Quasi un Gatesgate. Perdonate il neologismo, ma quando il miliardario patròn di Microsoft si muove, o non si muove, ogni volta parte un incontrollabile gossip economico, il chiacchericcio da corridoi che lievita di bocca in bocca e finisce per destabilizzare i mercati finanziari e le compagini azionarie.

Partiamo dall’inizio, e cioè dall’aumento di quota azionaria deciso lo scorso anno da Bill Gates nella compagine di Four Seasons, le quattro stagioni multinazionali di stanza a Toronto, Canada, maxi società che gestisce circa centoventi hotel di lusso in tutto il mondo. L’inarrestabile Bill da Seattle, attraverso la sua Cascade Investment, ha convinto il socio in FS, il principe saudita Alwaleed bin Talal (finito agli arresti “domiciliari” in hotel a Riyadh nel 2018 per corruzione), ad accettare una mancia da 2,21 miliardi di dollari cash (da versare entro fine gennaio 2022) in cambio della conquista di una solida maggioranza (il 71,25%) del gruppo fondato nel 1989 da Isadore Sharp.



Altro prequel. La scorsa estate il Four Seasons aveva inaugurato una gestione importante in Italia, quella del blasonato San Domenico di Taormina, dopo una trattativa durata oltre un anno. E nell’occasione il gruppo canadese non aveva nascosto il desiderio di consolidare in un futuro prossimo venturo la presenza nel Bel Paese, così sempre amato dagli americani tutti, e così particolarmente nel cuore di Gates, da adesso praticamente solo al comando e ben più libero di manovrare e indirizzare gli investimenti societari.



Veniamo a noi. Nel cuore di Venezia, riva degli Schiavoni, a due passi da piazza San Marco e dal ponte dei Sospiri, tre storici palazzi (Danieli Excelsior, del XX secolo, Palazzo Casa Nuova, del XIX, ex sede della tesoreria, e Palazzo Dandolo, in stile gotico veneziano) ospitano il supernoto Hotel Danieli, duecento anni di attività, un lusso senza tempo e una scalinata da cartolina, stanze e sale celebrate in una miriade di film e nei soggiorni di personaggi famosi. Bello, bellissimo, ma anche gravato da passività e bisognoso di cure e restauri continui: nella fattispecie sembra che i progetti indichino circa 30 milioni di spesa necessaria.



Si dà il caso che sia il San Domenico di Taormina, sia il Danieli di Venezia siano proprietà di un immobiliarista, quel Giuseppe Statuto che nel 2018 conobbe anche spiacevoli vicende giudiziarie. Il suo gruppo era riuscito nel 2016 ad aggiudicarsi all’asta il San Domenico per poco più di 52 milioni, venduto dal gruppo Acqua Marcia di Francesco Bellavista Caltagirone. Ma ancora prima, nel 2005, Statuto aveva rilevato il Danieli da Starwood con 242 milioni. Il San Domenico era stato poi affidato in gestione a FS, il Danieli invece a Marriott. Ma nella primavera dello scorso anno il President global operations di Four Seasons Hotels and Resorts, Christian Clerc, aveva accennato a un possibile nuovo sbarco a Venezia, dove già il gruppo canadese gestisce The Gritti Palace, The St. Regis Venice e JW Marriott Venice Resort and Spa. A tutto ciò, va aggiunta la non lontana scadenza del contratto di gestione che lega Statuto con la multinazionale americana Marriott per il Danieli.

Due più due fa cinque, dieci, cento… E voici l’affaire-Danieli: i rumors si sono trasformati in certezze, ed ecco mezza stampa mondiale annunciare che Bill Gates s’è comprato il Danieli. Ma non è vero, anche perché FS è da sempre impegnato in gestioni, e non in acquisizioni immobiliari. Vero è invece che il gruppo Statuto è riuscito a rifinanziare il debito del Danieli (appesantito dai lockdown e dalla mancanza dei turisti stranieri) tramite un’emissione obbligazionaria per 330 milioni (sottoscritta da due fondi statunitensi) più altri trenta per i restauri previsti. Nette le posizioni di Statuto (“Il Danieli è e resta nel nostro portfolio”) e Marriott International (“Il Danieli rimane aperto e continua a far parte della nostra Luxury Collection fino al termine del contratto”). Solo dopo quella scadenza, insomma, si vedrà se davvero FS subentrerà, ma nella gestione, non certo nella proprietà, con buona pace di chi aveva subito levato scudi in difesa dell’hotellerie italiana, vittima dei predatori esteri di turno. Dimenticando, in ogni caso, che anche i quattrini del gruppo Statuto, compresi quelli che hanno appena rifinanziato il Danieli, certo italiani non sono. 

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