie Monique Robin (Escadrons de la mort. L’école française, La Découverte, 2004). Anche l’autrice parte dalla riflessione fondamentale del colonnello Larechoy, che ebbe modo di elaborare la sua riflessione sulla guerra rivoluzionaria partendo dal saggio  fondamentale di Mao intitolato La strategia della guerra rivoluzionaria in Cina pubblicato nel 1936 e tradotto poi in francese negli anni 50. L’importanza della sua riflessione fu tale che le sue tesi sulla guerra rivoluzionaria entrarono nei programmi ufficiali della Scuola superiore di guerra francese nel 1954. Un altro ufficiale francese che ebbe un grande ruolo nella riflessione sulla guerra rivoluzionaria fu il generale Jacques Hogard che nel 1956 ebbe modo di redigere un documento fondamentale sulla guerra rivoluzionaria intitolato Istruzione provvisoria sull’impiego della guerra psicologica.

(1 – continua)

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