Ieri Putin ha definito “opzione accettabile” la proposta slovacca di ospitare i negoziati. Le dichiarazioni del presidente russo sanno seguito alla visita di Fico a Mosca. Ma il capo del Cremlino resta disponibile anche a parlare con Trump. Sulle trattative per una pace in Ucraina, però, dice Marco Bertolini, generale della Brigata Folgore e comandante di numerose operazioni speciali in Libano, Somalia, Kosovo e Afghanistan, ci sono troppe aspettative, alimentate dalle dichiarazioni di Trump stesso. Non sarà così facile negoziare con il Cremlino e un eventuale rifiuto di Mosca alle proposte americane potrebbe portare a una reazione inattesa anche da parte del presidente americano.
Intanto la Russia cerca spazio nel Mediterraneo, in Libia, perché non può più affidarsi interamente alle basi in Siria. Una presenza di cui gli USA dovranno tenere conto.
Putin dopo avere incontrato il premier slovacco Fico, ha di fatto legittimato la base negoziale da lui offerta. Questo fronte alternativo europeo – Fico, Orbán – alla fine può allargarsi?
L’avvicinamento di costoro a Putin è conseguenza di una situazione che si è trascinata per tre anni, che l’Europa sta pagando dal punto di vista economico ed energetico. Orbán e Fico hanno lasciato la porta aperta al dialogo, anche se non ci sono molti altri che li seguono. Forse Erdogan, che continua ad avere dei rapporti con Putin, nonostante appartenga alla NATO e nonostante in Siria recentemente sia stato protagonista di un ribaltamento del fronte che sicuramente non è negli interessi della Russia. La Turchia fa parte un po’ della componente dialogante, se non dell’Europa, dell’Occidente. Credo che sia improbabile che a questa pattuglia si aggiunga qualcun altro.
Le prese di posizione ufficiali cosa dicono?
Tutti i Paesi, tra cui anche l’Italia, continuano a confermare supporto nei confronti dell’Ucraina, e questo anche se si sta avvicinando, con l’arrivo di Trump, un possibile cambio di paradigma. Non vedo la possibilità che, almeno nel brevissimo periodo, ci possano essere altre disponibilità a un dialogo diretto con tutti, però il segnale di un cambiamento c’è stato e questo non esclude che nel medio periodo, una volta che il nuovo presidente americano si sarà insediato, ci possano essere altre novità.
Insomma, la guerra in Ucraina sta mettendo in difficoltà l’Europa e ha contribuito alle crisi politiche in Francia e in Germania. Orbán e Fico non bastano per far cambiare rotta alla UE?
Slovacchia e Ungheria sono realtà abbastanza piccole e sono mosse soprattutto dal loro interesse specifico. Continuano a rifornirsi di gas dalla Russia, che transita attraverso l’Ucraina. L’Europa, comunque, dal conflitto ha avuto grandi problemi di carattere economico.
Trump, intanto, continua a dire che vuole mettere fine a questa guerra. E Putin risponde sempre che è disponibile a incontrarlo. Si sta già muovendo qualcosa?
Penso che ci sia già una sorta di dialogo. Credo anche, però, che ci siano troppe aspettative. Dobbiamo ricordare che le motivazioni dell’intervento russo non sono di semplice rilevanza territoriale, ma di carattere, direi, esistenziale: la Russia si sente minacciata da un’eventuale entrata dell’Ucraina nella NATO, perché percepisce l’Alleanza Atlantica come una realtà nemica. La semplice proposta di fermare le ostilità sulla linea di contatto attuale, magari congelando il processo di adesione dell’Ucraina alla NATO, credo che possa non essere ritenuta sufficiente da Putin: punta a qualcos’altro, vuole che Kiev non entri proprio nell’Alleanza, così come la Georgia. La proposta di Trump di chiudere la partita, senza però dare a Putin certezze formali sul fatto che la NATO si fermerà, potrebbe non essere sufficiente. E considerando il carattere di Trump, tutto ciò potrebbe portare a una sua reazione: vuole portare la pace contando sulla forza dell’America.
Zelensky, invece, è tornato a dire con insistenza che l’Ucraina deve lottare per entrare nella NATO. Ci crede ancora?
