Trattative Putin-Trump, escludendo Zelensky e l’Unione Europea. Con la possibilità addirittura che l’Ucraina scompaia come Stato. Così Nikolai Patrushev, ascoltato consigliere del Cremlino, vede il negoziato per porre fine alla guerra con Kiev. Dall’incontro tra i due leader di USA e Russia, osserva Toni Capuozzo, giornalista e inviato di guerra, potrebbe uscire una nuova Yalta, con zone di influenza per ogni Paese. Per questo, la fine della guerra in Ucraina potrebbe penalizzare Taiwan, se rientrasse in un’eventuale sfera di influenza cinese. Probabile, però, realisticamente, che Trump non si preoccupi di rivendicare i territori ucraini occupati dai russi, accontentandosi della fine delle ostilità. Mantenendo, però, un certo livello di conflittualità, continuando, per esempio, a praticare le sanzioni fino a che Mosca si terrà i territori conquistati.
Patrushev dice che Putin parlerà solo con Trump, che non ne vuole sapere della UE. Perché?
Putin si considera una controparte non di Zelensky ma della Casa Bianca. Il conflitto, per Putin, è iniziato perché la NATO ha inteso spostarsi sempre più vicino ai confini russi. Non è sorprendente che il capo del Cremlino non consideri il presidente ucraino. Forse più sorprendente è la decisione di tagliare completamente fuori l’Europa, che pagherebbe quindi anche il suo sostegno incondizionato, almeno a parole, alla causa ucraina.
Perché la UE non viene neanche considerata?
Questa decisione segnerebbe una marginalità dell’Europa, ingannata da se stessa. Il suo errore è stato aver fatto, fin dall’inizio, di questa vicenda una specie di trincea della democrazia occidentale, per cui c’è in gioco l’Ucraina, ma in realtà ci si batte per tutti. Questa uscita melanconica, senza la vittoria che è stata a lungo predicata dalla von der Leyen, da Josep Borrell, da Londra e dalla Francia, è una sorta di decreto che sancisce la marginalità dell’Europa.
C’è un altro elemento che apre scenari imprevedibili: Patrushev, infatti, non esclude addirittura che l’Ucraina cessi di esistere come Stato quest’anno. Si è parlato di mire di Stati confinanti dell’Est Europa su alcuni territori. Davvero il Paese può sfaldarsi?
Credo siano voci legate a un progetto della brigata Azov di creare un Paese indomabile e indipendente in un angolo dell’Ucraina, per coprire le spalle a Kiev e a Zelensky nel momento in cui andassero a trattare, arroccandosi in una regione ribelle e irriducibile. Mi sembra, però, che siamo alla fantapolitica. Quel che è vero è che Zelensky sicuramente pagherà un prezzo interno per la trattativa: non si può sacrificare centinaia di migliaia di cittadini per una guerra che dura tre anni e poi accettare il fatto che tutto era un sogno. L’errore è stato di non considerare una vittoria l’aver salvato Kiev nelle prime settimane di guerra, insieme alla riconquista di gran parte dell’Ucraina orientale. Se lo avessero fatto, evitando di parlare di un’offensiva futura, ora sarebbe tutto più semplice. Mettere al centro del conflitto il ritorno ai confini internazionalmente riconosciuti è stato il bacio della morte per l’Ucraina e per l’Europa.
Ci voleva un approccio più realistico?
Ci voleva un piano B, come sempre. Anche sulla scorta della cavalcata vittoriosa degli ucraini, quando hanno riconquistato qualche territorio, era difficile pensare che sarebbero arrivati a riprendere la Crimea o tutto il Donetsk. I leader europei, invece, parlavano di questo. E se discutevano di trattative, il problema era convincere la Russia a restituire tutti i territori. Ma non è che il lupo diventa mansueto perché è arrivato il domatore. Se l’Ucraina riuscirà a ritagliarsi qualcosa, è perché è ancora presente nel Kursk: potrebbe proporre uno scambio di territori, ma non vedo altre vie. Le trattative saranno sul futuro dell’Ucraina, sul percorso di adesione alla NATO oppure no, non sul territorio.
Secondo la Reuters, che cita alcuni collaboratori di Trump, anche gli USA si sono convinti che per un accordo di pace ci vorranno mesi. La nuova amministrazione ha capito la complessità della situazione?
Trump, negli ultimi tempi, insiste sul fatto che con lui la guerra non sarebbe scoppiata. Oggi pace non significa riconciliazione, né la stretta di mano tra gli ex nemici. È la sospensione delle ostilità, il rinvio dei propri programmi.
Putin, tuttavia, ha già fatto capire che non gli basta un cessate il fuoco, vuole definire nuovi rapporti fra Russia e Occidente. Su cosa si tratterà?
I territori su cui ha messo le mani la Russia resteranno a Mosca. Il tema saranno le sanzioni. Trump non può mettersi a fare la guerra mondiale, per lui non sarà difficile essere realista quanto ai territori, ma manterrà una posizione conflittuale sulle sanzioni. Rimarranno fino a quando la Russia occuperà parte dell’Ucraina. Non penso a una grande distensione.
Dovranno mettere nero su bianco che l’Ucraina non entrerà nella NATO?
Questo potrebbe essere. D’altra parte, un Paese in guerra non può entrare a far parte della NATO. Si potrà stabilire che per 10-20 anni l’Ucraina non entrerà nell’Alleanza atlantica o che non potrà aderire sino a quando non sarà considerato un Paese in pace. D’altra parte, se non rinuncia in linea di principio alla sovranità sui territori perduti, non si potrà parlare di vera pace.
Dall’incontro tra Putin e Trump, allora, cosa ci dobbiamo aspettare?
Una nuova Yalta. Credo che in questa grande prova di realismo, che verrà data per evitare un conflitto mondiale, ci sia un perdente designato, cioè Taiwan. Si spartiranno le zone di influenza. E allora Trump dovrà rassegnarsi a considerare l’Ucraina amica, magari nella UE, ma senza un esercito forte. Un Paese comunque non compreso nello scacchiere NATO in termini organici. La Russia dovrà stare attenta a come si comporterà con l’Iran, in Medio Oriente.
Perché tutto questo penalizzerà Taiwan?
Una volta che si stabilirà che ognuno avrà diritto al suo cortile, anche la Cina avrà diritto al suo.
(Paolo Rossetti)
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