Ci sono due esigenze esistenziali contrapposte. Sono contrapposte e sono esistenziali. L’Ucraina sa che non potrà accontentarsi di diventare un Paese neutrale, stando un po’ da una parte e un po’ dall’altra, con la politica dei due forni. Per Kiev, entrare nella NATO ormai è fondamentale: sicuramente, se non lo farà in futuro, non sarà più quella attuale, non soltanto nei suoi confini, ma nella sua configurazione come società. Putin poi vuole trattare con Zelensky solo se verrà rieletto, visto che il suo mandato è scaduto. Insomma, ci sono sempre dei “se” e dei “ma” che rendono la trattativa difficile da avviare.
Contemporaneamente la Russia cerca sempre di rafforzare le sue alleanze: sarebbero in arrivo altri soldati nordcoreani, mentre a gennaio dovrebbe firmare un accordo di partenariato strategico con l’Iran. Il fronte antioccidentale sta diventando sempre più consistente?
I nordcoreani sono abbastanza ininfluenti ai fini dello sforzo bellico; l’alleanza è più rilevante per la Nord Corea che per la Russia. Il fatto, invece, che la Russia voglia rapporti più stretti con l’Iran è importante. Un’alleanza di fatto c’è già, ed era attiva in Siria: per Mosca è fondamentale perché soffre di una certa vulnerabilità lungo i suoi confini meridionali, vista la crisi che c’è nel Caucaso. Parlo della Georgia, ma anche dell’Armenia. Avere un’alleanza più strutturata con l’Iran è molto importante da questo punto di vista, così come lo è per Teheran, che senza più l’alleanza con la Siria è tagliata fuori dal Mediterraneo.
Caduto Assad, la situazione dal punto di vista geopolitico è cambiata notevolmente e i russi sembra che stiano rinforzando proprio il fronte sud, cercando di spostare in Libia le basi e una parte almeno degli armamenti che avevano in Siria. Con la vittoria a nord-est in Ucraina e nuove basi in Cirenaica, la loro posizione rispetto all’Europa diventa più pericolosa?
Non siamo noi europei gli accerchiati, basta vedere dove sono le basi NATO attorno alla Russia, sia in Europa che in Asia. Certo, Mosca ha una strategia che cerca di mettere in atto da tempo: ha bisogno di una base nel Mediterraneo. Su questo non c’è ombra di dubbio. Ne ha bisogno perché una delle sue cinque flotte, quella del Mar Nero, deve avere uno sbocco nel Mediterraneo, che ora come ora è un mare completamente sotto controllo della NATO. La Russia cercava già di avere altre basi nel Mediterraneo proprio perché vedeva il rischio di perdere la base di Tartus in Siria. È da anni che punta sulla Libia, dove c’è il suo alleato Haftar, ma è un ripiego: la Russia ha perso un asset di rilevanza strategica importantissimo con la Siria.
In realtà, la base in Siria ce l’hanno ancora; quella in Libia potrebbe diventare la seconda?
La base ce l’hanno ancora. Come minimo, però, si devono porre il problema di cosa fare: le basi russe in Siria ormai sono enclave in un territorio ostile, non possono essere il loro hub nel Mediterraneo; hanno bisogno di un punto di riferimento più solido. Tartus è stata fondamentale per l’operatività della flotta del Mar Nero. Adesso c’è ancora, ma è a rischio.
Perdere un appoggio nel Mediterraneo cosa significherebbe per Mosca?
Sarebbe una perdita strategica importantissima. La Russia ha cinque flotte, di cui tre sono una nel Mar Caspio, una nel Mar Nero e l’altra nel Mar Baltico, che sono mari chiusi. Per di più, il Baltico è completamente sotto controllo NATO. Per la Russia avere l’agibilità del Mar Nero è inutile se non ha l’agibilità anche del Mediterraneo.
Ma la NATO deve muoversi per frenare i piani russi in Libia?
Credo che sia un problema nel contesto dello scontro fra gli Stati Uniti e la Russia. Agli USA non fa piacere, soprattutto nel momento in cui alla Russia erano riusciti a inibire la disponibilità del porto della costa siriana. Quando il Montenegro si è staccato dalla Serbia, si è cercato subito di farlo entrare nella NATO, perché probabilmente poteva essere una opzione dei russi per una loro presenza in Adriatico.
(Paolo Rossetti)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.